California Poker - California Split
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Regia: | Altman Robert |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Joseph Walsh; fotografia (Panavision / Metrocolor): Paul Lohomann; montaggio: Lou Lambardo; scenografia: Leon Ericksen; musica: canzoni varie, cantate da Phyllis Shotwell; interpreti: Elliot Gould (Charlie Waters), George Segal (Bill Denny), Ann Prentiss (Barbara Miller), Gwen Welles (Susan Peters), Edward Wals (Lew), Joseph Walsh (Sparkie), Bert Remsen (Helen Brown), Barbara London (signora sull'autobus ), Barbara Ruick ( cameriera); Barbara Colby (assistente), Jay Fletcher (rapinatore), Jeff Goldblum (Lloyd Harris), Vince Palmieri (primo barista), Jack Riley (secondo barista), Alyce Passman (ragazza go-go), Joanne Strauss (madre), Sierra Bandit, John Considine (donna e uomo al bar), Eugene Troobnick (Harvey), Richard Kennedy (venditore di macchine usate), JohnWinston (tenore),Bill Duffy (Kenny), Mike Greene (croupier a Reno), Toni Signorelli (Nugie), Sharon Compton (moglie di Nugie), Arnold Herwstein, Marc Cavell, Alvi Weissman, Mickey Fox, Carolyn Lohmann (giocatori di poker del California Club), "Amarillo Slim" Preston, Winston Lee, Harry Drackett, Thomas Hai Phillis, Ted Say, A. J. Hood (giocatori di poker a Reno); produzione: Won World (USA); distribuzione: Ceiad Columbia; origine: USA, 1976; durata : 110'. |
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Trama: | Giocatore accanito l'uno, occasionale l'altro, Charlie (Elliott Gould) e Bill (George Segal) diventano amici. Convinti di avere la fortuna dalla loro, si recano insieme a Reno, altra capitale del gioco d'azzardo del Nevada, insieme con Las Vegas, e sbancano il Casinò. Quasi un film-verità sul gioco, specchio di un'America che si vuole inventare il futuro, divertente e coinvolgente, girato a metà degli anni Settanta, ovvero nel periodo di maggior successo di Altman, tra M.A.S.H. e Nashville, con un Elliott Gould in forma smagliante. |
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Critica (1): | "Denaro! Denaro! Denaro!
Urlante, pazzo, celestiale denaro dell'illusione /
Denaro fatto di nulla, di fame, di suicidio /
Denaro di fallimento ! Denaro di morte /
Denaro contro l'eternità! E i possenti mulini dell'eternità macinano /
la carta immensa dell'illusione ".
Versi di Allen Ginsberg (Morte all'orecchio di Van Gogh) si addicono perfettamente a California Poker il cui vero protagonista e appunto il Denaro. Lo inseguono , lo posseggono, lo perdono , lo riconquistano ed infine, riempitesene le tasche, se ne sentono spossati (ma implicitamente disposti, domani, a ricominciare la giostra), due giovanotti di Los Angeles, Billy Denny - che fa il giornalista ed avrebbe dunque un mestiere da esplicare - e Charlie Waters - che invece mestieri stabili non sembra proprio averne. Conosciutisi casualmente in un circolo pokeristico - dove vecchie signore indegne e degnissimi professionisti, lestofanti dalla mano veloce e remissivi dall'occhio tremebondo, sfidano assieme la sorte cavalcando scale reali e doppie all'asso - i due fanno presto ad affiatarsi perché accomunati dalla identica, irresistibile, e ineluttabile spinta a giocare, giocare, giocare per avere denaro, denaro, denaro. Giocano ai cavalli, giocano sulla prossima partita di campionato, giocano coni ragazzi del rione a chi mette più palloni dentro la rete. E siccome, perdono assai più di quanto vincono, sono eternamente perseguitati dai debitori cui promettono, assicurano, giurano; senza mai riuscire a mantenere l'impegno: Al di là del gioco che li accomuna - e su cui fondano una amicizia fatta di solidarietà ed aiuto nel perenne rischio quotidiano del trovar soldi, del giocarli, del perderli, del trovarne altri, del riperderli, e così via - non sembrano avere altra presenza nel mondo. Frequentano amichevolmente due giovani e simpatiche prostitutelle con cui ogni tanto si intrattengono; ma senza che ne venga fuori qualcosa di più d'una amicizia o di un legame occasionale.
