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Lolita - Lolita


Regia:Kubrick Stanley

Cast e credits:
Soggetto
: dal romanzo omonimo di Vladimir Nabokov; sceneggiatura: Vladimir Nabokov; fotografia: (b/n) Oswald Morris; montaggio: Anthony Harvey; musica: Nelson Riddle (tema musicale di Bob Harris); scenografia: Andrew Low; costumi: Elsa Fennel, Barbara Gillet; interpreti: James Mason (il professor Humbert Humbert), Sue Lyon (Dolores “Lolita” Haze), Shelley Winters (Charlotte Haze), Peter Sellers (Clare Quilty), Diana Decker (Jean Farlow), Jerry Stovin (John Farlow), Suzanne Gibbs (Mona Farlow), Gary Cockrell (Dick), Marianne Stone (Vivian Darkbloom), Roberta Shore (Lorna); produzione: James B. Harris per Mgm/Seven Arts/Anya/Transworld; distribuzione: Zenith; origine: GB, 1962; durata: 153’.

Trama:E' la storia di Humbert Humbert, rac contata in flashback dopo che questi ha ucciso il commediografo televisivo Clan Quilty. Appena arrivato negli Stati Uni ti dall'Inghilterra, Humbert, insegnante e traduttore di poesia francese, va a vivere a pensione nel New England presso la signora Haze. Charlotte Haze, una vedova sessualmente frustrata, si innamora subito del pensionante, ma questi a sua volta subisce il fascino della sua figlia adolescente, Lolita. Humbertper poterle stare vicino sposa Charlotte. Quest'ultima muore in un incidente automobilistico dopo aver scoperto la passione del marito per sua figlia. Humbert e Lolita iniziano una relazione tormentata che avrà fine quando quest'ultima lo lascerà per fuggire con Quilty. A questo punto ad Humbert non rimane che vendicarsi su Quilty.

