Nube (La) - Nuage (Le)
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Regia: | Solanas Fernando E. |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Fernando E. Solanas; fotografia: Juan Diego Solanas; montaggio: Luis Cesar D’Angiolillo; musica: Gerardo Gandini; scenografia: At Hoang; costumi: Horac Lannes; interpreti: Eduardo Pavlovsky (Max), Angela Correa (Fulo), Franklin Caicedo (Enrique), Carlos Pérez (Cachito) Leonor Manso (Sonia), Christophe Malavoy (Cholo), Bernard Le Coq (Eduardo) Laura Novoa (Paula), Favio Posca (Tito) Luis Cardei (Lucas), Francisco Nápoli (Alfonso), Horacio Peña (Pesoa), Jorge Petraglia (Freda), Maria Figueras (Matilde) Margara Alonso (Margarita); produzione: Fernando E. Solanas per Cinesur/Les Films du Sud/Bim/Continent Film; distribuzione: Columbia TriStar; origine: Argentina / Francia / Italia / Germania, 1998; durata: 100'. |
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Trama: | In città, Buenos Aires, piove ormai da 1600 giorni. Un gruppo di attori che da anni svolge la propria attività in un edificio malandato e fatiscente riceve l'avviso di sfratto per poter procedere alla demolizione del palazzo. Ma attori e tecnici sono decisi a difenderlo con tutte le loro forze... |
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Critica (1): | "Lo specchio" è uno dei tanti teatri indipendenti di Buenos Aires che, pressati dalla crisi economica, sono vicini alla chiusura. La proposta di utilizzare quello spazio per costruire un centro commerciale sembra sempre più incombere sulla testa degli attori e delle maestranze che sono l’anima stessa del teatro. Il "capocomico" Max e gli altri della compagnia si trovano a fare resistenza e a giocare la propria sopravvivenza in una città in cui la gente cammina, letteralmente, all’indietro, dove la polizia è brutale e corrotta, dove i politici sembrano interessati solo al tornaconto personale. Se qualche attore cede alle lusinghe di facili guadagni televisivi, gli altri troveranno il modo di coinvolgere nella loro battaglia il pubblico e il popolo del quartiere. L’unione fa la forza. Rapiti da Solanas, disgustati da Solanas, affascinati da Solanas, irritati da Solanas e così via. La nube è veramente un dinosauro, e siamo le persone peggiori per parlare di questo film. La nube è un film a tesi, politico in maniera spudorata, una cosa che arriva da un’epoca, da un’era geologica precedente, come un fossile, come una reliquia. Usa un linguaggio, una retorica che sa di antico, di vecchio, superata in anacronismo forse solo da Anghelopulos. Per questi motivi lo abbiamo trovato detestabile; perché la polizia è fatta da gente che sembra uscita da un cartone animato giapponese, perché i politici sembrano la versione stereotipata di quelli che si vedevano nei film di Costa-Gavras degli anni Settanta, perché la metafora è ridicola, con quelle duecento inquadrature in cui si vedono i passanti e le macchine andare all’indietro (Ejzenstejn, che pure cose del genere le aveva inventate, si muoveva nel muto, e piazzava inserti di venti fotogrammi, e aveva duecento idee a film, non ripeteva la stessa per duecento volte). In più, saremmo pronti a firmare una petizione che chiedesse la chiusura di qualsiasi teatro d’avanguardia, figuriamoci di uno che non ha neppure la fantasia di trovare un nome migliore di "Lo specchio". Eppure, per tutti questi stessi motivi, La nube è un film al quale non si può fare a meno di voler bene, per il quale non si può non provare l’affetto dovuto ai discorsi dei nonni, pieni di saggezza, di belle immagini, di poesia ingenua e - ripetiamo l’aggettivo - spudorata. Sarà che il senso dell’inquadratura, così sudamericano, di Solanas ci aveva fatto digerire perfino Sur, perfino la parodia di Menem con le pinne, sarà perché si vede il cielo di Buenos Aires, sarà per il tango e le milongas, che al di là del discorso politico sono il vero motivo conduttore del film, la sua scenografia...
Anzi, sembra quasi che la malinconia di Solanas, la sua consapevolezza, stavolta vadano al di là del riflesso condizionato del discorso sociale. Sembra che l’anziano maestro argentino sia arrivato a comprendere se stesso e i propri film nella nostalgia delle proprie opere, il triste girare attorno alle sbarre di chi non sa più come uscire dal suo ruolo di monumento di un tempo trascorso e come far sentire la propria voce ad un mondo troppo fluido e contraddittorio per fare le barricate. E poi Solanas è onesto, racconta i suoi attori e i suoi luoghi senza per forza venderceli come buoni. I suoi attori sono attori, odiosi, istrionici, narcisisti, compiaciuti. La loro resistenza finisce per non pretendere neppure di avere un vero significato politico. E più il puntiglio di una lotta esistenziale, una battaglia per conservare ostinatamente il proprio diritto d esistere, sia pure nella gabbia protetta e insignificante del teatro "Lo specchio".
E su questo siamo pronti a difenderlo fino allo stremo. Il diritto ad esistere di Solanas e di Anghelopulos e di tutti quegli altri che non hanno neppure un sito internet e non sanno neanche di non averlo, di questi creatori di immagini che trovano il modo di continuare a fare film (come, sono fatti loro) anche se la loro posizione è quella del vecchio aborigeno di Dove sognano le formiche verdi, ultimo sopravvissuto di un villaggio in cui si parlava una lingua che nessun altro conosce, costretto a comunicare ormai solo con i sogni. E col piffero che il linguaggio delle immagini è universale!
A parte tutto questo, per dovere di cronaca, dobbiamo anche aggiungere che a Buenos Aires ci siamo stati e, pur non avendo assolutamente la pretesa di aver capito in un paio di settimane la realtà del paese, bisogna ammettere quello che abbiamo visto: decine di migliaia di studenti e di docenti in corteo permanente, da un anno, per le strade a protestare contro i tagli del governo alla cultura. Prezzi altissimi e stipendi bassissimi, svendita dei settori strategici a multinazionali straniere, chilometri di favelas, ma anche un numero di cinema e teatri, indipendenti e istituzionali, da far invidia. E da far invidia, soprattutto, il numero di persone che in quei cinema e quei teatri ci andava, convinta che andarci fosse importante, che avesse un senso preciso, per il loro presente e per il loro futuro.
Giacomo Manzoli, Cineforum, n. 386, luglio-agosto 1999 |
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| Fernando E. Solanas |
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