Gioventù perduta
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Regia: | Germi Pietro |
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Cast e credits: |
Soggetto: Pietro Germi; sceneggiatura: Mario Monicelli, Antonio Pietrangeli, Enzo Provenzale, Leopoldo Trieste, Bruno Valeri, Pietro Germi; aiuto regista: Enzo Provenzale; montaggio: Renato May; assistente regia: Lyda C. Ripandelli; scenografia e arredamento: Gianni Mazzocca; fotografia: Carlo Montuori; operatore: Mario Montuori; musica: Carlo Rustichelli, diretta da Ugo Giacomozzi, canzoni di Carlo Rustichelli e Gino Filippini; interpreti Carla Del Poggio (Luisa Manfredi), Massimo Girotti (Marcello Mariani), Jacques Sernas (Stefano Manfredi), Franca Maresa (Maria Rivano), Diana Borghese (Stella, la cantante), Nando Bruno (il commissario), Leo Garavaglia (professore Pietro Manfredi), Dino Maronetto (Berto), Giorgio Metrailler (Gianni); direttore di produzione: Baccio Bandini; ispettore di produzione: Giorgio Lastricati; il film è stato realizzato con negativo Ferrania Pancro C6; sistema sonoro: Western Eletric; negativi e positivi S.A.C.I. di Virginia Genesi Cufaro; produzione: Carlo Ponti; distribuzione: Lux; origine: Italia, 1947; durata: 78'. |
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Trama: | Un ispettore di polizia alle prime armi si trova a dover indagare sui crimini compiuti da uno studente universitario. Il ragazzo è fratello della donna di cui il poliziotto è innamorato, e questo crea parecchie complicazioni. |
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Critica (1): | Roma. Un gruppo di giovani compie una rapina in un negozio, nel corso della quale uno di loro uccide un cliente. Il capo della banda è Stefano, il figlio maggiore di un famoso docente universitario, datosi alle rapine per soddisfare la sua passione per il gioco, gli abiti costosi e le belle donne. Viene incaricato delle indagini Marcello, un giovane ispettore di polizia che, seguendo una pista che lo porta nell'ambiente universitario, si spaccia per studente e come tale fa amicizia con Luisa, la sorella di Stefano. La banda, nel frattempo, compie un'altra rapina ai danni dell'economato dell'università, fallita per l'intervento di un custode, ferito gravemente. Stefano, nella concitazione della fuga, dimentica all'economato un lussuoso accendino con incise le sue iniziali, che viene trovato da Maria, una delle impiegate, amica d'infanzia di Luisa e segretamente innamorata di suo fratello. Quando la ragazza informa Stefano del ritrovamento, quest'ultimo le dà appuntamento in un luogo appartato sul fiume e, dopo essersi fatto consegnare l'accendino, la uccide.
Intanto Marcello ha scoperto che Stefano è legato in qualche modo alla banda dei giovani rapinatori e, per amore di Luisa, dopo aver informato i superiori dei risultati delle indagini, abbandona l'inchiesta e si prende un periodo di riposo. Contemporaneamente Luisa, sconvolta dall'omicidio dell'amica, comincia a sospettare del fratello dopo averlo sorpreso in camera sua con una rivoltella. Vorrebbe confidarsi con Marcello, ma scoprendo per caso che è un poliziotto, rompe i rapporti con lui, accusandolo di averla ingannata e di essersi servito di lei per arrivare al fratello. Stefano, accortosi di essere sorvegliato dalla polizia, prima di fuggire da Roma decide di compiere un'ultima rapina nel night dove lavora la sua amante come ballerina. Ma Marcello, richiamato alla guida delle indagini, ha già predisposto una trappola per la banda, dopo aver costretto la ballerina a collaborare con la polizia. Quando i rapinatori arrivano nel night c'è una sparatoria, durante la quale Stefano cerca di fuggire facendosi scudo con la sorella, sopraggiunta nel frattempo, ma viene ucciso da Marcello.
A. Aprì, M. Armnenzoni, P. Pistagnesi, Pietro Germi, Ritratto di un regista all'antica, Pratiche Editrice 1989 |
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Critica (2): | Gioventù perduta è interessante come uno dei rari esempi di film poliziesco italiano: la connotazione nazionale è data non tanto dal quadro d'ambiente, lo sbandamento degli studentelli borghesi, corrotti dalle facili occasioni di guadagno, quanto dall'esaltazione a piena orchestra dei motivo familiare. La sorella del criminale protagonista è infatti fidanzata con un questurino, che ha il volto perbene di Massimo Girotti. La circostanza provoca i prevedibili patemi e complicazioni sentimentali, tra interni domestici, aule universitarie, tabarin dove bionde tenebrose cantano le languide canzoni del 'evasione esotica, "Hawaii, dolce terra d'incanto...": sinché giungiamo al gran finale, con il fratello senza cuore che si fa vanamente scudo del corpo della ragazza ma cade colpito dalle pallottole infallibili della giustizia.
V. Spinazzola, Cinema e pubblico, Bompiani 1974 |
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Critica (3): | Il Nastro d'argento per il miglior film della stagione 1947-48 assegnato a Gioventù perduta impose all'attenzione del pubblico e della critica il giovane regista trentatreenne. Era indubbio il valore che tale riconoscimento assumeva nel rinnovato clima del cinema italiano del dopoguerra, anche se esso suscitò qualche perplessità. Tutti vi videro la prosecuzione del discorso felicemente avviato dai primi capolavori di un Rossellini o di un De Sica, ma Germi, pur riconoscendo che il suo nuovo film aveva il pregio di narrare fatti che il pubblico aveva vissuto e sentito vicini alla propria esperienza quotidiana, non riteneva però che potesse essere accostato ad opere per le quali si richiedeva ben altra maturità. Il film inoltre nasceva nel momento in cui l'industria cinematografica stava cercando un suo assestamento nelle forme imprenditoriali, dopo la lunga parentesi del cinema di Stato.
