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Berlin - Jérusalem - Berlin - Jérusalem


Regia:Gitai Amos

Cast e credits:
Sceneggiatura: Amos Gitai, Gudie Lowaetz; fotografia: Henri Alekan, Nurith Aviv; montaggio: Luc Barnier; suono: Antoine Bonfanti; scenografia: Marc Petitjean; costumi: Gisela Storch; musica: Markus Stockhausen; coreografia: Pina Bausch, interpretata dai danzatori del Wuppertal, Tanztheater (sequenza iniziale); interpreti: Lisa Kreuzer (Else Lasker-Schüler), Rivka Neuman (Tanca), Markus Stockhausen Ludwig), Benjamin Levy (Paul, figlio di Else), Vernon Dobtcheff (l'editore), Veronica Lazare (la sua segretaria), Juliano Merr (Menahem), Ohad Shahar ( Nahum, fratello di Tania) , Keren Moir (Fania), Bilha Rozenfeld (Tzipora); produzione: Agav Films in assoc. con: Channel Four TV, La Sept, Nova Film, RAl2, Nos (Paesi Bassi), Orthels Fikms, Transfax, La Maison de la Culture du Havre, The Hubert Bals Fund; distribuzione: Academy; origine: Francia, 1989; durata: 93'.

Trama:Berlino, inizio degli anni Trenta. La scrittrice e poetessa Else Lasker Schüler (1869-1945; Kreuzer) conosce l'agitatrice rivoluzionaria russa Tania Shohat (Neuman) in partenza per la Palestina dove fonda una colonia agricola che realizzi la pacifica convivenza tra ebrei e palestinesi e la gestione collettivistica dell'impresa. L'incombente minaccia del nazismo al potere e la morte del figlio spingono Else a raggiungere Tania a Gerusalemme. L'esperienza comunitaria di Tania non è esente da contraddizioni, fallimenti, lacerazioni; a Else non rimane che constatare lo scacco del sogno.

