Giganti (I)
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Regia: | Angius Bonifacio |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu; fotografia e montaggio: Bonifacio Angius; musica: Luigi Frassetto; interpreti: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu, Michele Manca, Riccardo Bombagi, Stefano Manco, Noemi Medas; produzione: Il Monello Fims, Fondazione Sardegna Film Commission; distribuzione: Il Monello Film; origine: Italia, 2021; durata: 80'. |
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Trama: | Una rimpatriata di vecchi amici, una villa in decadenza, sostanze stupefacenti e alcool a profusione. Un’abbuffata per passare una serata dimenticandosi di tutto. Una di quelle notti che potrebbe essere senza fine. |
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Critica (1): | «Eravamo quattro amici al bar che volevamo cambiare il mondo»... L'incipit della canzone di Gino Paoli Quattro amici al bar sembra adattarsi perfettamente all'atmosfera rarefatta e sospesa, nel segno del rimando ad un passato lontano e mitico, proposto da I giganti di Bonifacio Angius, unico film italiano presente nella sezione del Concorso Internazionale. Quattro amici, Stefano, Massimo, Andrea e Piero, si rivedono dopo molti anni. Ognuno di loro è alle prese con dolorose ferite del passato e con imprecisate, ma tangibili, ruggini che avevano logorato i reciproci rapporti e che, di tanto in tanto, riemergono, repentine e feroci, nei continui scambi dialettici. L'occasione per la rimpatriata è una serata a base di alcol e droghe nella casa di Stefano, senza un'occasione precisa. Una casa buia, polverosa, che dagli arredi si direbbe ferma ai primi decenni del Novecento, fa da sfondo al loro incontro e incarna l'essenza stessa del tempo ancorato all'indietro, mentre il mondo intorno a loro è andato irrimediabilmente avanti. La storia si sviluppa come un kammerspiel che ricorda le atmosfere ineluttabili di Aki Kaurismaki dove i quattro, con l'aggiunta del fratello minore di Pietro, Riccardo, si trovano intimamente a fare un amaro bilancio delle loro esistenze, mentre discorrono di argomenti futili, e si avverte in tutti un irrisolto rapporto col mondo femminile che ha lasciato scorie avvelenate.
Nell'incipit del film, la voce narrante di Stefano, il proprietario della casa, ci racconta che le persone non fanno mai quello che dicono ed è per questo che, nell'incertezza tra intenzioni ed esiti, lui ha smesso di parlare dei suoi desideri e dei suoi sogni, fino a farli appassire prima di sbocciare. I flashback che illuminano lo spettatore sul passato dei quattro amici, però, non riguardano tutti i personaggi, e le relazioni tra loro restano parzialmente oscure e non sempre agevoli da seguire. Via, via prende sempre più corpo il ruolo di Riccardo, il più giovane, all'inizio defilato e apparentemente disinteressato agli scontri tra i quattro. La sua estraneità all'inizio sembra di natura generazionale e lo rende quasi un elemento di disturbo, ma poi improvvisamente egli diventa fondamentale nello svolgimento del dramma, incitando le persone ad affrontare le proprie fragilità e, per una volta, a reagire, anche se questo significa che nessuno potrà uscirne indenne. Nessuno, tranne Riccardo. Perché il suo ruolo testimoniale, gli consente di rifugiarsi in un mondo immaginario, dove non si sa più cosa sia reale e cosa no. Ricorda in questo l'osservatore del paradosso del gatto di Schrödinger, chiuso dentro una scatola con una fiala di cianuro. Non si potrà mai sapere, se l'osservatore non apre la scatola, se il gatto è vivo, oppure morto. Proprio come la porta della casa di Stefano che, malgrado i forti colpi che si avvertono dall'esterno, non si apre mai. O perlomeno noi spettatori non la vediamo aprirsi. Come se questi giganti dai piedi di argilla, dopo tante vacue chiacchiere, fossero risucchiati in silenzio in un buco nero del tempo, dove forse non si incontreranno mai. Ognuno a rincorrere i suoi guai.
Tina Porcelli, cineforum.it, 20/10/2021 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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