Demoni e dei - Gods and Monsters
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Regia: | Condon Bill |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Bill Condon; fotografia: Stephen M. Katz; montaggio: Virginia Katz; musica: Carter Burwell; scenografia: Richard Sherman; interpreti: Ian McKellen (James Whale), Brendan Fraser (Clayton Boone), Lynn Redgrave (Hanna), Lolita Davidovich (Betty); produzione: Paul Colichman, Gregg Feinberg, Mark R. Harris; distribuzione: Lucky Red; origine: Gran Bretagna, 1998; durata: 105’. |
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Trama: | Tratto dal romanzo "Father of Frankenstein" di Christopher Bram, il film racconta gli ultimi giorni di James Whale, il regista inglese suicidatosi nel 1957 e autore del primo Frankenstein cinematografico. Ci vengono mostrati i suoi incubi e le sue gioie (i demoni e gli dei). |
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Critica (1): | Nella confortevole solitudine della villa su Amalfi Drive, Pacific Palisades, l’anziano James Whale, autore di celebri film horror anni ’30, è convalescente da un infarto, assistito dalla fedele Hanna. Un giovane e muscoloso ex-marine dall’aria torpida, ma dall’animo poetico e sensibile, falcia con energia l’erba accanto alla piscina. Un giorno Whale lo invita a posare per lui. Clayton Boone è titubante e imbarazzato, ma resta affascinato dalle storie che il regista inizia a raccontargli. Whale non ha mai nascosto, nonostante Hollywood ed il suo codice, di essere gay e quando Clayton, capendolo, s’infuria, lo tranquillizza con un’affermazione rivelatrice: “So benissimo che mi spezzeresti il collo, se osassi toccarti”. Intanto, le crisi si fanno più frequenti, con flashback vividissimi del passato: i dietro le quinte della lavorazione dei film, la misera infanzia in una cupa cittadina industriale inglese, la morte di un soldato amato sul fronte della I° Guerra Mondiale. Purtroppo, il suo stato mentale è destinato a deteriorarsi ulteriormente e Whale parla sempre più spesso della morte. Una sera, infine, al ritorno da un party nella villa di George Cukor, dove ha incontrato Boris Karloff ed Elsa Lanchester, i suoi interpreti de La moglie di Frankenstein, esprime un desiderio, che Clayton non vuole esaudire. Allora, indossando i suoi abiti preferiti, si avvia verso la piscina… Prodotto dal filmaker horror Clive Barker, affascinato dalla figura di Whale, maestro del gotico anni ’30 (The Old Dark House, The Invisible Man, Frankenstein ed il sarcastico, tenero, ironico capolavoro horror Bride of Frankenstein, ormai citazione classica e parodiato nel ’74 da Mel Brooks), Gods & Monsters (dal brindisi del Dr Pretorius ne La Moglie di Frankenstein: “A un nuovo mondo di Dei e di Mostri”) è una raffinata commedia noir, sottilmente satirica, godibilissima nelle atmosfere d’epoca, ricreate con grande accuratezza da Bill Condon (Murder 101, Dead in the Water) e giocata fra l’ironia ed il dramma. Basato sull’omonimo romanzo di Christopher Bram, ipotizza gli ultimi giorni di Whale, trovato morto nella sua piscina il 29 maggio ’57. All’epoca, per le preferenze sessuali del regista e la “scenografia” alla Sunset Boulevard, si parlò di delitto passionale, ma tutto rimase nel mistero e non è improbabile, come qui s’ipotizza, che Whale volesse sottrarsi al declino con l’aiuto di un angelo della morte, del suo Mostro magari. E Brendon Fraser (George of the Jungle), aria ruvida e capelli dritti, è un Mostro tenero e simpatico. Inoltre, per questo film-rivelazione del Sundance ’98, premiato a San Sebastian, Seattle e Dauville, Condon ha ricostruito tutto minuziosamente: l’atelier di Whale (con cinque tele originali), il set del ’35 alla Universal (con il laboratorio di Frankenstein uguale a quello del filmato), lo stile degli Studios. Stupefacenti i comprimari, tutti somigliantissimi al cast originale di The Bride. Ma, su tutto e tutti, giganteggia l’interpretazione di Sir Ian McKellen (Riccardo III, L’allievo), che gli è appena valsa una delle tre Nomination all’Oscar assegnate al film.