Critica (1):C'è una fotografia di Else Lasker-Schuler, scattata durante il periodo berlinese della sua vita, che ritrae "la più grande poetessa che abbia avuto la Germania" (come sostenne l'amico e poeta Gottfried Benn) col busto leggermente girato di profilo verso destra e il capo piegato verso sinistra: i suoi grandi occhi neri, risolutamente tangenti all'obiettivo, appaiono in fuga dallo sguardo della macchina che vorrebbe, secondo consuetudine, incatenarla frontalmente. È probabile che Lisa Kreuzer, studiando il personaggio, abbia tenuto conto di ciò che il volto e la posa della poetessa in questa fotografia, inconsapevolmente, vollero significare e che costituisce argomento da verificare nel film, anche se, nel complesso, l'immagine che il film di Gitai ci dà di Else non corrisponde riduttivamente a quella che il lettori suoi testi potrebbe farsi, poiché se è vero che l'arte, già da sempre, possiede l'ambiguo potere di esorcizzare il reale che in qualche modo la fonda, annullando nel suo farsi, come afferma la stessa Else confidandosi col suo giovane amante, il soggetto empirico che la fa, proprio per questo è fatale che ci si dimentichi spesso e volentieri della determinatezza e della concretezza dei problemi quotidiani che assillano, come quella di tutti, anche la vita dei poeti. Mettere in scena l'inestricabile nesso che lega arte e vita: è proprio questa la scelta effettuata da Gitai nel narrare alcuni eventi altamente esemplari di Else, una scelta, peraltro, assolutamente estranea al facile biografismo cui spesso, e raramente con risultati convincenti, siamo stati abituati, e il motivo di questa rappresentazione per nulla epicizzante del milieu espressionista berlinese sta, come vedremo, nel suo essere funzione di qualcos'altro, sempre prudentemente a un passo, però, dall'appiattimento del personaggio su un suo ruolo di piena esemplarità e, d'altro canto, nemmeno risolto negli stereotipi psicologistici dell'artista déraciné di hollywoodiana memoria: tragicamente opaco, infatti, si rivela il personaggio di Else, in costante oscillazione tra i due estremi della generalità simbolica e della singolarità esistenziale.
Nella fattispecie, la poetessa del film di Gitai è prima di tutto madre preoccupata per la salute malferma del figlio, è poi anche donna per l'ennesima volta innamorata (nella realtà, oltre ad essere sposata due volte, ebbe numerose relazioni sentimentali, da una delle quali nacque il figlio Paul, all'interno dei gruppi di artisti che si trovò a frequentare). Questa premessa diventa necessaria per chiarire i limiti del tipo di analisi che si vuole condurre del film; fatta salva, cioè, la complessità dei personaggi messi in scena da Gitai, di essi si prenderà in considerazione in modo privilegiato proprio quella componente esemplare cui, lo ripetiamo, essi non possono comunque essere ridotti. La scelta di metodo effettuata permette, infatti, di ricostruire il sistema di valori in gioco nel testo e, di conseguenza, di afferrare il non immediatamente percepibile senso del progetto sotteso al film.
Nei limiti e nei termini sopra enunciati, dunque, diciamo subito che il personaggio di Else vuole rappresentare, attraverso l'esercizio della poesia, il diritto del Sogno, della cosa che non c'è o meglio che non c'è ancora, la diversione (più che la diversità) dallo status quo operata mediante la funzione cognitiva del 'immaginazione. Al suo personaggio viene ascritta tutta una gamma di sentimenti indiscutibilmente positivi e raccolti attorno al sogno primario di un luogo (un "luna-park", come suggerisce Else) in cui arabi ed ebrei possano convivere pacificati e che il mondo, così come si prospetta nelle due situazioni spazio-temporali considerate dal film (Berlino negli anni trenta, Gerusalemme nei decenni a seguire), rifiuta o rimuove, disattende o cancella con tanta inesorabile sistematicità da situare ogni moto affettivo, anche il più semplice, nella sfera di un desiderio sempre inappagato, sempre deluso, scansato, tolto un attimo prima della sua realizzazione, proprio come accade, paradossalmente, alla parola poetica, enunciata sempre un attimo prima del senso corrente che, veicolo di certezza e stabilità, fuori del verso acquisterebbe. Ci sono, come si vede, tutti gli elementi utili per configurare il messaggio onirico (di un sogno ad occhi bene aperti, però) di cui Else è fatta incarnazione, un messaggio, cioè, che non appartiene a questo mondo, forse che non appartiene al mondo e vive soltanto nell'altrove immanente dei poeti o in quello trascendente dei mistici. Tanto a Berlino quanto a Gerusalemme, infatti, Else è destinata a scontrarsi, soccombendo alla fine del conflitto, con una realtà strutturalmente omogenea nella sua refrattarietà ad accogliere in sè un qualsivoglia granello di sogno; una lotta quasi metastorica degli uomini col destino, più che una contingente lotta di classe o un preciso conflitto etnico, impedisce allo sguardo di Else di vedere, mutati i tempi e i luoghi, altro che morte, distruzione, prevaricazione, separazione artificiosa degli uomini sulla base ferina dei diritti di pura forza: il nazismo in Germania e il sionismo in Israele sono le due facce di una stessa medaglia del potere che, essendo Else ebrea, assumono inoltre l'amara, sarcastica disillusione, tutta interna al sistema di valori ebraico, nell'avvento di una Terra Promessa, un luogo messianico che lo stesso Gitai definisce 'luogo del desiderio". Afferma, infatti, Gitai: «La Terra Santa è il luogo verso cui tende la ricerca. È il destino geografico dei nostri personaggi nella ricerca della loro identità. È anche il luogo geografico reale, politico, il luogo di una lotta, di un confronto, di un potere.... Ogni popolo ha la sua Terra Santa, luogo del desiderio dove colloca le sue aspirazioni ideologiche, nazionali e religiose. I nostri personaggi si muovono in un complesso labirinto prima di raggiungere la Terra Santa. Una volta sul posto si rendono conto che la realtà umana non cambia col variare del luogo geografico».
Gianmarco Pinciroli, Cineforum n. 297, settembre 1990

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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