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Voglio la testa di Garcia - Bring Me the Head of Alfredo Garcia


Regia:Peckinpah Sam

Cast e credits:
Soggetto: Frank Kowalski, Sam Peckinpah; sceneggiatura: Gordon Dawson, Sam Peckinpah; fotografia: Alex Phillips Jr.; musiche: Jerry Fielding; montaggio: Garth Craven, Dennis E. Dolan, Sergio Ortega, Robbe Roberts; scenografia: Agustin Ituarte; effetti: Raul Falomi, Federico Farfan, Leon Ortega; interpreti: Ahui Camacho (El Chavito), Helmut Dantine (Max), Farnesio De Bernal (Bernardo), Roberto Dumont (Chavo), Rene' Dupeyron (Angel), Emilio Fernandez (El Jefe), Donnie Fritts (John),Tamara Garina (Nonna Moreno), Chalo Gonzalez (Chalo), Kris Kristofferson (Paco), Don Levy ( Frank), Enrique Lucero (Estaban), Janine Maldonado(Theresa), Juan Manuel Diaz (Paulo), Monica Miguel (Dolores), Warren Oates (Bennie), Juan Jose Palacios (Juan), Yolanda Ponce (Yolo), Neri Ruiz (Maria), Jorge Russek (Cueto), Isela Vega (Elita), Robert Webber (Sappensly), Gig Young (Quill); produzione: Optimus Estudios Churubusco; distribuzione: Cineteca di Bologna; vietato: 14; origine: Messico - Usa, 1974; durata: 115'.

Trama:Bennie è un americano ridotto a fare il pianista in un pulcioso night club messicano. Quando El Jefe, potente fazendero, pone la taglia di un milione di pesos sulla testa di Alfredo Garcia, un playboy colpevole di avergli violentato la figlia, in tutto il Messico si scatena una pazzesca caccia all'uomo. Bennie lo viene a sapere e si unisce alla battuta in compagnia della sua amante, la prostituta Elita (interpretata dalla cantante messicana Isela Vega), la quale gli rivela che Garcia è morto in un incidente d'auto e giace sepolto nel suo villaggio d'origine. Dopo varie vicissitudini si giunge all'epilogo amaro: alcuni cacciatori rivali ammazzano Elita. Impazzito dal dolore, Bennie vaga fino alla magione di El Jefe con la testa di Garcia chiusa in un sacco, uccide il magnate per venire ucciso a sua volta dalle guardie del corpo.

Critica (1):Voglio la testa di Garcia (Bring Me the Head of Alfredo Garcia) segna un ulteriore passo in avanti nell'opera di Sam Peckinpah: a torto considerato un'opera minore, snobbato dalla critica, questo film, forse troppo grezzo per alcuni versi, sviluppa alcune tendenze già presenti nelle ultime opere. Prima fra tutte il ruolo e l'influenza della donna. Raramente gli eroi di Peckinpah si abbandonavano completamente alle loro compagne. Troviamo delle scene di amore felice in Cable Hogue, in Getaway, in Pat Garret, ma solo in quest'ultimo film il perdersi tra le braccia di una donna tocca una dimensione così idilliaca: la scena, bellissima, del pic-nic è lì a mostrare cosa voglia dire stare con una donna, con la sua calma e la sua intensità. Se prima avevamo potuto notare un'unione creativa sul piano dell'azione (in Getaway, tra Doc e Carol) adesso Peckinpah conta anche per quello che riguarda la dolcezza. Ma tanto più l'uomo si abbandona all'amore per una donna, tanto più diventa vulnerabile. I protagonisti del Mucchio selvaggio non avevano esitato a farsi scudo con delle messicane; Bennie, il protagonista di Voglio la testa non può nulla quando Elita è presa in ostaggio da due vagabondi (meglio che hippies perché Penckinpah nei suoi film preferisce metterci davanti la situazione odierna di smarrimento ideologico, e anche di bruttura, piuttosto che le passate spinte ideali che avevano generato il movimento). L'abbandono all'amore significa minor difesa di fronte ai pericoli: infatti è la speranza di una nuova vita con Elita (grazie ai soldi della taglia) che spinge Bennie ad imbarcarsi nell'impresa che gli costerà la vita, e non la ricompensa in sé.
Di nuova la donna, che entra in gioco, per la prima volta in Voglio la testa, come ragione stessa dell'azione. L'inseguimento alla testa di Garcia è scatenato per colpa della figlia di EI Jefe; è Elita e l'amore per lei che spingono Bennie all'azione, e anche quando l'amante viene uccisa, lui continua la sua folle corsa come per vendicare la memoria di lei; è ancora l'ostinata nonna di Garcia che scatena la prima carneficina del film, con l'agguato per riavere la testa del nipote; e alla fine del film sono le parole della figlia di EI Jefe (" Uccidilo") che convincono Bennie ad ammazzare il vecchio e a provocare quel massacro in cui perderà la vita lui stesso. Voglio la testa di Garcia si trasforma così in una specie di avventura mitologico-cavalleresca (il riferimento a Perseo che taglia la testa alla Gorgona è abbastanza evidente) dove le motivazioni dell'agire umano (o meglio del maschio) sono dettate dalle donne. Un passo avanti rispetto a Cable Hogue, dove nonostante tutto era il desiderio di vendetta di Cable a muovere le fila della storia, e anche rispetto a Getaway, dove l'uomo, Doc, era il protagonista dell'azione. Completamente ribaltata poi la prospettiva di Cane di paglia, perché Amy era capace di scatenare le azioni degli uomini solo passivamente solleticandone pruriginosamente la sessualità, e non con l'autentica forza dell'amore di Elita. Prostituta, ma perchè forse altro non possono essere le eroine di Peckinpah, qui però elevata al rango più alto di vera donna (e non come Hildy che aveva mantenuto una sua componente di attenzione al denaro, più che all'uomo).
Il resto del film non è gran cosa, con qualche fretta nella sceneggiatura, ma serve per mettere in evidenza due componenti fondamentali dl tutti i film. Bennie uccide il vecchio EI Jefe, e quindi causa la sua morte per un atto gratuito e sostanzialmente insensato: niente poteva avere contro quel padrone razzista anzi a lui doveva la sua momentanea fortuna (anche se indirettamente a lui, doveva la perdita di Elita), eppure decide di ucciderlo, per vendicare la figlia e forse dimostrare l'inutilità del denaro Un atto senza ragione se nor quella di una morale non scritta, da "uomini", a cu tutti gli eroi di Peckinpah soggiaciono.
E ancora: l'interesse del nostro regista è sempre stato rivolto all'oggi, all'America dei nostri giorni, dove hanno ragione di esistenza la violenza irrazionale e, per contrapposizione, un codice morale sorpassato. L'azione di Voglio la testa inizia in una fazenda fine ottocento, al confine col Messico tanto caro a Peckinpah: tutto sembra convalidare questa primitiva intuizione temporale (l'abito della figlia, l'ambientazione, l'atmosfera). Solo quando ci sembra di esserci convinti, l'immagine di un Boeing infrange completamente le nostre ipotesi, e tutto il film si dipana lungo un oggi carico di ricordi, che a fatica nasconde le radici sommerse nel passato. Ma è adesso che queste storie avvengono, è adesso che Peckinpah analizza l'America.
Paolo Mereghetti, Cineforum n. 141-142, 2-3/1975

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Sam Peckinpah
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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