Fu quindi un segno di fiducia quello di dare al giovane regista la possibilità di dirigere un film che aderiva a questo nuovo modello produttivo. La prova precedente non aveva avuto un largo circuito, ma gli attestati di stima rilasciatigli erano stati motivo sufficiente per affidargli la realizzazione di Gioventù perduta. Le attese non andarono del tutto deluse: il film si piazzò al quattordicesimo posto nella graduatoria degli incassi della stagione: risultato che se non è certo di prim'ordine, è senz'altro apprezzabile. Anche perché si trattava del primo, vero film significativo del suo autore, nel bene e nel male: più in quest'ultimo, per la verità, pur se il prevalere degli aspetti negativi va addebitato soprattutto alla ancora acerba formazione del regista e in parte alla sua ambizione di proporre un tipo di film che si fondava su una larga esperienza produttivistica, su una lunga tradizione, in definitiva su un esercizio artistico che la nostra cinematografia non poteva vantare. E il primo esempio, comunque, di quella contaminazione stilistica cui anche nelle opere successive Germi sottoporrà il modello neorealista, con cui Gioventù perduta mantiene tuttavia contatti non superficiali. Questi ultimi individuabili nell'evidente proposito di trasfondere nelle immagini "la scarna e pur incisiva verità della nostra vita quotidiana" come affermò l'autore, secondo un punto di vista che il nuovo cinema aveva posto come centrale della sua prassi artistica. L'impatto col pubblico fu certo considerevole, perchè il tono secco e spedito del film contrastava con formule narrative più accattivanti e gradite allo spettatore, al quale non veniva neppure riservata la soddisfazione del tradizionale lieto fine, pur se lo sguardo finale d'intesa e di commossa solidarietà che i due giovani protagonisti si scambiano contiene qualcosa di più di una promessa. A far da tramite di questa nuova esperienza Germi chiama due attori che, nella fase di trapasso dal cinema prebellico al neorealismo possono considerarsi emblematici: Massimo Girotti e Carla Del Poggio, la cui presenza in un gruppo di film collocabili nell'area neorealista indica di per sé quella linea di tradizione e di continuità che il nuovo cinema, pur con tutta la carica della sua novità, non era riuscito a cancellare. L'attore professionista, quale si riassumeva nella carriera dei due interpreti di Gioventù perduta, portava in sé questa duplice natura: era da un canto l'erede di una tradizione ormai consumata e nello stesso tempo l'indicazione di un nuovo tipo di cinema. Ne risultò ovviamente un mutamento di rotta che alterò definitivamente i lineamenti per così dire divistici da cui essi erano stati fin allora caratterizzati: Girotti del resto era stato il primo fra gli attori italiani ad entrare nel nuovo ruolo, grazie alla sua presenza nel lontano incunabolo neorealista di Visconti (Ossessione). Per la Del Poggio invece il passaggio fu più netto, come riconobbe la stessa attrice anni dopo affermando che con Gioventù perduta si era verificato "un grande cambiamento di ruolo rispetto ai (suoi) debutti. Non era più una ragazzina ma una sorella tormentata che vedeva il fratello mascalzone": ne derivò la cancellazione di quell'immagine di leziosità adolescenziale su cui si era fondata la sua precedente fortuna. Con questo impegnativo film Germi rivela tutti i caratteri che poi ricorreranno nel suo lavoro successivo, vuoi nei modi drammatici, vuoi nella versione patetico-sentimentale, vuoi infine in quelli della commedia.
Chi volesse stabilire un ideale repertorio dei motivi germiani, sia sotto l'aspetto tematico che formale li potrebbe individuare già nettamente delineati in questo film. Tipico del suo modo di raccontare è quella struttura per rigide contrapposizioni, che impoverisce spesso il personaggio subordinandolo ad una precisa tesi. Qui sono in scena due diversi esemplari della gioventù del dopoguerra: quella di estrazione borghese, più o meno agiata, ma che ha dovuto pur pagare lo scotto alla durezza dei tempi (come accade al protagonista Stefano, figlio di un professore universitario, cui il padre non può dare altro che pochi spiccioli) e quella da cui proviene Marcello, ex combattente, che ha trovato un impiego nella polizia e che frattanto si è iscritto all'università, sia pure in ritardo, per completare gli studi. Dietro l'uno e l'altro si intuisce la presenza vigile, seppure spesso impotente, di una famiglia, che nel turbine degli eventi costituisce sempre un sicuro rifugio e conforto. Nel fare del figlio una tipica famiglia media il personaggio deviante della vicenda, Germi sottintende la minore resistenza della borghesia al generale sfascio sociale, come peraltro sarà reso esplicito nel brano più scopertamente didascalico del film. E evidente da quale parte si collochi il giovane regista: Marcello, che nel conflitto a fuoco finale dà il suo contributo per la cattura di Stefano, fratello della ragazza di cui si è innamorato, è il pegno di un futuro migliore,più sano, fondato su quell'insieme di valori travolti dalla guerra. Ma ancor più Germi si identifica con l'anziano professore, padre di Stefano, che di fronte all'ostentata indifferenza del figlio alle sue esortazioni, afferma sconsolato che "c'è nei giovani d'oggi un misto di pessimismo e di cinismo chemi spaventa".
Vito Attolini, Il cinema di Pietro Germi, Elle Edizione, 1986 |
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Critica (4): | |
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