RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
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Articolo 2 (L')


Regia:Zaccaro Maurizio

Cast e credits:
Sceneggiatura: Maurizio Zaccaro; fotografia: Pasquale Rachini; montaggio: Rita Rossi; musica: Alesso Vlad, Claudio Capponi; interpreti: Mohamed Miftah (Said), Rabia Ben Abdallah (Fatma), Naima ei Mcherqui (Malika), Susanna Marcomeni (avvocato), Fabio Bussotti (Braccio di Ferro), Fabio Sartor (Saverio); produzione: Ernesto Di Sarro, Maurizio Nichetti, Marcello Siena per Bambù Cinema e TV/Produzioni Si.Re., con la collaborazione di Reteltalia; distribuzione: Mikado;origine: Italia 1993; durata: 109'.

Trama:Said Kateb, algerino, vive in un quartiere da poco sorto nelle campagne dell'hinterland milanese con la moglie Malika e i tre figli. Said è un immigrato della prima generazione con tutti i permessi in regola, quindi "diverso" rispetto ai tanti immigrati semiclandestini e disperati di oggi. Difatti, pur essendo musulmano, è decisamente integrato: ha un lavoro e con il suo stipendio può mantenere la famiglia e anche spedire, di tanto in tanto qualche risparmio a casa, in Algeria. La sua è un'esistenza fatta di fatica ma anche di grande dignità e fierezza e i suoi compagni di squadra, con i quali lavora agli scavi per una nuova linea della metropolitana, lo apprezzano e lo rispettano. Suo figlio Mohamed frequenta, come tutti i suoi coetanei, la seconda elementare, salvo l'ora di religione dalla quale è esonerato, essendo musulmano. A parte questo è un bambino come gli altri, benché a volte debba subire lo scherno di alcuni amichetti che non sorvolano sulla diversità del suo aspetto. La vita di Malika, di Rabia e della piccola Lamia si svolge, così come avverrebbe in Algeria, prevalentemente fra le mura di casa. Il legame con il paese d'origine è forte ed evidente, ostentato quasi con orgoglio, soprattutto nel rispetto delle abitudini e dei rituali, come quello delle preghiere quotidiane alle quali Said, invece, non si unisce. Alla morte del vecchio padre di Said, un'altra donna con tre figli lascia la casa di Ain Safra, in Algeria, per andare a raggiungere Said in Italia. Dopo un viaggio estenuante e non privo di contrattempi, Fatma arriva infine al porto di Genova, dove viene però "fermata" dalle norme in vigore della legge italiana sull'immigrazione, sempre più severa ed intransigente con gli extracomunitari in arrivo. L'arrivo imprevisto di Fatma scombina la routine di Said, che tuttavia la raggiunge a Genova evitandole così l'immediato rimpatrio. Fatma riesce ad ottenere però solo un permesso di transito provvisorio benché sia, a tutti gli effetti, regolarmente sposata - come Malika - con Said Kateb. Due mogli e sei figli, dunque: questa la numerosa famiglia dell'algerino, in regola con le leggi del suo paese e dell'Islam. Pur visibilmente stretti, si sistemano tutti nelle due camere con servizi e balconcino ai margini della metropoli. Ma la legge italiana, se pur lentamente, segue il suo cammino e all'incredulo Said viene notificato il reato di BIGAMIA. Per questa ragione, il Ministero degli Interni nega il visto di soggiorno definitivo alla donna. Sostenuto e consigliato dai compagni di lavoro, Said si rivolge al sindacato e così la sua storia finisce in tribunale. Al termine di un dibattito che mano a mano assume sempre più le pesanti sfumature di un processo, Said viene praticamente messo con le spalle al muro. Il verdetto, infatti, non si rivela altro che un ridicolo "escamotage" ad una situazione che la giustizia italiana non sa come affrontare: Said può pure tenersi le sue due mogli, ma a condizione che non convivano nella stessa casa. Praticamente un ultimatum che lo obbliga a trovare, entro e non oltre 90 giorni, una diversa sistemazione ad "una sua scelta" delle due donne. L'avvocato di Said si scaglia contro quella che definisce una pesante violazione dell'articolo 2 della Costituzione Italiana, ma non può far altro che minacciare di portare il caso all'attenzione dei media. Intanto la vita di Said e della sua famiglia prosegue, scandita dalla quotidianità dei gesti e dallo scorrere del tempo, fino al tragico epilogo.

Critica (1):Due storie convergenti si snodano in L'articolo 2: la prima muove da uno sperduto borgo algerino dove un vecchio sta esalando l'ultimo respiro e sua nuora Fatma, madre di tre figli, prende la decisione di affrontare una disagiata trasferta verso l'Italia; mentre la seconda vicenda segue i passi dell'operaio Said tra il cantiere della metropolitana milanese e l'appartamento dell'hinterland dove vive con la moglie Malika, madre anche lei di tre figli. Stentiamo un po' a capire i vincoli di parentela che legano i personaggi; ed è questo il merito principale del film di Maurizio Zaccaro: farci toccare con mano che viviamo tanto immersi nella nostra cultura da considerarne indiscutibili parametri, usi e regolamenti. Insomma caschiamo dalle nuvole quando il film è già avanti nel suo duplice percorso, nell'accorgerci che Fatma e Malika sono tutte e due moglie di Said, che i figli hanno tutti lo stesso padre. Per la legge italiana l'operaio immigrato si vedrà contestare il reato di bigamia, ma è in regola secondo il costume musulmano che consente di avere fin a quattro mogli. Allievo prediletto di Ermanno Olmi, con significativi passaggi nelle botteghe di Augusto Tretti e Pupi Avati, Zaccaro ha la gentilezza del tocco, l'affettuosa disponibilità e il fervore necessari per raccontare il problema di Said. Proprio come nei modelli olmaniani emerge in L'articolo 2 (il titlo si riferisce alla garanzia costituzionale dei diritti inviolabili dell'uomo) l'attenzione rivolta al lavoro, ai problemi della quotidianità, alle lettere che i personaggi si scambiano come in I fidanzati, alle figurette di sfondo mai generiche né indifferenti. C'è un occhio cinematografico di prim'ordine, il gusto della microrecitazione, la lodevole propensione per l'ellissi: la situazione in cui l'algerino viene picchiato da due balordi è fatta svolgere fuori scena. Il limite dell'impresa è quello di collocarsi fra il racconto mensile di Cuore aggiornato a una replica di Cristo fra i muratori: tranne che in questo tipo di film a basso costo non ci sono i soldi per rappresentare accettabilmente una catastrofe sia pur di limitate proporzioni: e che l'amaro destino di Said, a differenza di quello del muratore del film di Dmytryk, non è legato alle precarie condizioni in cui si svolge il lavoro. O, perlomeno, non è questo il motivo portante del film: tanto più che gli italiani, inclusi i poliziotti, funzionari di dogana e giudici, hanno sullo schermo un atteggiamento semmai imbarazzato, non persecutorio. Appare forte e commovente Mohamed Miftah nella parte del protagonista; e le sue due mogli rivelano una toccante intensità mediterranea, e un elegante pudore nell'affrontare la difficile competizione. Dei bravissimi attori africani ci piacerebbe saperne di più, ma nelle 18 pagine del dépliant distribuito dalla Mikado (dove figurano biografie e filmografie degli italiani Bussotti, Sarto, Marcomeni) non c'è una parola. Che cosa dovrebbero fare questi protagonisti trascurati per inguaribile eurocentrismo? Appellarsi all'articolo 2?
Tullio Kezich, 100 film , 1994

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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