Viaggio (Il) - Viaje (El)
| | | | | | |
Regia: | Solanas Fernando E. |
|
Cast e credits: |
Sceneggiatura: Fernando E. Solanas; fotografia: Felix Monti; scenografia: Fernando E. Solanas; disegni: Alberto Breccia; montaggio: Alberto Borello, Jacqueline Meppiel; musica: Astor Piazzolla, Egberto Gismonti, Fernando E. Solanas; interpreti: Walter Quiroz (Martin), Soledad Alfaro (Vidala), Ricardo Bartis (Celador Salas), Cristina Becerra (Violeta), Dominique Sanda (Helena), Marc Berman (Nicolas, il padre di Martin), Chiquinho Brandao (Paizinho), Franklin Caceido (Alguien Boga), Carlos Carella (Tito el Esperanzador); produzione: Envar El Kadri per la Cinesur (Argentina) e Les films du Sud (Francia); distribuzione: Cineteca dell'Aquila; origine: Argentina - Francia, 1991; durata: 118'. |
|
Trama: | Martin, un diciassettenne dalle scelte ancora incerte, vive nelle Terra del Fuoco, a Ushuaia, la cittadina più meridionale del pianeta, con la madre e il patrigno. Frequenta un liceo dalle strutture fatiscenti, irreggimentato con altri compagni da un sorvegliante dittatore, all'arbitrio quotidiano di un non meno dispotico "direttore del collegio", annoiandosi a morte durante le gelide lezioni di professori arcigni e scostanti. E' indeciso ed angosciato per l'assenza del padre - da troppo tempo lontano, per cui la madre ha accettato di vivere con una altro uomo - un padre vero, di cui ricorda la passione per la natura, i viaggi, l'arte, e dal quale Martin vorrebbe sentirsi sostenuto e consigliato. Un giorno presa la sua bicicletta e con qualche indumento nello zaino e poco denaro si avventura negli spazi sconosciuti dell'America Latina, sognando di incontrare da qualche parte il padre, in realtà in ricerca di se stesso, delle proprie radici, della propria identità. E' un viaggio iniziatico, durante il quale Martin ha modo di attraversare località della Patagonia, Buenos Aires, S. Paolo, l'Amazzonia, Machupicchu, i Caraibi, il Messico e di imbattersi nelle tracce di antiche civiltà di quelle terre, in vestigia di remote migrazioni di popoli e in segni del passaggio di conquistatori e colonizzatori, come pure in testimonianze inequivocabili di genialità e di ardimento della sua gente lungo il trascorrere dei secoli. Ma si scontra pure con le infinite contraddizioni di quelle terre, nelle quali il contrasto - anche nei momenti storici attuali - fra il lusso dei potenti e la miseria dei reietti è dei più clamorosi e stridenti dell'intero pianeta. Martin nota ingiustizie vergognose, corre rischi impensabili, sperimenta gli inganni e le incurie dei potenti, incontra ogni genere di insidie e di pericoli ma anche la solidarietà dei semplici, l'amore, lo stesso padre. Il viaggio ha reso maturo l'adolescente ribelle, che è ora in grado di comprendere il padre, con il suo rifiuto dell'immobilismo e della passività e il suo desiderio di novità. Martin si riconosce in lui e, reso più consapevole, si avventura in una personale e responsabile sfida all'ignoto. |
|
Critica (1): | Si parte dalle nevi di Ushuaia per arrivare in Messico. L'ultimo film di Solanas, presentato a Cannes '92, percorre tanta strada da fare concorrenza al penultimo Wenders. E in realtà, considerato che Ushuaia è effettivamente la città più a sud del mondo (era lì che andava Pietro De Vico al termine di La messa è finita?), questo film potrebbe effettivamente chiamarsi Ritorno dalla fine del mondo. Messi a posto i problemi geografici, passiamo a quelli ideologici che purtroppo ci sono. Solanas, attraversa tutto il suo continente per mezzo di una bicicletta Legnano e degli occhi di un ragazzino. Martin vive a Ushuaia, studia in un decrepito collegio, vive con la madre e il patrigno e a un certo punto decide di partire alla ricerca del padre vero, quello che fa il disegnatore/oppositore/filosofo ecc... e che vive da qualche parte del continente. Una traversata che è naturalmente un viaggio iniziatico per il ragazzino, ma anche un pretesto per raccontare lo stato in cui si trova il continente sudamericano. Precipitiamo cioè nel simbolico e c'è subito da temere. Solanas è assolutamente irresistibile quando fa della retorica, quando gioca sul groppo in gola con i suoi tanghi, quando diventa surreale, impreciso e sentimentale. Non si può restare insensibili all'arrivo di Gardel in mezzo alla nebbia (Tangos). Non si può fare a meno di alzare le sopracciglia e storcere il naso quando vediamo sostanze organiche galleggiare in mezzo alle acque che hanno invaso le città argentine. Il problema è che anche Solanas ha fatto un sogno (ultimamente