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Uomo che ride (L') - Man Who Laughs (The)


Regia:Leni Paul

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Victor Hugo; sceneggiatura: J. Grubb Alexander, Bela Sekely (non citati nei titoli di testa: Charles E. Whittaker, Marion Ward, May MacLean; scenografia: Charles D. Hall, Joseph Wright, Thomas F. O'Neill; montaggio: Maurice Pivar, Edward Cahn; interpreti: Conrad Veidt (Gwynplaine), Mary Philbin (Dea), Olga Baclanova (duchessa Josiana), Josephine Crowell (regina Anna), George Siegmann (Dr. Hardquannone), Brandon Hurst (Barkilphedro), Sam De Grasse (Re James), Stuart Holmes (Lord Dirry-Moir), Cesare Gravina (Ursus); produzione: Paul Kohner (Universal Pictures); origine: USA, 1928; durata: 116'.

Da Cineteca del Comune di Bologna, Cinémathèque Française, Fondazione Cineteca Italiana, con la collaborazione di Hollywood Classics - Con il sostegno di Gras Savoye, Commissaire aux Comptes de Paris, Quinzaine des réalisateurs. Partitura scritta e diretta da Gabriel Thibaudeau, eseguita da Octuor de France: Jean-Louis Sajot (clarinetto), Yuriko Naganuma (primo violino), Sylvie Sentenac (secondo violino), Laurent Jouanneau (Alto), Paul Broutin (violoncello), Philippe Blard (contrabasso), Jacques Thareau (fagotto), Antoine Degremont (cor), David Braslawsky (piano). L'Octuor de France, creato su iniziativa del clarinettista Jean-Louis Sajot nel 1979, ha la finalità di far conoscere la letteratura musicale per clarinetto dal XVIII secolo ai giorni nostri.

Trama:Nella Londra dell'ultimo Settecento Gwynplaine, orfanello sfigurato a due anni dai comprachicos che gli hanno fissato la bocca in un ghigno perenne, vive con il bravo Ursus, la coetanea cieca Dea e il lupo Homo, passando di fiera in fiera come fenomeno da baraccone. Cresciuto e diventato un clown, apprende di essere figlio di Lord Clancharlie. Fatto il suo ingresso nella Camera dei Lord, pronuncia un discorso contro la nobiltà e se ne va per raggiungere Dea e Ursus che, messi al bando, stanno salpando per l'esilio.

Critica (1):Terzo dei quattro film hollywoodiani del regista e scenografo tedesco P. Leni (1885-1929), è considerato una delle migliori opere del cinema muto al tramonto per la straordinaria forza plastica con cui traduce il ridondante romanticismo di Hugo. (...) Sembra che Leni avesse girato anche un finale più fedele a quello del romanzo dove Dea spira tra le braccia di Gwynplaine che si dà la morte. Nel 1930 fu sonorizzato. Restaurato alla fine degli anni '90 dalla Cineteca del Comune di Bologna su due copie fornite dalla Cinémathèque di Parigi e dalla Cineteca Italiana di Milano e accompagnato da una partitura originale di Gabriel Thibaudeau, eseguita dall'ensemble Octuor de France.
Morando Morandini

Critica (2):Come il film, anche questa partitura musicale è fatta di contrasti. Si passa da un lirismo romantico alle scure sonorità espressioniste, conservando tuttavia un colore tutto francese. Victor Hugo oblige. Opera senza voce per un film muto, questa musica tenta di portarci là dove le parole non possono condurci.
Gabriel Thibaudeau

Critica (3):Prima di restaurare un film è necessario avviare un lavoro di ricerca per identificare e raccogliere tutti gli elementi filmici e non filmici esistenti. Nel caso del film di Leni questo lavoro ci ha permesso di accertare l'esistenza di otto copie diverse. Due sole tra queste, però, erano elementi di prima generazione, ancora su supporto nitrato: una copia in bianco e nero conservata dal National Film and Television Archive di Londra, con didascalie inglesi, e una copia conservata dalla Fondazione Cineteca Italiana, Milano. Le due copie - corrispondenti alle versioni di distribuzione inglese e italiana - furono stampate, in due momenti successivi, a partire dallo stesso negativo originale della versione europea. Per quanto riguarda le didascalie, quelle della versione italiana differivano da quelle inglesi per lo stile, il contenuto e la grafica (molto più elaborata, e con disegni che cambiano per ogni didascalia). (...) Dal punto di vista fotografico, le due copie sono sorprendentemente simili, a testimonianza della estrema regolarità raggiunta dalle pratiche di laboratorio nel cinema della fine degli anni '20. Inevitabili differenze di contrasto e di densità fra le due copie sono state corrette in fase di duplicazione, al fine di ottenere una versione quanto più omogenea possibile dal punto di vista fotografico, e che restituisse appieno i contrasti tonali e la gamma del bianco e nero originale: anche in considerazione del fatto che la fotografia e l'illuminazione di Gilbert Warrenton concorrono decisamente a porre L'uomo che ride agli apici della produzione cinematografica americana della fine del periodo muto.
Gian Luca Farinelli e Nicola Mazzanti, Perché restaurare "L'uomo che ride", in AA.VV, The Man Who Laughs, Ancona, Transeuropa, 1998

Critica (4):I virtuosismi della cinepresa, le invenzioni nelle inquadrature, l'incisività dell'interpretazione (in particolare di Conrad Veidt e Olga Baclanova, il cui accostamento risulta piuttosto audace), la valorizzazione delle scenografie, certamente dovuta alla ricca esperienza espressionista del regista, sono caratteristiche abituali dello stile di Leni. Qui le ritroviamo moltiplicate grazie ai mezzi che la Universal aveva messo a disposizione del regista. Esse rendono omaggio a Hugo dando vita a una narrazione costantemente animata e avvincente, alla quale mancano tuttavia un'intensità lirica nelle scene intime e una visione più critica e accurata della società dell'epoca. 'Il XVII è un secolo molto bizantino', diceva Hugo 'ha conosciuto l'ingenuità corrotta e la ferocia gentile, curiosa variante di civiltà'. Qui si rimane nell'ambito del feuilleton, pur con immagini ispirate e di grande valore artistico; ma, a questi livelli, anche il feuilleton merita rispetto.
Jacques Lourcelles, L'homme qui rit, in AA.VV., The Man Who Laughs, Ancona, Transeuropa, 1998
Paul Leni
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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