Critica (1):Il momento in cui Lolita, prima di salire in automobile e partire per il campeggio femminile a cui l’ha destinata la madre, sale di corsa al primo piano per dire addio con un bacio al professor Humbert e per chiedergli di non dimenticarla, è quello in cui si stabilisce in maniera definitiva la rovina del povero professore.
Nel romanzo di Nabokov, l’“ingenuità” dell’uomo, che lo fa equivocare grottescamente sul gesto impulsivo e troppo plateale di un’adolescente, portandolo a interpretarlo come l’invocazione di una donna innamorata, è a quel punto della vicenda abbondantemente resa comprensibile dalla narrazione delle vicissitudini sentimentali e sessuali di Humbert giovane, che costituiscono l’antefatto e forniscono i dati necessari a comprendere la fissazione ossessiva sulle ragazzine, che ne accompagnerà l’esistenza. Nabokov figura nei credits come unico responsabile della sceneggiatura, ma tutti sanno che il film è il risultato di un drastico lavoro a togliere (e in qualche caso ad aggiungere di sana pianta) da parte di Kubrick, condotto su un adattamento fluviale in cui il grande scrittore si dimostrava poco comprensivo nei confronti delle regole della narrazione cinematografica. Ciò che si può dire con la scrittura in molte pagine può essere concentrato al cinema in un’inquadratura. È quanto avviene nel nostro caso, nel corso della prima sequenza del film, ed esattamente nel momento cruciale in cui Humbert finisce Quilty, scaricandogli addosso il secondo caricatore del revolver appartenuto un tempo al defunto signor Haze, padre di Lolita. Nel romanzo l’esecuzione di Quilty si conclude nel letto, fra le cui coperte la vittima cerca un ultimo, inutile, rifugio ; la soluzione di Kubrick semplifica le cose dal punto di vista dei tempi e del percorso, togliendo di mezzo l’itinerario che avrebbe condotto dalla sommità della scala alla camera, e contemporaneamente sviluppa una complessità significante in cui trovano spazio non solo le motivazioni dell’ossessione di Humbert, ma anche quelle della condanna a morte di Quilty, nonché una considerazione non secondaria di Kubrick sull’essenza del cinema. Consideriamo innanzitutto il dato : i proiettili attraversano la tela di un ritratto di damina settecentesca prima di conficcarsi nel corpo nascosto di Quilty. Quella damina ha boccoli biondi e copricapo a larghe tese, esattamente come Lolita nella sua prima apparizione agli occhi di Humbert , immersa a sua volta nell’ arcadia doppiamente artificiosa, costituita dal giardino domestico, di cui mamma Charlotte va così fiera. La damina del ritratto è dunque la diretta trasposizione di Lolita. Sul piano dell’intreccio il quadro anticipa la comparsa della fatidica ragazzina, mentre al livello della fabula accomuna per procura nell’esecuzione Quilty alla ninfetta fedifraga. Non solo ; per tornare al punto da cui eravamo partiti, se assumiamo il punto di vista di Humbert abbiamo la conferma di ciò che lui ha sempre cercato, in fin dei conti, nella relazione fisica con Lolita : il possesso esclusivo di un’immagine (ecco recuperata Lolita come ossessione, come “fantasma”; ecco la funzione dei colpi che la penetrano, in una “ricongiunzione” definitivamente metaforica). E naturalmente il punto di vista può essere rovesciato: dietro la presenza pervasiva di Lolita agli occhi di Humbert, Quilty è sempre celato con l’intenzione di utilizzarla, riducendola a immagine da consumare in quel rapporto feticistico, una volta per tutte scoperto, che lega lo spettatore al cinema porno (il film “artistico” che – lo verremo a sapere molto più tardi – Quilty avrebbe voluto realizzare con la ragazza). Progetto condotto a termine ironicamente, lo abbiamo visto, soltanto ricevendo i colpi che azzerano una volta per tutte la sua sbrigliata creatività.
Questione di punti di vista, appunto. Naturalmente è quello di Kubrick stesso che prevale e organizza tutti gli altri. Vedere in Quilty l’alter ego del regista può essere corretto, a mio avviso, soltanto annettendo a questa funzione una componente parodica, sulla quale Kubrick dichiara da subito la superiorità di un controllo, che è prima di tutto controllo del senso complessivo, capacità di lettura dei dati e di una loro organizzazione estetica e concettuale, che Quilty non possiede, perché il suo punto di vista risulta disturbato da una propensione insopprimibile a negarne la realtà sostituendola con quella dei suoi motti di spirito che li distorcono senza annullarli, esattamente come il suo trasformismo sfrenato nasconde dietro lo scintillio del divertissement, sia pure crudele nei confronti di Humbert-bersaglio, le vere motivazioni da cui è spinto.
Questione di punti di vista: quello di Kubrick viene dichiarato subito, incalzante e ironico nell’inseguimento di Humbert che a sua volta si butta nella nebbia (per l’ennesima volta, verrebbe da dire, riguardo alla fabula : Haze, cognome di Lolita, letteralmente sta per “foschia”, “nebbia leggera” e, di conseguenza, “confusione mentale”) per andare a raccogliere il frutto della sua disperata gelosia. In apertura, quella nebbia è, prima di tutto, una cifra interpretativa che il film si incaricherà poi di chiarire : la perentorietà dell’enunciazione è data dalla posizione della m.d.p. rispetto all’oggetto dell’inquadratura, che ingenera ineluttabilità – un occhio del destino (o di Dio, per chi vuole), che ritornerà con ben più enfasi (come è giusto che sia, dal momento che il genere di riferimento sarà in quel caso l’horror) nell’incipit di Shining. Il fatto è che se Humbert e Quilty lavorano instancabilmente per riuscire ad offrire agli altri un senso fasullo dei propri gesti e delle proprie parole, al fine di nascondere quello vero a cui mirano come realizzazione di una sorta di capolavoro privato, Kubrick si misura con la necessità opposta : quella di dare un senso (discorsivo, estetico) all’intreccio ubriacante della menzogna e dell’artificio, che costituisce la materia originaria di questa vicenda. E decide di farlo mostrando immediatamente, nella sequenza geniale che apre il film, che questo obiettivo potrà essere raggiunto solamente nella misura in cui sarà stata sfidata per il suo conseguimento la medesima componente di artificiosità che sta al cuore dell’espressione cinematografica.
Adriano Piccardi, Cineforum n. 375, giugno 1998