Un giorno Bill, perseguitato più che mai dai creditori, decidi vendere tutto (cioè l'auto, la macchina da scrivere, il binocolo, la macchina fotografica e poco altro) e di andarsene a Reno a tentare la sorte: sente dentro che è il momento buono. Lo segue Charlie ed i due, messi insieme i capitali (ma il "braccio" sarà Bill che, appunto, lo "sentiva), si gettano sui tavoli del poker, dei baccarà del chemin de fer , dei dadi, della roulette sbaragliando ogni avversario. Risultato: 82.000 dollari, cioè all'incirca una trentina di milioni (in lire) cadauno. Ed un fondo di tristezza, una sensazione di abbruttimento, un sentimento di vuoto; come rendendosi conto che la meta, una volta raggiunta, non dà alcuna particolare felicità, non cancella nessun fantasma , non riempie nessuna solitudine. Ecco dunque un film come di rado capita di vederne: ideato da soggettisti che amano il rischio, sceneggiato e dialogato da dei professionisti sopraffini, interpretato da due attori superbi, girato da un regista che usa la cinepresa come un mago.California Poker (in originale California Split) è certamente il capolavoro dì Altman (un regista che nei sei film precedenti ha dato già parecchie opere dì rilievo: basti pensare a Il lungo addio) ed altrettanto indubbiamente uno dei più bei film americani di questi ultimi tempi, segno vitalissimo di quale epoca d'oro stia di nuovo attraversando il cinema di Hollywood. Purtroppo l'accenno alla trama, croce e delizia di ogni rubrica di critica militante, è questa volta assai prossimo al tradimento del lettore. Il quale, se seguendo il suggerimento del critico cinematografico andrà a vedere California Poker, sì aspetterà probabilmente un racconto a tutto tondo e doviziosamente dettagliato di quanto abbiamo sintetizzato e si troverà invece di fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato: un film che sembra girato con la cinepresa nascosta; di tono (fotografico) e di piglio (narrativo) quasi documentaristici; da "tranche de vie" registrata a sorpresa, senza un vero inizio e senza una vera fine; in una quasi assoluta orizzontalità narrativa per cui il film termina là dove avrebbe potuto ricominciare e comincia là dove avrebbe potuto finire, radiografia di una situazione più che narrazione di un conflitto. Il fatto è che tanta spontaneità e tanta immediatezza (dove anche i doppiatori italiani, diretti da Contestabile, debbono avere fatto dei miracoli) sono, al di là della apparenza, il risultato di una rara sapienza registica, di una tecnica raffinata e di un consumato mestiere (oltreché di una rilevante disponibilità di mezzi, tecnici e finanziari). L'impressione di realtà che offre il film (e mai, forse come in questo caso il discorso sulla specificità "realistica" del linguaggio cinematografico appare centrato in tutta la sua "ambiguità") è insomma il risultato di una orchestrazione la cui maggiore qualità è quella di occultarsi come sommo momento. di artificio, quasicché la cinepresa sparisse, la tecnica venisse riassorbita dal linguaggio ed il materiale profilmico (cioè quello che si trova davanti alla macchina da presa quando essa riprende) fosse tutt'uno con le immagini. E come quasi sempre accade nei film di gran livello lo spunto così semplice, e quasi giocoso, è denso di implicazioni e graffia dì profondità. Dietro la febbre delirante che divora i protagonisti non sembra esservi soltanto un discorso sul gioco come rituale competitivo allo stato puro, e dunque come struttura etica del Capitale privata da qualsiasi "mediazione "sociale. La corsa al denaro come "valore in sé" (neppure più come condizione per la realizzazione di altri valori) diventa allegoricamente, un'immagine, angosciosa ed ossessiva (proprio perché apparentemente così "allegra "e così "libera" delle coazioni a ripetere caratteristiche di una società etero diretta come quella americana. Giocare, vincere, ottenere denaro - cioè realizzare direttamente il meccanismo di appropriazione altrimenti "socializzato" è per Bill e Charlie sostitutivo di ogni altra forma di vita: sesso, lavoro, cultura, tutto viene surrogatoriamente scaricato (e nulla, dunque, più direttamente realizzato) sul tavolo da gioco e allo sportello delle scommesse, realizzando direttamente quei rituali della sopravvivenza che altri (per esempio le due prostitute amiche di Bill e Charlie) debbono praticare in modo diverso e con un grado di alienazione forse meno evidente, ma non per questo meno rilevante. California Poker, in questa luce, la metafora amara di un frenetico vivere nel falso: una allucinata fuga dalla solitudine e dall'impotenza a conclusione della quale l "giocatore", pur vincendo (anzi proprio perché ha vinto) sente di essere definitivamente sconfitto.
Lino Miccichè, Cinema 60, n. 101, gennaio/febbraio 1973 |
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