Mentre Parigi dorme - Portes de la nuit (Les)
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Regia: | Carné Marcel |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura e dialoghi: Jacques Prévert (dal balletto di Prévert e Kosma Le rendez-vous); fotografia: Philippe Agostini; scenografia: Alexandre Trauner; musica: Joseph Kosma; interpreti: Yves Montand (Diégo), Nathalie Nattier (Malou), Pierre Brasseur (Georges), Serge Reggiani (Guy Sénéchal), Saturnin Fabre (Sénéchal), Julien Carette (Quinquina), Raymond Bussières (Lécuyer), Jean Vilar (il Destino), Dany Robin (Ètiennette), Christian Simon, Jane Marken, Sylvia Bataile; produzione: Pathé-Cinéma; origine: Francia, 1946; durata: 111'. |
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Trama: | Diégo, tornato a Parigi dopo la guerra per annunciare la morte di un compagno conosciuto nella Resistenza, ritrova l’amico e incontra una donna bellissima, che un personaggio misterioso, personificazione del destino, gli ha fatto intravedere. L’incontro quasi miracoloso tra i due non ha però futuro. La giovane donna, Malou, ha appena lasciato il ricco marito Georges. Diégo e Malou si amano a prima vista, ma sono inseguiti da Georges e dall’ex miliziano Guy Sénéchal, fratello della donna. Sorpresa Malou tra le braccia del giovane, il marito la uccide. Guy, per espiare, si getta sotto un treno. Il film si conclude con la partenza di Diégo, nuovamente solo, sotto gli occhi di un Destino sentenziante sulle umane sventure. |
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Critica (1): | Approssimativamente, le porte della notte si aprono all’ora in cui si chiudono le porte del métro e si richiudono quando quelle si riaprono. Il film meno amato e più ingiustamente misconosciuto della squadra Carné-Prévert si riassume tutto in questa concordanza di orari dove il simbolico e la materialità più banale si uniscono in una sorta di impresa di regolazione delle folle. Le porte del métro liberano l’ultima onda del popolo del giorno prima di fermarsi per lasciare alla notte il suo popolo, che non può che vagare nelle strade gelate. Se qualcuno che appartiene al giorno si mescola alla notte, ci si può attendere di tutto. Già in Il porto delle nebbie Zabel provava un gusto perverso nel ricordarci che il comune mortale non ha la minima idea delle cose che possono accadere tra mezzanotte e l’alba. Otto anni dopo, Mentre Parigi dorme, riprende una ricerca di cui il soggetto di Mac Orlan non indicava che l’avvio. Prima ragione del fraintendimento che doveva crearsi fra gli autori e la critica e, bisogna ben dirlo, una gran parte del loro pubblico. Si rimprovera loro di non cambiare nulla della loro maniera, di continuare ad operare secondo i canoni di quello che è ormai consuetudine chiamare, nel 1946, il “realismo poetico” e di non avere consapevolezza della maturazione del cinema né delle nuove esigenze di un pubblico che quattro anni di guerra ha reso ribelle ai miti di cui un tempo era soddisfatto. Rimprovero ancor più pungente è che i francesi non hanno una mentalità gran ché fantastica e che se possono, a rigore, appassionarsi a una fiaba (La bella e la bestia di Cocteau data alla stessa epoca e non è stato accolto male), sembra del tutto escluso che accettino senza nicchiare un racconto dove gli elementi che attingono al meraviglioso o perlomeno all’irrazionale si trovano legati intimamente al realismo di una descrizione terra terra della vita quotidiana. Il fantastico francese, nato sotto l’Occupazione, delle difficoltà a mettere in scena la stretta contemporaneità e dell’impossibilità a trattare soggetti che possano toccare l’attualità da vicino o da lontano, non ha per nulla lasciato le profondità dei suoi castelli né le nebbie dei suoi parchi. Nel lasciar vagabondare nelle strade del XVIII arrondissement di Parigi un barbone dall’aria equivoca (è, per iniziare, Montand che abborda in métro – “Scende alla prossima?” –, poi la coppia di fidanzati che accosta da guardone – la sua mano si posa sulla mano del ragazzo, che cade allora su quella della ragazza –, poi Nathalie Natier, che attira in un angolo buio al passaggio di Brasseur), di volta in volta inquietante o patetico e crudelmente rompiscatole, Mentre Parigi dorme solleva tutte le ambiguità quanto al carattere irrazionale, anzi simbolico, del suo intrigo, correndo così il rischio del ridicolo [...].
