Luna Papa - Luna Papa
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Regia: | Khudojnazarov Bakhtiar |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Irakli Kwirikadze, Bakhtiar Khudojnazarov; fotografia: Martin Gschlacht, Rotislav Pirumov, Dusan Joksimovic, Rali Ralkev; montaggio: Kirk von Heflin, Evi Romen; interpreti: Chulpan Khamatova (Mamlakat), Moritz Bleibtreu (Nasreddin), Ato Mukhamedzhanov (Safar), Merab Ninidze (Alik), Polina Rajkina (Khabibula, voce); Nikolai Fomenko (Yassir), Lola Mirzorakhimova (Zube), Sherali Abdulkajsov (Akbar); produzione: Prisma Film/Pandora Film; distribuzione: Lucky Red; origine: Russia/Germania/Austria, 1999; durata: 106’. |
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Trama: | In un villaggio dell'Asia Centrale, non lontano da Samarcanda, vive una ragazza 17enne assieme al padre e al fratello. Lei sogna di fare l'attrice. In una notte di luna piena si concede ad uno straniero (presunto attore) che subito scompare. La giovane resta incinta e la famiglia - offesa - si mette a setacciare i teatri alla ricerca del padre del bambino. |
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Critica (1): | [...] Per chi ha cominciato ad andare al cinema nel 1998, Luna Papa sembra la versione tagika di Gatto nero gatto bianco: c’è la surreale unità di luogo (nel film di Kusturica la stazione di servizio lungo il Danubio, qui il villaggio sulle sponde di un lago artificiale in un angolo sperduto dell’ex-Urss asiatica), c’è il ritmo frenetico, c’è la bizzarra umanità multietnica che vive o passa da quelle parti, c’è persino una ragazza a caccia di marito. Che il giovane Khudojnazarov conosca Kusturica, è indubbio: esattamente come lo conoscono tutti i registi del mondo. Ma chi abbia visto qualche film anche negli anni ’60 e ’70 non farà molta fatica a riconoscere in Luna Papa echi più antichi. D’altronde Bakhtjar è nato a Dusanbe (Tagikistan) nel ’65 e ha studiato a Mosca, al glorioso Vgik: si sarà fatto ricche abbuffate di cinema sovietico, e nel suo film sono ben visibili le influenze dei grandi caucasici. Esempi: la visionarietà di Tengiz Abuladze (più L’albero del desideri che il fin troppo politico Pentimento), il bric-a-brac scenografico di Sergej Paradzanov, l’ironia beffarda di Danelija o dei fratelli Sengelaja. Nomi dimenticati, mentre Kusturica è di moda: il tempo a volte è galantuomo, ma con il cinema sovietico è stato malandrino. Esaurito l’argomento “influssi & citazioni”, va detto che Khoudojnazarov ci mette molto di suo, per far di Luna Papa un gran bel film. Già nei suoi lavori precedenti (Bratan, vincitore a Torino e Kosh ba Kosh, premiato a Venezia) aveva rivelato un talento autentico, fatto di ironia, spirito di osservazione, sobrietà stilistica, malinconia. Tutto ciò è confermato in Luna Papa, arricchito da uno stile eclettico e garibaldino: il film va sempre di corsa, fin dall’inizio – con quei cavalli al galoppo – che sembra uscito addirittura da un western all’italiana. La storia non ha uno sviluppo classico: proprio come il georgiano Abuladze nel citato L’albero dei desideri, Khudojanazrov entra in argomento per flash, calandoci nella vita quotidiana del villaggio come se fossimo alieni appena sbarcati dall’astronave. D’altronde il paesucolo è surreale (totalmente inventato, e in modo brillantissimo, dallo scenografo Negmat Dzhuraev, che se fosse americano vincerebbe l’Oscar a mani basse) quasi quanto i suoi abitanti: facciamo ben presto la conoscenza dei Bekmuradov, eccentrica famiglia composta dal padre vedovo Safar, dalla bella diciassettenne Mamlakat e dallo scemo del villaggio Nasredin, il figlio maschio tornato un po’ “toccato” dall’Afghanistan. Intorno a loro si muove un universo che a noi occidentali può sembrare fiabesco, ma che in quelle terre dell’Asia ex sovietica dev’essere assolutamente realistico (come i nomi dei personaggi: sembrano da fate e da “cavalieri antiqui”, ma confrontateli con quello del regista…). Trafficanti d’armi e di cavalli, russi abbandonati lì dal crollo dell’Urss che vivono di espedienti, teatranti che rappresentano Shakespeare nel mezzo della steppa, piloti d’aereo che sembrano usciti da un film sovietico degli anni ’50 e un medico baffuto e ubriacone che ci resta secco appena prima di far abortire Mamlakat. Già, perché nel frattempo la ragazza è rimasta incinta, la sera stessa in cui, nel villaggio, c’erano gli attori. Sarà stato uno di loro, o sarà stata piuttosto la luna piena che in quella notte incombeva sul paese? Che la luna sia il papà del nascituro, appare evidente fin dal titolo, che è fiabesco – appunto – ma non troppo. Giustamente Khoudojnazarov parla, a proposito del film, di realismo fantastico: un termine che noi occidentali siamo abituati ad applicare a scrittori come Marquez, ma che ben si adatta a quei registi dell’Est che riescono a parlare della spezzettata attualità dei loro paesi, mettendo al contempo, nel loro stile, il carico millenario delle tradizioni, delle fiabe, dei racconti orali, delle transumanze di popoli che hanno contraddistinto la loro storia. Sia Gatto nero gatto bianco sia Luna Papa vengono da paesi multietnici e sono di fatto “film meticci” nello stile, nello spirito, nell’architettura, nella struttura narrativa più profonda. Ennesimo esempio: se la frenesia dei personaggi, il loro vivere le situazioni senza filtri, l’emozione ininterrotta che comunicano sono profondamente russi (come la lingua che parlano, d’altronde), il loro nomadismo e l’ironia quasi zen con cui accettano il destino sono, o almeno appaiono ai nostri occhi, asiatici. E del resto i giovani registi di quelle terre ex-sovietiche – soprattutto i kazaki, ad Alma-Ata ci sono gli studi più attivi e più creativi – sono nati, e vivono a cavallo fra due mondi: la lingua e la cultura russa sono il loro passaporto per l’ Europa, ma le loro radici sono turco-mongole e i loro ritmi di vita sono più cinesi che occidentali. In molti film kazaki tali ritmi sono fedelmente rispecchiati anche sullo schermo; il tagiko Khudojnazarov è invece cineasta più adrenalinico, gira con grande sprint, almeno in questo film che lo impone (a 34 anni) come un regista da tenere d’occhio per il 2000 e oltre. Forse, appunto, perché oltre ai film sovietici e cinesi ha visto anche Kusturica, tanta Hollywood e (scommettiamo?) un po’ di cinema di Hong Kong. Auguri, Bakhtjar: tanto, è difficile che ti capiti di nuovo il vecchio amico Emir in giuria...
Alberto Crespi, Cineforum n. 388, ottobre 1999 |
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| Bakhtiar Khudojnazarov |
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