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Nebraska


Regia:Payne Alexander

Cast e credits:
Sceneggiatura: Bob Nelson; fotografia: Phedon Papamichael; musiche: Mark Orton; montaggio: Kevin Tent; scenografia: J. Dennis Washington; arredamento: Fontaine Beauchamp Hebb; costumi: Wendy Chuck; interpreti: Bruce Dern (Woody Grant), Will Forte (David Grant), June Squibb (Kate Grant9, Bob Odenkirk (Ross Grant), Stacy Keach (Ed Pegram), Mary Louise Wilson (Zia Martha), Rance Howard (Zio Ray), Tim Driscoll (Bart), Devin Ratray (Cole), Angela McEwan (Peg Nagy), Glendora Stitt (Zia Betty), Elizabeth Moore (Zia Flo), Kevin Kunkel (Cugino Randy9, Dennis McCoig (Zio Verne), Ronald Vosta (Zio Albert), Missy Doty (Nöel), John Reynolds (Bernie Bowen), Neal Freudenburg (George Westendorf), Eula Freudenburg (Jean Westendorf), Ray Stevens (Dale Slaasted), Lois Nemec (Kathy Slaasted), Scott Goodman (Mark), Colleen O'Doherty (Janice), Franklin Dennis Jones (Zio Cecil); produzione: Paramount Vantage - Filmnation Entertainment - Blue Lake Media Fund- Echo Lake Entertainment- Bona Fide Production; distribuzione: Lucky Red; origine: Usa, 2013; durata: 121’.

Trama:Trapiantato a Billings, nel Montana, il testardo e taciturno Woody Grant riceve una lettera che gli comunica di essere il fortunato vincitore del jackpot di una lotteria pari a un milione di dollari. Deciso a intascare il premio, Woody insiste per recarsi immediatamente a Lincoln, in Nebraska: un viaggio di 1.200 chilometri che per lui può essere molto complicato da affrontare, visto che riesce a trascinarsi appena per qualche isolato e che deve fermarsi spesso a bere qualcosa. Benché riluttante e convinto che il viaggio sia apparentemente ridicolo e senza scopo, sarà il figlio David, preoccupato per lo stato mentale del padre, ad accompagnare Woody nella bizzarra traversata. Padre e figlio vivranno così una specie di moderna odissea familiare, che diventerà l'occasione per ripercorrere il passato, raccontarsi e conoscersi.

Critica (1):Da tempo aspettavamo Alexander Payne al grande film, dopo una serie di prove convincenti, anche entusiasmanti, ma sempre nell'ordine del «piccolo film d'autore indipendente». A proposito di Schmidt (con un notevole Jack Nicholson) e il delizioso Sideways (che ha creato un significativo fenomeno di cine-turismo nelle zone vinicole della California) erano tappe di una crescita artistica ineccepibile. Paradiso amaro era invece, a nostro parere, una pausa di riflessione, anche se lavorare con una star come George Clooney e guadagnarsi cinque candidature all'Oscar (di cui uno vinto, per la sceneggiatura) ha dato comunque a Payne una credibilità consolidata all'interno dell'industria hollywoodiana. Dal punto di vista delle majors il regista, dopo quell'ultimo film, era maturo per gestire qualunque progetto con attori di gran nome. E lui che ha fatto? È tornato nel natio Midwest, ha scelto come titolo il nome dello stato in cui è nato (Payne è di Omaha, Nebraska, come Fred Astaire, Marlon Brando e Montgomery Clift: aria buona, da quelle parti) e ha girato un film in bianco e nero senza attori di nome, affidando a un comprimario di lusso come Bruce Dern un ruolo per cui diversi divi erano pronti a vendere la mamma su e-bay (la Paramount, per la cronaca, voleva Gene Hackman o Robert De Niro o Robert Duvall o Jack Nicholson...). Risultato? Il capolavoro che attendevamo! Nebraska ricorda, per molti versi, lo splendido Una storia vera di David Lynch, il film più «semplice» e lineare di quel regista altrimenti labirintico e misterioso. Anche là veniva ripescato un caratterista storico, Richard Farnsworth, dandogli finalmente quel ruolo da protagonista che Hollywood - molto crudele, quando incasella le persone - gli aveva sempre rifiutato. Dern ha avuto comunque una carriera gloriosa, è stato diretto fra gli altri da Pollack, Rafelson e Hitchcock, ma un personaggio come quello di Woody Grant vale tutta una vita. (...) il film diventa una ricostruzione del rapporto padre-figlio (quest'ultimo, brillantemente interpretato da Will Forte). Roba già vista, ma sempre bella da vedere, soprattutto sullo sfondo dei paesaggi americani e nel formato più commovente che il cinema abbia mai inventato: schermo panoramico e fotografia in bianco e nero, a cura di Phedon Papamichael... ovvero di un greco, nato ad Atene ne11962 ma cresciuto in America dove ha avuto come mentore un altro greco di talento, John Cassavetes. Come vedete, tutto congiura perché Nebraska sia un consapevole omaggio al grande cinema americano degli anni '70, come già – in tempi recenti – Argo e American Hustle. E tra questi, forse, è il migliore. Non perdetelo.
Alberto Crespi, L'Unità, 16/1/2014