Altra lagnanza, si accusano gli autori di Mentre Parigi dorme di un parzialità politica che li istiga a collocare gli antichi simpatizzanti del governo di Vichy fra i piccolo-borghesi (Sénéchal padre e figlio, Saturnin Fabre e Serge Reggiani) e i rappresentanti della grande borghesia d’affari (Pierre Brasseur) mentre il minuto popolo operaio o il proletariato marginale, Raymond Lécuyer (Bussières), Quinquina (Carette) non contano per loro che vecchi resistenti o cittadini ostili alla collaborazione. Carné stesso si meraviglia, nel suo libro di ricordi, della repentina passione resistenziale che s’impadronì di Prévert al momento in cui lavorava alla sceneggiatura, mentre aveva passato assai tranquillamente, secondo tutte le apparenze, i quattro anni dell’Occupazione. Ma che ci sia stato o meno motivo di interrogarsi di fronte a questo zelo patriottico retrospettivo, bisogna ammettere che Mentre Parigi dorme offre un quadro d’una estrema precisione del clima del periodo trattato. Pittura d’atmosfera, certo, ma che raramente si trova così minuziosa nella produzione dell’epoca (la ricostruzione dell’immediato dopoguerra non si trova così adeguata, senza dubbio, che in Clouzot, in Legittima difesa e in Manon). È lì che si trova il pregio verificabile del film, in questo lavoro di ricostruzione poetica di un mondo immediatamente osservabile e che i cinegiornali d’attualità e i documentari potevano cogliere tutti i giorni. Una superficiale cronaca parigina e un vacuo personaggio hanno deplorato che Carné non abbia appunto utilizzato dei cinegiornali per le riprese nelle strade e che ha buttato una fortuna nella ricostruzione, a Billancourt, della stazione del métro di Barbès-Rochechouart. Impossibile oggi unirsi a questo coro di recriminazioni, tanto la necessità di questo modo di girare è evidente. Ciò che Carné filma nella sua stazione Barbès de Billancourt, non è solo una Parigi di rigorosa esattezza ma ancora una città rosa dalla lebbra della tenebra. Sono delle folle dove il popolo del giorno e il popolo della notte si incrociano con la massima naturalezza, in una sorta di necropoli attraversata da correnti d’aria gelida e straziata dai fischi inverosimili delle locomotive. L’accordo sapiente degli esterni ricostruiti in studio e degli esterni naturali gli permette di dar vita a questa città mitica, a questo ritratto poetico di una città che appare più vera di quella documentaria (un viso dipinto da un grande pittore è più vero di uno riprodotto da una fototessera) e che colpisce come non mai l’immaginazione. Chiunque intraprenda oggi un lavoro di ricerca storica sulla società dell’immediato dopoguerra non potrà esimersi dal vedere Mentre Parigi dorme: quale che sia lo schematismo del quadro, è là, e non altrove, che si respira ancora l’aria a un tempo gelida e vibrante di tutte le potenzialità di quel tempo. È là che si ricreano instancabilmente gli itinerari notturni della solidarietà sempre necessaria e dell’angoscia che non si è ancora imparato a dimenticare fra il deserto gelido delle strade di febbraio e i rari punti caldi e luminosi sempre camuffati in vista di eventuali raid aerei: il “ristorante del mercato nero”, l’appartamento di papà Sénéchal le cui finestre danno sul cantiere di materiali da demolizione dove sparisce il legno, l’appartamento dei Lécuyer, rifugio dall’inverno e dalla guerra non ancora finita, dove la vita si organizza, lo vediamo a colpo d’occhio, attorno alla stufa a legna...
Michel Perez, Le films de Carné, Ramsay, 1986 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Marcel Carné |
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