Jimmy Grimble - There’s only one Jimmy Grimble
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Regia: | Hay John |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: John Hay, Rik Carmichael, Simon Mayle; fotografia: John de Borman; montaggio: Oral Norrie Ottley; scenografia: Michael Carlin; costumi: Mary-Jane Reyner; musica: Simon Boswell, Alex James; interpreti: Robert Carlyle, Lewis McKenzie, Ray Winstone, Gina McKee; produttore: Jeremy Bolt, Andrea Calderwood, Bill Godfrey, Claire Hunt, Alison Jackson; produzione: Arts Council of England, Impact Films, Le Studio Canal+, Pathé Pictures, Sarah Radclyffe Productions; distribuzione: Medusa; origine: Gran Bretagna/Francia, 2000; durata:105'. |
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Trama: | Timido ragazzo di Manchester, Jimmy Grimble è tormentato dai compagni di scuola e in guerra aperta con il nuovo fidanzato della mamma. Ma, forse grazie a un nuovo paio di magici scarpini da football, un’incredibile partita di calcio cambierà totalmente la sua vita. |
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Critica (1): | Jimmy Grimble è un prodotto di alto livello, studiato per suscitare nell’animo degli spettatori un sentimento leggero e lieto, vicino all’idiozia. Ogni movimento di macchina, ogni fotogramma, è un’ammiccante espressione di simpatia. Il meccanismo della trama, ormai logoro, è lo stesso a cui siamo abituati dall’inizio degli anni Ottanta: il protagonista, debole ed emarginato, nasconde un immenso talento, per mezzo del quale sconfigge i cattivi, supera la paura e raggiunge il successo. Storia semplice quanto efficace: i ragazzini sui dodici anni ne vanno matti. Questo film, come molti altri, è nato apposta per loro. Jimmy, un giovane studente, tifa una squadra sfortunata, il Manchester City: per questo motivo, e per via della statura, alcuni coetanei lo prendono in giro, o addirittura lo picchiano. Come se non bastasse, sua madre è innamorata di un motociclista un po’ scemo. Jimmy si sfoga giocando da solo con la palla: nel calcio ha un vero talento, ma il confronto con gli avversari lo spaventa e lo paralizza. Il poveretto si sente in trappola: riuscirà a superare le sue paure? Un paio di magici scarpini, regalati da una vecchietta misteriosa, risolvono i suoi problemi. Con quelli ai piedi si sente un leone. Da qui in poi il film è un susseguirsi di vittorie favolose: Jimmy sconfigge la paura e le squadre avversarie, e dà una bella lezione a quegli sbruffoni dei suoi coetanei. La madre lascia il motociclista, preferendogli un uomo pieno di buonsenso. Nell’ultima partita, la più importante, Jimmy scopre che gli scarpini non hanno alcun potere: la magia è dentro di lui, e nessuno può portargliela via. Ormai ha scelto la sua strada: sarà un calciatore. I deboli hanno prevalso sui forti, il bene ha sconfitto il male. Tutti ridono, tutti si divertono, tranne gli antipatici. Il film è finito. Che sarebbe successo in mancanza degli scarpini? Dopo un film tanto melenso, rispondere a questa domanda può servire da antidoto. Senza gli scarpini Jimmy non diventa calciatore: rimane preda delle sue paure, che presto si traducono in sgradevoli tic nervosi, accompagnati da una funesta esplosione di acne.