Critica (2):Torna Alexander Payne (...) con il suo humour crudele e insieme capace di incredibili chiaroscuri, come se disegnasse i personaggi col carboncino. Torna il sarcastico ma pietoso cantore di quelle vite comuni e forse sprecate, il regista che più di chiunque ha lavorato sul sentimento subdolo e oggi così diffuso dell'irrilevanza, della mancanza di senso, della piattezza che da un momento all'altro rischia di inghiottire vite, affetti, ricordi, orizzonti. Torna il suo sguardo divertito e insieme stupito sugli angoli più anonimi dell'America (perfino le Hawaii di Paradiso amaro concedevano ben poco alla bellezza dei paesaggi). Come se solo abolendo ogni seduzione visiva, e smascherando la retorica sempre in agguato dietro il bello come dietro il brutto e l'insignificante, potesse abbattere le ultime difese dei suoi personaggi, sempre così inermi e disperati da risultare familiari e addirittura irresistibili. Anche se la gabbia formale in cui li costringe diventa sempre più evidente film dopo film. Bianco e nero, inquadrature semplici ma studiate al millimetro, attori meravigliosi ma indiscutibilmente attori. Alle prese con dialoghi sapienti e spesso esilaranti che sono il suo marchio e mettono a nudo senza riguardo debolezze e illusioni. Il tutto per far emergere poco a poco la catena infinita di errori, omissioni, incomprensioni, rancori, e malgrado tutto questo di indefettibile affetto, che lega i membri di una famiglia e in particolare un figlio a suo padre. Un vecchio svanito (magnifico Bruce Dern, premiato a Cannes), convinto di aver vinto la lotteria, che vuole andare dal Montana a Lincoln, Nebraska, passando per la sua sperduta città natale, abbandonata tanti anni prima per incassare il suo milione di dollari. E ci andrà scortato da David (Will Forte), il figlio sensibile. (...) Un bellissimo film sul tempo, a ben vedere. Il tempo che passa mentre il passato non se ne va e i conti restano in sospeso, le vecchie ferite anche se invisibili sono sempre aperte. Ma il tempo al cinema si racconta con lo spazio. E Payne usa a meraviglia i grandi spazi vuoti dell'America profonda, le case di legno che si stagliano contro i vasti paesaggi vuoti, gli edifici bassi di quelle piccole città senza storia. Pagine quasi bianche su cui scrivere l'ultimo capitolo di una vita ancora da raccontare, prima che sia troppo tardi. Con tenerezza e ferocia, schivando il pathos ma anche l'irrisione. Come merita quel padre che il figlio forse non avrebbe mai pensato di conoscere tanto da vicino.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 16/1/2014

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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