è una moda). Ha pensato allo slogan del presidente argentino (l'Argentina deve imparare a nuotare e tuffarsi) e s'è inventato un'Argentina allagata con un presidente con tanto di pinne ai piedi che si chiama Rana. Ha pensato alla necessità dei brasiliani di stringere la cinghia ed ecco che Martin arriva in Brasile e trova tutti imbragati e saltellanti dentro variopinte bretelle. Insomma ha preso tutto alla lettera, come se stesse raccontando barzellette, contando con questo di fare del simbolismo. Freud per la verità pensava che i sogni fossero strutturati come rebus, non come banali bisensi. Poi quando scopriamo che l'unione dei paesi sottosviluppati (subdesarrollados) diventa dei paesi inginocchiati (arrodillados) facciamo perfino fatica a capire a quale tipo di gioco enigmistico faccia riferimento. E comunque la somiglianza con Castellacci e Pingitore diventa palpabile. Il film in realtà è meno brutto di così, però l'intento didascalico è talmente lampante da dare fastidio. Un'idea bella invece c'è, ed è quella di utilizzare, all'interno della narrazione, le storie a fumetti scritte dal babbo di Martin. Sono i momenti migliori del film anche perché si tratta proprio delle tavole di Alberto Breccia, il creatore, assieme a Oesterheld (a cui il film s'ispira ed è dedicato), de "L'eternauta". Il risultato è che i personaggi di quelle storie diventano persone in carne ed ossa che aiutano Martin nel suo viaggio. E qui torniamo da capo, perché il traghettatore si chiama Alguien Boga (Qualcuno Rema) e il cantore popolare e inafferrabile, quello che inizia la guerra del rumore perché è contrario al silenzio, si chiama Tito el Esperanzador (colui che dà speranza). Con quella tipica sfiducia nei confronti delle masse popolari che gli uomini di sinistra hanno sempre avuto, Solanas non lascia niente al caso, ma spiega tutto fino in fondo e, se non avete capito, lo ripete pure con pazienza. I padri della patria sono dimenticati e non servono più a nulla? E allora noi facciamo cadere i loro ritratti dalle pareti del collegio di Ushuaia. La speranza è come l'amore inafferrabile e alterna? E noi facciamo entrare in scena a proposito e a sproposito una ragazza vestita di rosso. E un personaggio che serve a qualcosa? No, ma fa tanto enigmaticità e poesia. Purtroppo l'ultimo Solanas funziona così: vorrebbe far ridere, far piangere, far pensare, sintetizzare in due ore e passa il mondo e altro ancora. E invece era più commovente l'asciutta Ora dei forni, faceva più pensare il frivolo Tangos, era più politico il patetico Sur. Forse perché Solanas aveva delle cose da dire, ma senza darlo troppo a vedere.
Gualtiero De Marinis, Cineforum n. 324, 5/1993 |
|
Critica (2): | La mobilità inquieta sembra essere la cifra stilistica dominante negli ultimi film del cineasta argentino, dal lacerato esilio politico e artistico parigino dei protagonisti di Tangos al ritorno dal carcere, "tutto in una notte", popolato dai grotteschi e un po' patetici fantasmi di una vita del Floreal di Sur. Il lungo blues argentino, la poetica dell'esilio e del distacco da sé e dai propri affetti a causa di eventi storici drammatici che i dolenti personaggi di Solanas non sono in grado di modificare, ritorna anche in questo film, ma si diluisce nel viaggio iniziatico del protagonista attraverso le miserie sociali (ma anche le ricche potenzialità culturali) del continente latino-americano e si scrolla di dosso la pesante eredità di un passato che non vuole passare e l'amarezza del ricordo, assumendo, attraverso uno sguardo certo non riconciliato con l'esistente, una valenza più immediatamente politica. Il viaggio di Martin Nunca (interpretato dal giovane e molto espressivo Walter Quiroz) alla ricerca di sé, della propria identità, e delle proprie radici mitiche (il padre tanto a lungo sognato attraverso i suoi fumetti) nel momento del suo passaggio dell'adolescenza alla maturità e soprattutto nel momento in cui vengono a mancare tutti i valori di un'epoca, si trasforma perciò ben presto in un viaggio politico e culturale alla scoperta del paesaggio latino-americano contemporaneo continentale, della sua memoria storica e delle sue molteplici culture popolari. Il percorso del protagonista di El viaje è quindi allo stesso tempo intimista e critico e l'opera nel suo insieme assume un carattere diurno che mancava sia a Tangos che a Sur così oscuri (anche nella caratterizzazione scenografica e ambientale) e ripiegati sulla partecipa contemplazione del dolore dei protagonisti. Sembra di percepire in questo ultimo lavoro di Solanas