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Tempo dei cavalli ubriachi (Il) - Zamani barayé masti asbha


Regia:Ghobadi Bahman

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Bahman Ghobadi; fotografia: Saed Nikzat ; musiche: Samad Tavazoi; interpreti: Ayoub Ahmadi (Ayoub), Rojin Younessi (Rojin), Amaneh Ekhtiar-dini (Ameneh), Madi Ekhtiar-dini (Madi), Nezhad Ekhtiar-Dini, Jouvin Younessi ; produzione: Bahman Ghobadi; distribuzione: Lucky Red; origine:Francia/Iran, 2000; durata: 80'.

Trama:La durissima vita di tre fratelli in un villaggio al confine tra Kurdistan iraniano e Iraq. Per salvare il più giovane dei tre, affetto da una gravissima malettia, tutti si ingegnano per trovare il denaro necessario per una costosa operazione.

Critica (1):Consapevole dell'estrema drammaticità della materia narrata, che tra l'altro è in buona parte autentica, con i piccoli protagonisti chiamati ad interpretare se stessi nella loro esperienza quotidiana, il regista Bahman Ghobadi ha giustamente privilegiato una narrazione semplice, lineare, quasi documentaristica. L'occhio della cinepresa appare sempre distante dai fatti narrati e tuttavia il film risulta estremamente emozionante e coinvolgente. Stile, atmosfere, contenuti sono quelli tipici del cinema iraniano e del resto Ghodabi, all'esordio nel lungometraggio, premiato a Cannes 2000 con la Camera d'Or, ha lavorato con i Makhmalbaf padre e figlia. Il tempo dei cavalli ubriachi è un film essenziale, rarefatto, severo, che ricorda come la vita ancora oggi possa essere dura e difficile e, anche per la struttura del racconto, rimanda ad un'altro recente film girato ai confini del mondo: Himalaya di Eric Valli. I piccoli eroi protagonisti della storia sono costantemente costretti ad affrontare situazioni più grandi di loro ed anche l'ambiente che li circonda, una natura ostile ed aspra, esaspera il senso di minaccia e di tragedia. Lo strano titolo del film merita una spiegazione: per aiutare i muli a sopportare le fatiche, il freddo e il gelo, i contrabbandieri mescolano nell'acqua offerta agli animali anche qualche bottiglia di alcool. Ma a volte capita che le quantità siano esagerate ed, esattamente come gli uomini, anche i muli si ubriacano.
Franco Montini, Kwcinema

Critica (2):Un film coperto di premi a Cannes: Caméra d'or come miglior opera prima (ex aequo con un altro film iraniano) e premio Fipresci della critica internazionale. Iraniano di etnia curda, Bahman Ghobadi, assistente di Kiarostami per Il vento ci porterà via e attore in La mela di Samira Makhmalbaf, sa raccontare con forza cinematografica e umana pietà le storie del suo popolo. Montagne innevate, freddo, crudeltà e miseria nel paese che non c'è, il Kurdistan alla frontiera con l'Iraq. Vite difficili per tutti, soprattutto per chi è bambino e orfano. Un ragazzo di quindici anni deve provvedere ai suoi quattro fratelli e sorelline. Uno di loro soffre di una malformazione ossea, ha bisogno di essere operato, viene amorevolmente portato in giro appeso al fianco come una bambolina. C'è la guerra. I bambini fanno i contrabbandieri, portano su e giù per le montagne pesanti carichi. Tutti adulti ben prima del tempo, tutti a battersi contro la natura e contro ali uomini. Una scena indimenticabile quando le bestie ubriacate per farle arrivare in cima al passo cadono nell'alta neve e i grossi pneumatici da trattore appesi ai fianchi di muli e cavalli rotolano a valle. Immagini precise, senza compiacimenti né scivolate nel melodrammatico. Uomini in guerra, bestie ubriache e bambini soli.
Bruno Fornara, Film TV , 10/4/2001

Critica (3):Fuori dal centro, al confine. In questo luogo si colloca Il tempo dei cavalli ubriachi. Un confine fisico, nel Kurdistan iraniano, vicino alla frontiera con l'Irak, ma anche un confine dell'esistenza, soglia del dolore. La vita dei protagonisti del film è al limite, come quella del piccolo Madi, affetto da una malattia di tale gravità che solo per prolungargli la vita di qualche mese saranno necessarie cure costosissime. Ghobadi, già assistente di Kiarostami ne Il vento ci porterà via e attore in Lavagne di Samira Makhmalbaf, ricrea una storia (con le stesse persone che l'hanno vissuta) in cui ciò che emerge con più forza è il dolore, la sofferenza di una vita segnata dalla marginalità, dall'invisibilità. Una sofferenza che si mostra nella materia di cui è composto il film, il fango, la roccia, il paesaggio innevato in cui Ayud, Madi e il mulo si inerpicano nel finale, e la figura dei cavalli, dei muli ubriachi, riempiti di alcool dai contrabbandieri per permettergli di sopportare le rigide temperature delle montagne. Soprattutto, eccessivo e visibile è il corpo piccolo e deforme di Madi, centro attorno al quale ruota tutto il film, ripreso con partecipazione e distacco dalla macchina da presa. La grandezza de Il tempo dei cavalli ubriachi sta in questo saper mostrare esistenze al confine attraverso la materia, la fisicità di una sofferenza che proprio per questo si fa immagine e non simbolo. Sono i corpi segnati di Madi e di Ayud, di sua sorella e della loro madre a diventare luoghi del cinema, corpi al confine, segni non retorici di un cinema che è ancora una volta profondamente politico. Ghobadi non indugia su di loro, non cerca effetti drammatici, ma lascia che il mondo emerga tra le pieghe dell'inquadratura, tra le rughe dei volti, nei contorni di un paesaggio di confine.
Daniele Dottorini, Sentieri selvaggi

Critica (4):
Bahman Ghobadi
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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