Critica (2):In Lolita non interessa la fedeltà o l'infedeltà verso Nabokov, il quale firmò la sceneggiatura che però da Kubrick fu ampiamente e liberamente manipolata. Kubrick ovviamente non ha potuto mantenere il fascino "linguistico" del testo originale, ma è stato in grado di conservare l'humor sottile ma dilagante, l'aspetto di "pastiche" tra diversi elementi culturali (popolari e non), e l'ossessionalità. Il romanzo abbonda di accenni alla possibilità che avrebbe la cinepresa di immortalare Lolita che gioca a tennis, ora il suo sorriso a metà tra il malizioso e l'incosciente, ora un paesaggio attraversato (Nabokov è un appassionato di cinema), ma l'idea di una semplice traduzione visiva di immagini letterarie sarebbe stata del tutto errata, dato che il fascino del monologante raccontare di Humbert Humbert è proprio nel tentativo continuo di rendere il ricordo, lo struggimento, l'indefinibile incomprensibilità di momenti e visioni in realtà profondamente soggettive, con il vertiginoso e barocco ricorso alla parola ("Oh, mia Lolita, io non ho che le parole da far giostrare sulla scena!") Anche il gioco di Kubrick quindi, dopo le forzose semplificazioni di Spartacus torna a farsi complesso, come già il sog getto impone, se P. Citati definisci Humbert Humbert "un simbolo colletti vo: una "summa" stilistica del nostro tempo". Che K. punti molto di più sul l'ossessione in sé che sul suo oggetto (Lolita), è dimostrato già dal principali spostamento operato rispetto al romanzo: l'insediamento all'inizio della se quenza dell'uccisione di Quilty, che vedremo ripetuta in coda, com'è nel roman zo. Ciò, oltre a introdurre il suspense chi provocherà in seguito ogni apparizioni di Peter Sellers (Quilty, mascherato d; professore tedesco - Zempf stranamoresco - o da poliziotto logorroico), incornicia tutto il film ii un'atmosfera onirica, di soliloquio onirico (nabokoviano) profondament( soggettivo: e si capisce quindi anche qu in quale senso è ormai orientato il "rea lismo" kubrickiano. Ma l'idea dell. "fine" posta in partenza non serve solo, produrre un genuino suspense che rim piazzi, quale elemento di interesse im mediato, la quasi assoluta castrazioni (obbligata, data la censura del periodo: degli aspetti visibilmente erotici del rap porto ossessivo tra Humbert e Lolita, m. soprattutto a portare in primo piano ui elemento meno accentuato - ma sempro alluso - nel romanzo. Cioè il carattere d "doppio" che ha Quilty rispetto . Humbert. Nel film, alla maschera un po grigia e immota di Humbert si contrap pone a più riprese, come manifestazione estroversa di uno stesso "vizio" ossessivo il cinico vivacissimo fregolismo di Quality-Sellers, che segue passo passi: l'itinerario del protagonista per sostituirsi infine a lui e realizzare anzi il suo stesso sogno. Se nel libro Quality era percepito da Humbert più che altro come "doppio culturale", con il suo stesso gusto per la citazione letteraria e per il calembour ("benchè più volgare e superficiale"), qui, prima di essere ucciso, Quality addirittura invita Mason a una partita a ping-pong (scacchi volgarizzati, e "sport" preferito da K.), gioco in cui la medesima pallina è oggetto della stessa maniacale (ma ludica) attenzione da parte di due giocatori vicinissimi che si specchiano l'uno nell'altro: la didascalia ultima, infine, lega nella morte i due nomi, uno all'inizio e l'altro alla fine della frase, in modo inequivocabile, e senza neppure nominare Lolita (di cui invece nel romanzo si annunciava la morte perparto).
Enrico Ghezzi Stanley Kubrick Nuova Italia 1977

Critica (3):

Critica (4):
Stanley Kubrick
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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