Critica (1): | A quarant’anni non ho ancora fatto niente nella vita. Ormai è tardi. Le sole cose che mi piacciono e in cui mi riconosco un po’ sono quegli stupidi foglietti che scrivevo l’estate scorsa – ti ricordi Katia? – quei foglietti di carta velina…?”.
Nell’introduzione, l’attore Marco Paolini legge un brano da Libera nos a Malo. A questa lettura fa seguito una lunga e vivace conversazione – svoltasi nell’arco di tre giornate – durante la quale lo scrittore rievoca i luoghi, le persone e le vicende della sua vita, a partire dall’anno della sua nascita, che coincise con quello della Marcia su Roma.
Prima giornata
L’infanzia a Malo. Il fascismo. Il piccolo Luigi balilla-moschettiere. La visita del Duce a Vicenza. Don Tarcisio, prete edonista e scrittore. La maestra Prospera e le prime difficoltà di undialettofono [la parola oseleto – uccellino - si può scrivere in ben 12 modi diversi]. L’officina meccanica del padre.
Gli zii. Il tornio e i torpedoni.
La mamma maestra. Prime avvisaglie di una guerra che, a diciassette anni, si prospetta come un’avventura eccitante. Il fatidico incontro con Antonio Giuriolo, grazie al quale un morigerato, bravo giovane fascista scopre Rimbaud, Baudelaire e la politica, regina di tutte le cose. L’8 settembre. L’allievo ufficiale alpino Meneghello Luigi – finalmente libero di combattere dalla parte giusta – si allena nell’orto sparando ai pomodori.
Seconda e terza giornata
Il dopoguerra. Alla domanda di Paolini, che gli chiede quale paese sarebbe dovuto nascere dalla buriana della guerra, lo scrittore rievoca il sogno di un paese modello nell’ambito della civiltà europea. L’affair con la politica ha però breve durata: “Per il nuovo partito perfetto – il partito d’azione – non votarono neppure le nostre fidanzate…”. La delusione. Il dispatrio. La voglia di andare a vedere come funzionava una democrazia parlamentare, Il soggiorno a Reading e l’incarico presso quella università. Il legame mai spezzato con l’Italia, “una patria che sembrava non volermi più”.
Paolini legge un altro brano da Libera nos a Malo. Meneghello racconta di aver letto, nel 1954, un libro intitolato The Final Solution e di aver sentito l’imperativo morale di far conoscere ai suoi compatrioti le mostruosità perpetrate nei campi di sterminio dai nazisti, mostruosità fino ad allora affatto ignorate in Italia. Il libro apparve tradotto a puntate sulla rivista Comunità e, terribile a dirsi, attirò su di sé gli strali della censura per le foto che lo corredavano.
Dopo la lettura di un ultimo brano da Libera nos a Malo, Paolini sollecita Meneghello a fare alcune riflessioni sulla sua vocazione di scrittore [A scrivere si impara scrivendo]. Il film si conclude con la divertita e complice recita a due voci di una filastrocca in dialetto veneto: Dindon don le campane de Masòn… |