Francesco Martini, Cinemazip, 10/8/2001 |
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Critica (2): | Esiste veramente un mondo culturale dei ragazzi riflesso nel cinema? Un tempo il prodotto si otteneva per via riduttiva, eliminando da un film la violenza, il sesso, i problemi "scottanti", molte opere per l’infanzia e adolescenza non erano che oggetti "depurati", un discorso scialbo, roseo, ottimista. Jimmy Grimble di John Hay, vincitore del Giffoni Film Festival 2001 risponde che è possibile costruire un film intelligente per ragazzi. L’undicenne Jimmy vive con la madre (un altro padre cinematografico latitante), il suo sogno è diventare un calciatore professionista. Jimmy sfodera un talento straordinario quando gioca da solo e negli allenamenti, ma davanti all’avversario è preso dalla paura. Finché un giorno un’anziana signora (Jane Lapotaire) gli regala un paio di scarpini dicendogli che sono magici. Jimmy Grimble poteva facilmente diventare uno dei tanti film sul gioco del calcio, ma il regista ha saputo creare un abile equilibrio tra il crudo realismo quotidiano e i momenti di puro "calcio", in cui il piccolo protagonista scatena le sue energie nei virtuosismi del gioco. Gran parte del merito va a un casting efficacissimo, con Robert Carlyle, ruvido e affettuoso allenatore, a Gina McKee disincantata madre di Jimmy, Ray Winstone misurato nel ruolo del futuro patrigno di Jimmy e lo stupefacente talento di Lewis McKenzie, nel ruolo di Jimmy, ottimo calciatore in erba e misuratissimo attore, con un volto chiuso e angoloso che si apre, raramente, in un irresistibile sorriso. Il gioco del calcio per Jimmy è un piccolo atto eversivo che riesce a diventare occasione di riscatto per lui. Il caparbio Jimmy, cerca l’affermazione personale, la possibilità di esprimersi come individuo. Il suo successo è un simbolo per il gruppo ma, soprattutto, è l’affermazione del diritto di essere se stessi, e dimostrare che può accendersi il fuoco bruciante della passione anche in mezzo alla disperazione di chi si sente predestinato alla sconfitta. Il percorso di Jimmy è contrappuntato da una scelta di canzoni che sottolineano ed enfatizzano i contenuti delle immagini e l’happy ending. Ricettacolo di sogni, il cinema è un legame magico per eccellenza, la sua stessa struttura permette il gioco delle ombre, del sortilegio, della passività, tutte cose che, si sa, sono costitutive della vita sociale. La fascinazione esercitata da Jimmy Grimble, deriva dal fatto che esso da del reale un’immagine a tutto tondo; il cinema è così, secondo l’espressione popolare "più vero del reale": allo stesso tempo, questo massiccio iperrealismo permette l’esercizio di una fantasticheria pigra e passiva che, tramite l’identificazione con gli attori e le situazione amplifica per un tempo provvisorio lo spettro della nostra personalità. Estensione percettiva della personalità che ha qualcosa dello "sdoppiamento", tramite il quale soggetti apparentemente integrati nell’ordine sociale, riescono a sopravvivere mantenendo intatta una parte di sé nonostante le imposizione frustranti di quest’ordine. Il cinema, luogo della finzione, è così anche il luogo dello sdoppiamento; in esso si reinveste questa potenza magica, allucinatoria, al limite del patologico, questa amplificazione dello spettro percettivo ed esistenziale di cui il sogno è la forma finita, e che permette appunto questa distanza da sé a sé. Questa presenza assente, propria della magia filmica, può forse venire intesa come indice specificato della duplicità sociale. Nella vita quotidiana, nella vita banale, troviamo fin dall’infanzia un’importante dimensione fantastica, che si insinua nella breccia creata dalla duplicità, dallo sdoppiamento del soggetto spettatore. Essere fuori da sé, come è corrente nello spettacolo di un’opera cinematografica, è un atteggiamento fantastico, magico che permette di giocare d’astuzia con il sociale, e di sottrarsi di tanto in tanto all’ingiunzione dell’identità che ci fa essere questo o quello, operaio, intellettuale, uomo, donna, bambina, bambino. Sortilegio che permette di navigare all’infinito in un tempo e in uno spazio che la mente incontra di caotico, d’imprevisto, di aleatorio. Ed è per questo che Jimmy Grimble non ha altra funzione profonda che di organizzare uno spazio vitale, rendere accettabile il quotidiano. Ciò che appunto chiamiamo "evasione".Si potrebbe così concludere con Benjamin: "La favola, che è anche oggi la prima consigliera dei bambini, dopo essere stata un tempo dell’umanità, continua a vivere clandestinamente nel racconto. Il primo e vero narratore è e rimane quello di fiabe. Dove il consiglio era più difficile, la favola sapeva indicarlo, e dove l’angustia era più grave, il suo aiuto era più vicino. Questa angustia era quella del mito. La favola c’informa delle prime disposizioni prese dall’umanità per scuotere l’incubo che il mito le faceva gravare sul petto. Essa ci fa vedere… nel personaggio di chi partì per conoscere la paura, che le cose di cui abbiamo paura possono essere scrutate nella loro realtà..."
Memmo Giovannini, Kwcinema |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| John Hay |
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