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Lady Bird


Regia:Gerwig Greta

Cast e credits:
Sceneggiatura: Greta Gerwig; fotografia: Sam Levy; musiche: Jon Brion; montaggio: Nick Houy; scenografia: Chris Jones; arredamento: Traci Spadorcia; costumi: April Napier; interpreti: Saoirse Ronan (Lady Bird McPherson), Laurie Metcalf (Marion McPherson), Tracy Letts (Larry McPherson), Lucas Hedges (Danny O'Neill), Timothée Chalamet (Kyle Scheible), Beanie Feldstein (Julie Steffans Sister), Lois Smith (Sarah Joan), Stephen Mckinley Henderson (Father Leviatch), Odeya Rush (Jenna Walton), Jordan Rodrigues (Miguel McPherson), Marielle Scott (Shelly Yuhan), Jake McDorman (Mr. Bruno), John Karna (Greg Anrue), Bayne Gibby (Casey Kelly), Laura Marano (Diana Greenway); produzione: Scott Rudin, Eli Bush, Evelyn O'neill per Scott Rudin Productions, Management 360, Iac Films; distribuzione; Universal Pictures International; origine: Usa, 2017; durata: 93’.

Trama:Storia di Christine McPherson, studentessa ribelle di una scuola cattolica di Sacramento che vuole evadere dalla sua famiglia e dalle restrizioni della provincia americana al fine di avere la possibilità di costruire il proprio futuro in un college di New York.

Critica (1):“Chiunque parla della California gaudente dovrebbe passare un Natale a Sacramento”. Si apre con una citazione di Joan Didion l’opera prima (in solitaria) di Greta Gerwig. Non è difficile, dopo poco, comprenderne il motivo.
Siamo nel 2002, a Sacramento appunto. Città natale della Gerwig stessa (oltre che della grande scrittrice citata), che sul grande schermo si rivede in Christine McPherson, studentessa 16enne di una scuola cattolica che pretende di farsi chiamare “Lady Bird”, soffre le troppe attenzioni materne e sogna di evadere dalle restrizioni della provincia americana per costruire il proprio futuro in un college newyorkese.
Detta così, sembrerebbe di trovarsi di fronte all’ennesimo film su un coming of age dal sapore trito e ritrito. Ciò che sorprende di Lady Bird, invece, è un insieme di elementi che ne caratterizzano tanto l’andamento quanto il “sedimento”.
Saoirse Ronan – bravissima, premiata con il Golden Globe (andato anche al film come miglior “commedia”) e in orbita nomination Oscar – è la perfetta incarnazione dell’adolescenza, quella vera, ancora lontana dall’intossicazione da smartphone e social, sospesa tra l’amore familiare (lascia a bocca aperta il modo in cui la Gerwig riesca a costruire il rapporto madre-figlia-padre, anche grazie a due interpreti meravigliosi come Laurie Metcalf e Tracy Letts) e la voglia di emanciparsi.
Sospesa, allo stesso modo, tra l’abbraccio sicuro della goffa e obesa amica del cuore, Julie (Beanie Feldstein, altra sorpresa), e le “tentazioni” di compagnie più trasgressive, cool, come la ricca – e bella – Jenna (Odeya Rush). E incuriosita, infine, dalle prime cotte amorose, diametralmente opposte per caratteristiche ma inevitabilmente deludenti in entrambi i casi, dal compagno del laboratorio di recitazione Danny (Lucas Hedges, che abbiamo già conosciuto in Manchester by the Sea) al tenebroso e nichilista Kyle (l’astro nascente Timothée Chalamet, già protagonista per Guadagnino in Chiamami col tuo nome).
Il film di Greta Gerwig ruota intorno a questa sospensione che anticipa la trasformazione. E lo fa in maniera naturale, senza ricorrere a chissà quali vezzi o esagerazioni, coccolando in un certo senso quella delicata sensazione che combina il diniego – il non riconoscersi in un nome imposto da altri, il ritrovarsi in un luogo che si vorrebbe abbandonare quanto prima, il sognare di abitare dal lato “giusto” della ferrovia… – a quell’innata affezione, sepolta nelle ceneri di un fuoco ribelle, che solamente l’allontanamento, e poi il tempo, ti costringeranno a riconoscere.
E quella telefonata nel finale, dopo la messa domenicale, è proprio lì a ricordarcelo: “Ciao mamma, sono Christine”. Semplicemente commovente.
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 19/1/2018