Giovanna Arrighi, Vivilcinema n. 70, gennaio/febbraio 1999 |
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Critica (2): | Una commedia sulla morte»: questo è La moglie di Franbenstein (1935). O almeno, questo Bill Condon fa dire dal suo James Whale (Ian McKellen) a Clayton Boone (Brendan Fraser), l'aitante giardiniere che gli sta davanti e che, non corrisposto, amerebbe sedurre. La situazione potrebbe essere imbarazzante per il padre ormai sessantottenne di Frankenstein. Siamo nel 1957, e il cinema è meno ingenuo. O forse è ingenuo in un altro modo, più adatto al proprio tempo. In ogni caso, si è tentati di ridere della Signora Frankenstein (nel 1935 era Elsa Lanchester), con le sue due mèche bianche a mo' di scintilla elettrica sopra una capigliatura a torre. Clayton se ne è accorto la sera prima, vedendo il vecchio film con amici tanto disattenti quanto sarcastici. Ora ne parla a James, senza fargli cenno di risate inopportune. Il regista le intuisce, ma non ne soffre. In un certo senso, addirittura le pretende. Era intenzionale, l'ingenuità. Lo era già 22 anni prima. Se non il ridicolo, era intenzionale almeno il comico, trattandosi appunto d'una commedia sulla morte. Che cosa questo significhi, a che cosa rimandi la sua aperta con- tradizione, è poi il tema centrale di Demoni e dei (Gods and Monsters, Usa, 1998), che Condon ha sceneggiato e girato sulla base d'una "biografia leggendaria" scritta da Christopher Bram (The Father of Frankenstein). Sono più d'una le linee narrative che percorrono il film. Anzi, lo si può gustare anche solo come una grande prova d'attore. McKellen non è solo bravo, è sorprendente. La sua maestria mimetica è tale che gli consente d'esser qui un inglese ironico con la stessa apparente facilità con cui è un impaurito, crudele nazista ottantenne in L'allievo (Bryan Singer, 1998), o un folle usurpatore nel Riccardo III di Richard Loncraine (1995). A fare della sua interpretazione un capolavoro espressivo basterebbe il modo di guardare e di ascoltare Clayton: come da un ideale punto d'osservazione esterno, "contiguo" all'inquadratura. C'è poi, in Demoni e dei, una divertita descrizione della Hollywood che ruota attorno a grandi autori come George Cukor, che – stando al sarcasmo del Whale di Condon – non sono uomini altrettanto grandi. Deliziosa, in questo senso, è la ricostruzione d'una festa in casa Cukor, con una principessa Margaret del tutto inconsapevole di quel che le capita attorno e con vecchie glorie alla Boris Karloff colte nella loro disarmata banalità quotidiana, vecchi e imbolsiti e, come talvolta capita con gli anni, anche un po' rimbambiti. E c'è ancora, senza dubbio, il rimpianto d'un uomo che è giunto alla soglia della fine, angosciato da un corpo che non corrisponde più al desiderio, e che tenta inutilmente di ritrovare il piacere d'un tempo lontano. Oltre e contro la sua intenzione, questa nostalgia lo riporta prima all'adolescenza – alla memoria d'un padre gretto da cui, per tutta la vita, ha fatto in modo di separarsi e che ora però torna, di nuovo con il sapore acre del risentimento –, e poi alla giovinezza, ai lunghi giorni passati in trincea, all'amore e alla paura, alla tenerezza e allo sgomento che là si contendevano il suo cuore e la sua testa. Clayton è dunque per James una possibilità estrema. E non si tratta soprattutto di sedurlo in senso erotico. Si tratta, semmai, prima di scrutare in lui una pienezza di vita ormai inavvicinabile, poi di indurlo a un gesto che è d'amore, ma d'un amore solo reattivo, negativo. Da lui, ultimo "amante" contro la sua stessa volontà, James s'aspetta d'essere ucciso. A questo scopo lo circuisce, lo provoca: con gli stessi strumenti seduttivi d'un tempo, solo piegati non più alla vita ma alla morte. Per ottenere il suo scopo, James è costretto a frequentare di nuovo i suoi antichi fantasmi: quelli erotici, ma anche quelli d'una solitudine sofferente, d'un terrore indifeso sperimentato a lungo, e che in trincea ha conosciuto un terribile trionfo. Che senso hanno mai avuto i suoi mostri, con i loro corpi artificiali, assemblati e narrati pezzo per pezzo, se non di sostituirsi a esseri umani ben più mostruosi e crudeli? Giocando con loro, raccontandoli con una ingenuità premeditata, per anni ha tenuto a bada solitudine e terrore, volti in commedia. Ora, così gli pare, un giovanotto che ne ha quasi l'aspetto – a partire da una capigliatura squadrata come la testa di Frankenstein –, potrebbe aiutarlo ad affrontare l'ultima paura.
Quanto a Clayton, nel vecchio che pian piano impara a conoscere scorge una dimensione insospettata, leggera e liberatrice. È, questa, la dimensione in cui la vita non è solo vissuta ma anche raccontata, e nel racconto è assemblata pezzo per pezzo, migliorata. In questo, James è stato davvero per lui un padre. Infatti, ora egli stesso padre, nell'ultima inquadratura ne rammemora la presenza, muovendosi a scatti sotto la pioggia con la leggerezza "comica" dei suoi mostri.
Roberto Escobar, Il Sole 24-Ore, 21 marzo 1999 |
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| Bill Condon |
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