Psycho (1960) - Psycho
| | | | | | |
Regia: | Hitchcock Alfred |
|
Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Robert Bloch; sceneggiatura: Joseph Stefano; fotografia: John L. Russell; effetti speciali: Clarence Champagne; scenografia: Joseph Hurley, Robert Clatworthy; costumi: Helen Colvig; musica: Bernard Herrmann; montaggio: George Tomasini; interpreti: Janet Leigh (Marion Crane), Anthony Perkins (Norman Bates), Vera Miles (Lila Crane), John Gavin (Sam Loomis), Martin Balsam (il detective Milton Arbogast), John McIntire (lo sceriffo Chambers), Patricia Hitchcock (collega di Marion); produzione: Alfred Hitchcock per Paramount; origine: USA, 1960; durata: 108'. |
|
Trama: | Marion e Sam sono amanti a corto di soldi. Nell’ufficio in cui lavora come segretaria, Marion riceve l’incarico di depositare in banca una grossa somma di denaro. Decide di appropriarsene e di fuggire. Si ferma in un motel lungo la strada, abitato solo dal giovane proprietario, Norman, che ha l’hobby di imbalsamare animali. Questi la spia mentre si spoglia; quindi si reca nella casa accanto al motel, da cui si sentono provenire i rimproveri della vecchia madre dispotica. Poco dopo Marion è accoltellata sotto la doccia. Il giovane cancella ogni traccia del delitto – commesso apparentemente dalla madre – facendo sprofondare in una palude i resti e la macchina di Marion con i bagagli e il denaro. Alla ricerca di Marion ci sono, oltre la sorella Lila, Sam e un detective incaricato di recuperare i soldi. |
|
Critica (1): | Psyco è il “limite” della finzione secondo Alfred Hitchcock: la sublimazione irripetibile dell’horror nella “purezza” del pensiero visivo. Film della umbratilità e della “notte dello spirito”, Psyco forma un triangolo di ossessioni, Marion-Norman-(la Madre), dove l’ambiguità del doppio sentimento esistenziale (innocenza e colpevolezza) provoca lo spaventoso allestimento della tragedia dell’identità, ovvero il trionfo della morte. Il teschio che, in sovraimpressione, appare sul volto sorridente di Norman, nel penultimo fotogramma, è la tremenda mediazione dei transfert mamma-figlio, è la spietata iconografia del “nulla”. L’immagine dello scheletro si dissolve su quella emergente della macchina “rubata” al lugubre cimitero dello stagno: ancora un simbolo macabro (una prova che “tutto” non è stato solamente un incubo da emicrania) per chiudere il tuffo nella melma di una realtà alienata e assassina. Il pensiero visivo è la filosofia della concretizzazione dello sguardo, la dimostrazione dei potere (rappresentativo e riflessivo) dell’occhio/cinema. La macchina da presa cattura, così, la sua storia nella tranquilla normalità di un pomeriggio di dicembre (ore 14,43) a Phoenix, Arizona: una panoramica di “piani” sui palazzi fino alla facciata di mattoni, dove una finestra socchiusa si lascia penetrare, attraverso gli avvolgibili. Una coppia (lei sdraiata sul letto in enorme reggiseno bianco, lui, in piedi, a torso nudo) ha appena fatto all’amore, nell’intervallo del pranzo. Da una situazione di banale trasgressione, alla tentazione di quarantamila dollari. Il prologo di baci, abbracci, discussioni e promesse di futuro meno incerto è travolto dalla prima incursione nel “torbido”, il furto. La necessità del cambiamento di visuale spinge Psyco alla soglia dei labirinto hitchcockchiano: il melodramma ha assunto i toni di un “mistery” che presto si rivelerà come un altro, beffardo McGuffin. Marion ruba per ottenere la libertà (del divorzio) di Sam, ma, nello stesso istante, è lei che cessa di essere libera. Ora è schiava della propria “macchinazione” e il brevissimo incontro, in strada, con il principale, sancisce la conclusione dello “understatement”: non ci saranno più tenui variazioni di racconto, ma esclusivamente gli agguati paurosi della suspense e del terrore. [...] La “spirale” del cinema di Hitchcock ha raccontato un “caso clinico” che le parole del dottor Richmond spiegano secondo la dottrina psichiatrica. Ma questa “confessione” di verità era già esplosa sullo schermo nella “sinfonia” dello sguardo, nella splendida architettura barocca del pensiero visivo, nelle sue costruzioni concentriche, dove il dramma della solitudine (Marion/Norman) degrada nella “distruzione” della famiglia, nell’impossibilità della coppia, nella sessualità negata. Psyco è la “favola” di una suspense dilatata parossisticamente e consegnata alle frementi soluzioni di una circolarità esemplare. I “topos” hitchcockchiani (gli specchi, le scale, le connotazioni dei personaggi) sono “divorati” da un montaggio frantumato e atomizzato in una composizione di “attrazioni” immediate e simboliche. La sequenza della doccia è l’accentuazione creativa dello slancio verso l’angoscia dei “voyeur” e verso la sua catarsi, nella feroce fisicità dell’emozione.
Natalino Bruzzone, Valerio Caprara,I film di Alfred Hitchcock, Gremese 1976 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Alfred Hitchcock |
| |
|