Critica (2):Greta Gerwig si era appena svegliata nella sua casa di New York, aveva messo su il bollitore dell’acqua per il caffè quando ha squillato il cellulare: le comunicavano che il suo primo film come regista, Lady Bird, aveva ottenuto cinque nomination agli Oscar. «Cosa ho fatto? Semplice, ho cominciato a piangere e a ridere». Generazione 80 all’assalto di Hollywood. Se Damien Chazelle ha vinto l’Oscar con La La Land a 32 anni, Greta Gerwig ne ha due in più e rischia di essere la seconda regista donna a vincere la statuetta come migliore regista dopo Kathryn Bigelow con The Hurt Locker, 2010 (ma Greta corre anche per il miglior flm), mentre in 89 anni le donne candidate sono state appena cinque (tra cui Lina Wertmüller con Pasqualino Settebellezze). «È qualcosa di eccitante e di umiliante, vivo questo momento con sentimenti contraddittori. Sono orgogliosa per tutte le persone che vi hanno preso parte. Quando Kathryn vinse, pensai che la strada per noi donne si sarebbe messa in discesa, ma fu una speranza ingenua. Insomma ora mi sembra di vivere qualcosa di irreale». Poi è successo il maremoto di Weinstein che sta rimescolando le carte a Hollywood. Ma Greta oggi non vuole aggiungere altro a quello che le sue colleghe hanno già detto.
Greta è figlia di una infermiera e di un promoter finanziario, ha studiato Filosofia e Letteratura, ama Cechov e Tennessee Williams, ha scoperto il cinema quando il set di un film con John Travolta arrivò nella sua città, a Sacramento: la neve finta, le finte lucine natalizie… Lo stesso incanto si riprodusse sul set di Spider Man, che lei seguì al di là delle transenne al tempo in cui era un’adolescente piena di sogni. Si considera una scrittrice che recita, «ma amo dirigere, è qualcosa che è cresciuto dentro di me da tanto tempo, amo Fellini e Truffaut». (…) Nel suo debutto da regista ci porta per mano nella vita di provincia americana, a Sacramento, attraverso i brufoli dell’adolescenza della sua splendida protagonista, Saoirse Ronan, primi amori, ultimo anno di liceo in una scuola cattolica e lei che a merenda mangia ostie come se fossero nutella, a casa pochi soldi, il padre disoccupato e depresso, la madre che le rinfaccia: «Sai quanto ci costa crescerti?». È un altro modo di sognare la California, è il sogno della West Coast vista di spalle.
«Se ci pensate — osserva Greta — non sono molti i film sul rapporto madre-figlia». Una storia posseduta dalla grazia (in Italia esce il primo marzo per la Universal); una ragazza che la regista definisce «uno spirito libero». Si chiama Christine, Lady Bird è il soprannome che si è data, il suo secondo battesimo. Greta è cresciuta a Sacramento e lei sa che la domanda è inevitabile: «Ok, molto di ciò che racconto nel film è personale, ma non è autobiografico. Il feeling lo è. Ci sono dinamiche familiari che capisco nel profondo. Anch’io sognavo di andare in una città più grande, New York, Londra. Come dice Madonna, mi piace stare dove le azioni avvengono. La mia protagonista a un certo punto racconta, mentendo, di essere di San Francisco. Allo stesso tempo amavo Sacramento, o meglio, sono riuscita a metterla a fuoco dopo essermene andata. A inizio film ho messo una frase di Joan Didion che dice: se pensate che la California sia sinonimo di edonismo non siete mai stati a Sacramento. Joan è una mia concittadina ed è la mia poetessa “ufficiale”, i suoi scritti furono per me un terremoto spirituale. Joan dice che ogni scrittore nasce con il presentimento di una perdita, ricordo che nella mia adolescenza mi dicevo, è così e questo non lo vivrò per sempre. Con lei è come se fossi cresciuta a Dublino e avessi improvvisamente letto James Joyce. La sua scrittura, così chiara e bella, parla del mio mondo, conosco le donne che racconta e quell’angolo di mondo».
Il film è ambientato nel 2002 perché cercava «il mondo immediatamente dopo l’11 settembre, credo abbia dato inizio a una nuova era che solo ora stiamo cominciando a comprendere. Ma la ragione principale è che oggi gli adolescenti vivono chiusi nei congegni elettronici, e la loro vita sociale appare su Snapchat, Instagram e WhatsApp, ci sono codici di cui non faccio parte e che non capisco». (...)
Valerio Cappelli, corrieredellasera.it, 25/2/2018

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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