Sette opere di misericordia
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Regia: | De Serio Gianluca, De Serio Massimiliano |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio; fotografia: Piero Basso; musiche: Plus (Minus&Plus); montaggio: Stefano Cravero; scenografia: Giorgio Barullo; costumi: Carola Fenocchio; interpreti: Roberto Herlitzka (Antonio), Olimpia Melinte (Luminita), Ignazio Oliva (Max), Stefano Cassetti (Angelo), Cosmin Corniciuc (Adrian); produzione: Alessandro Borrelli per la Sarraz Pictures in coproduzione con Elefant Films (Romania), in associazione produttiva con Petru Dorobantu (Lezard Film); distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Italia-Romania, 2011; durata: 103’. Vietato 14 |
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Trama: | La vita di Luminita, un'adolescente clandestina pronta a tutto per la propria sopravvivenza, si scontra con quella di Antonio, un anziano prossimo alla morte. Tra queste due esistenze ai margini, quando la lotta per la sopraffazione reciproca si fa crudele e miserabile, si scorge un inaspettato barlume d'umanità, la possibilità di un miracoloso contatto umano che cambierà il loro destino. |
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Critica (1): | Torino. Luminita è una giovane clandestina romena che sopravvive grazie al borseggio di cui deve poi dare i frutti ai suoi 'padroni'. Luminita ha però un piano per sfuggire al loro controllo e ottenere dei documenti falsi. Inizia a metterlo in atto scegliendosi una vittima a caso. La vittima è Antonio, un uomo anziano e malato che vive in una situazione di semidegrado ed è costretto periodicamente a farsi ricoverare in ospedale. È lì che la ragazza lo incontra e inizia a seguirne le mosse.
Se vivessimo nell'area francofona in cui la passione cinefila è ancora intensamente vissuta si potrebbe paragonare l’esordio nel lungometraggio di finzione dei fratelli De Serio a quello dei Dardenne con La Promesse. Temiamo invece (sperando ovviamente di essere smentiti) che questo film non riceva l'attenzione che invece merita. Perché la rilettura delle cristiane opere di misericordia non ha nulla di confessionale e invece ha moltissimo di quel cinema che sa scavare a fondo nell’animo umano tout court.
Nel deserto delle vite dei due protagonisti sembra non esserci spazio per un sentimento che vada al di là del sopravvivere a se stessi. Antonio trascorre le sue giornate in spazi in cui il buco che ha in gola sembra aver assorbito come un'idrovora qualsiasi possibilità di bellezza. Luminita ha invece la ferinità di un animale la cui gabbia è una città che le è estranea e i cui feroci guardiani parlano la sua stessa lingua. Per lei la misericordia e le sue opere si sono capovolte in azioni il cui fine non è un cuore che condivide la miseria umana (come vuole la matrice latina della parola) ma l'usare l'altro ai propri fini. I De Serio ci mostrano questo scontro/incontro tra due aride solitudini andando alla ricerca non di un lieto fine quanto piuttosto di un ‘fine’, di un senso dell'esistere. Lo fanno con un lucido percorso scandito dalle sette stazioni del titolo nell'ambito del quale lo spettatore è chiamato a interrogarsi e quasi a porsi lui come regista chiedendosi quale sarà l'evolvere della vicenda e quale direzione prenderanno gli eventi. È un cinema fatto di gesti, di sguardi, di silenzi più che di parole questo Sette opere di misericordia, ma proprio grazie al suo rigore stilistico riesce ad arrivare nel profondo e a farsi film difficile da dimenticare.
Giancarlo Zappoli, mymovies |
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Critica (2): | Dopo i documentari Tahrir, Inconscio italiano e 55,1- Cronaca di una settimana di passioni, ecco arrivare il candidato italiano al Pardo d'Oro. È all'inizio della seconda e ultima settimana di programmazione del 64imo Festival del film di Locarno che si affaccia l'unico lungometraggio italiano selezionato nel concorso internazionale.
Coproduzione con la Romania e frutto di un lungo lavoro dei videoartisti e documentaristi Gianluca e Massimiliano De Serio– «ci son voluti ben 5 anni – racconta il loro produttore Alessandro Borrelli, a capo de La Sarraz – in Italia è difficile realizzare opere prime soprattutto se fuori dagli schemi». Sette opere di misericordia è un metaforico e a volte troppo rarefatto ed estetizzante viaggio nella società malata dei nostri tempi.
Una giovanissima immigrata (Olimpia Melinte) passa dall'inferno alla redenzione macchiandosi di colpe atroci, verso un vecchio (Roberto Herlitzka) e un bambino, per poi lavarle via con un percorso tortuoso di riscatto. Il film, che si richiama nel titolo all'omonimo quadro del Caravaggio, che ha evidentemente influenzato i due fratelli nell'estetica della regia e Piero Basso nella complessa costruzione della fotografia, è impostato sulle sette opere di misericordia corporali della religione cattolica, che non a caso dividono in altrettante parti l'opera. A volte in pieno contrasto con quello che avviene sullo schermo, altre con adesione totale, soprattutto verso la fine. Un'incongruenza che diventa identità.
«Più che incongruenza – sottolinea Gianluca – la chiamerei ironia drammaturgica. Le sette opere di misericordia corporali qui all'inizio sono una forzatura rispetto a quello che accade, il film si costruisce sullo scarto tra enunciazione e realizzazione dell'opera in questione. Ovviamente questa divaricazione diventa sempre meno evidente e più rarefatta fino ad assottigliarsi completamente». Borrelli, il produttore, ci tiene a ringraziare la Film Commission del Piemonte – «che ha accettato il rischio» e sostiene che Sette opere di misericordia è la dimostrazione che «pur con un budget basso, se si hanno grandi partner come Eurimages, che quest'anno oltre a noi ha finanziato Moretti e Sorrentino, e grandi idee, ce la si può fare a realizzare dell'ottimo cinema». Persino a uscire in sala per un lavoro così difficile, visto che nelle sale italiane, grazie a Cinecittà Luce, arriverà a dicembre.
Fondamentale anche la presenza di Roberto Herlitzka, sofferente protagonista del film. «Ho trovato due registi con l'aspirazione a fare dell'arte. Quest'ultima ormai divenuta un lusso o peggio una cosa proibita. Hanno le mie stesse aspirazioni e ora che l'ho rivisto posso dire che il film mi piace molto. Mi chiedo che pubblico potrà avere, visti i gusti moderni. Ma questo essere fuori dal conformismo del cinema di oggi è solo un altro pregio di Sette opere di misericordia».
Un lungometraggio non facile da digerire, a tratti pretenzioso ma allo stesso tempo con un paio di lampi, di intuizioni importanti. L'impressione è quella di un'incompiuta, di un film che riesce a tratti a essere irritante proprio per il tanto talento profuso – da segnalare, per esempio, la buona prova di Ignazio Oliva – ma non nella giusta direzione. E così al festival ticinese ci si divide sul film che di sicuro più ha sfidato spettatori e addetti ai lavori.
Boris Sollazzo, Il Sole 24 Ore, 8/8/2011 |
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