una rinnovata volontà di intervenire sulla realtà presente, forse, coincidente con la parallela attività politica e culturale intrapresa, di recente dal cineasta argentino all'interno del suo Paese, che si esprime in una forma di particolare "realismo magico" che evita tutti i luoghi comuni della piatta "riproduzione" della realtà fenomenica e sociale (e quindi la ricreazione acritica dei rapporti di forza che in essa si consumano) comune tanto al giornalismo televisivo quanto al documentarismo militante per far emergere la forza del discorso, ed in cui non è difficile trovare analogie con tutta la tradizione letteraria sudamericana e con le leggende che attraversano tutta la cultura popolare di questo continente. Lo stile narrativo adottato da Solanas è perciò straniante (in senso brechtiano), linguisticamente complesso in quella sua struttura a capitoli in cui le immagini e le parole del viaggio si alternano alle "strisce" di fumetti che raccontano in forma fantastica le vicende storiche e politiche del continente latino-americano, e coerente con quel sentimento del grottesco (l'unione di reale ed irreale, di melanconia e satira, di grottesco e patetico) di cui il cinema argentino parla spesso nelle sue confessioni cinematografiche, scritte e verbali, uno sguardo cioè, che nella rappresentazione della realtà inserisce in modo inestricabile l'analisi delle contraddizioni che l'attraversano e quindi implicitamente la tendenza al loro superamento. Il mutamento del registro stilistico di Solanas è evidente fin dalla scelta del protagonista, non più un "reduce" acciaccato da mille ferite e con lo sguardo rivolto al passato, ma un giovane di oggi che, al di là del proprio istintivo disagio, ben poco conosce della storia passata sua e del suo Paese, e per questo disponibile a percorrere strade esistenziali nuove alla scoperta di sé e del mondo. Il viaggio di Martin Nunca attraverso Argentina (Terra del Fuoco e Patagonia) Perù, Brasile, Venezuela, Paraguay, Cile e Guatemala, ancor prima che nella geografia dei luoghi, inizia infatti in quella geografia ben più prevedibile della fantasia, nel sogno di una vita diversa (non si diceva già, in tempi non sospetti, che per cambiare il mondo "il faut rever", bisogna sognare?), nel desiderio di fuga sia dall'ipocrisia istituzionale di quella scuola scalcinata dove i ritratti dei padri della patria cadono rumorosamente a terra nell'indifferenza generale o dove il cavallo di bronzo del Libertador viene trascinato via dal vento durante la cerimonia di inaugurazione del monumento sostituito nel frattempo da una sua ridicola copia di cartone, sia da quella, più sotterranea ma altrettanto pesante da sopportare, della famiglia e dei rapporti interpersonali dove il silenzio sulle infamie della passata dittatura militare o sull'autoritarismo ancora presente nei comportamenti dei padri è il prezzo da pagare per una tranquilla esistenza borghese. Martin fugge da tutto ciò all'inseguimento di tutte le storie che il padre gli ha raccontato attraverso i suoi fumetti (creati nella realtà dal Alberto Breccia, celebre disegnatore argentino) e finisce per incontrare anche nella vita reale questi personaggi che rappresentano le diverse culture del continente. Come il bizzarro autista di camion Americo Inconcluso, un nero caraibico nato a Panama con alle spalle "sessanta dittature militari e non si sa quante invasioni" (compreso il bombardamento del suo paese da parte dei militari USA per catturare il cattivo mediatico di turno, ricordato in una delle "strisce" del film), detto "el inventor de caminos" (l'inventore di strade) per la sua capacità di immaginare ed inventare sempre nuove strade malgrado lui non le conosca. O come il traghettatore Alguien Voga moderno Caronte che conduce Martin in una Buenos Aires sommersa dagli escrementi, o ancora Tito el Esperanzador (Tito il portatore di speranza) che con il rumore del suo strano tamburo disturba la quiete dei nuovi uomini di potere (così simili a quelli vecchi pur nella loro nuova veste di efficienti tecnocrati) e annuncia il cambiamento [...] Alla fine di questo viaggio, dopo l'immaginario incontro tra Martin, suo padre e il Quetzal, il mitico uccello-serpente della cultura atzeca, Martin tornerà a casa più maturo e cosciente della necessità, personale e generazionale, del distacco dal padre (e dai suoi fantasmi) in funzione della ricerca di sé e della creazione del nuovo.
Marcello Cella Segno Cinema n. 61, maggio/giugno 1993 |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Fernando E. Solanas |
| |
|