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Tutto finisce all'alba - Sans landemain


Regia:Ophüls Max

Cast e credits:
Sceneggiatura: Jean Villeme, Max Ophüls, Curt Alexander, André-Paul Antoine; fotografia: Eugen Schüfftan; musiche: Allan Gray; montaggio: Jean Sacha, Bernard Séjourné; scenografia: Eugène Lourié, Max Douy; costumi: Laure Lourie; suono: Pierre Calvet; interpreti: Edwige Feuillère (Evelyne Morin), Georges Rigaud (Dottor Georges Brandon), Daniel Lecourtois (Armand), Georges Lannes (Paul Mazuraud), Michel François (Pierre Morin), Paul Azaïs (Henri), Gabriello (Mario), Pauline Carton (governante Ernestine), Mady Berry (portiera di Evelyne), Jacques Erwin (Hermann), Jane Marken (Madame Béchu), Louis Florencie (cliente), Leon Roger-Maxime (Second di Mazuraud), René Worms (habitué), Géo Forster (ballerino); produzione: Ciné-Alliance; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Francia, 1939; durata: 82'.
Riedizione 2017

Trama:Evelyne Morin, giovane donna con già alle spalle un matrimonio infelice, fa la spogliarellista ed "entreneuse" in un locale notturno di Montmartre per mantenere sé e il figlio Pierre di nove anni. Per caso, rincontra il suo amore passato Giorgio Brandon che non vedeva da anni, ma di cui è ancora innamorata. Anche lui vorrebbe riavvicinarsi a Evelyne e prendersi cura del suo bambino, ma la donna non vuole che lui venga a conoscenza del suo mestiere e delle loro modeste condizioni di vita, così si affanna a organizzare una complicata e costosa messa in scena.

Critica (1):Rimasta sola col suo bambino, una giovane vedova (Evelyne) trova lavoro in un malfamato locale notturno. Il suo amante di dieci anni prima, un ricco medico canadese, di passaggio a Parigi la riconosce per strada e intende riprendere la relazione. Evelyne si trova costretta a inscenare rispettabilità e lusso ma quando — ricattata da uno strozzino — comprende di non poter piú continuare la finzione, preferisce affidare il suo bambino all'amante e, dopo avergli promesso di raggiungerlo presto, sparisce di scena. (...)
« Sans lendemain è nato dalle mie impressioni parigine, da sensazioni e episodi vissuti nel corso di molte notti in posti e tra personaggi di cui la sola evocazione basta a scandalizzare il buon borghese. Impressioni e ambienti che, in tutti i paesi del mondo, la censura ha soppresso. Non ho mai visto una sola copia non censurata di questo film. Fatto curioso, amavo proprio ciò che non mi si voleva permettere di mostrare. Sono sempre stato attratto dall'universo dei protettori e delle ragazze — quest'universo in cui giacciono tanti sconosciuti soldati dell'amore, che forma la base vergognosa e nondimeno reale della morale borghese — e ho sempre sognato di fare un film veramente imperniato su questo soggetto. Un film la cui sceneggiatura sia dovuta a un Maupassant moderno. A tratti, qualche momento di questo sogno appare come in filigrana in Sans lendemain, almeno lo spero. Ma non è che un timido inizio ». (...)
Evelyne inventa il danaro come maschera del presente nel tentativo di cancellare il tempo che la divide dai giorni felici della sua relazione con Georges. Infatti Evelyne e Georges, nel ricco salone finto-vissuto, complice il buio dell'impianto elettrico opportunamente saltato, davanti ai bagliori del camino, ricordano. E qui i flashes del loro amore sono subito ambientati: in una sala cinematografica dove proiettano, di un film muto, la sequenza di uno straziante addio di Pierrot (un film nel film che, se da una parte si riferisce alla tipica intensificazione ophúlsiana dell'illusione scenica, dall'altra è luogo deputato e ricorrente dei suoi incontri amorosi). E poi la neve, un altro luogo ossessivo i cui riferimenti nella sua filmografia cominciano almeno da Liebelei. Per di piú i due amanti che si sono ritrovati ritornano proprio sulla neve, in montagna. Si rifugiano in una baita mentre dietro i vetri i fiocchi artificiali cadono sempre piú intensamente. Si amano in una stanza d'albergo con la macchina da presa che entra e se ne va, alla Lubitsch, attraverso la finestra con le imposte socchiuse. Infine, come a ricordare ancora la slitta fatidica di Liebelei, corrono sul paesaggio nevoso (del trasparente) in una spider incredibilmente scoperta, incuranti della temperatura.
Alle carrozze di tanti altri suoi film qui il regista è costretto a rinunciare, ma non rinuncia a privilegiare i mezzi di trasporto. Le corse in taxi diventano protagoniste, senza contare che proprio per un taxi mancato (Georges non l'ha lasciato prendere a Evelyne preferendo accompagnarla lui stesso a casa — ma quale casa: la stamberga d'affitto a Montmartre) la poverina si troverà incastrata in una finzione da cui non riuscirà a liberarsi: chiede infatti a Georges di fermarsi davanti a un qualsiasi stabile di lusso, all'Étoile, dove ha appena intravisto un cartello di affittasi. In Sans lendemain c'è anche il treno sbuffante (e la stazione ophülsiana dell'arrivederci/addio) preannunciato dal modellino in scala con cui il bambino gioca insistentemente per poi — capovolte le proporzioni — trovarsi affascinato di fronte alla vera locomotiva che lo porterà a Le Havre, per l'America. Sarà pure l'occasione (come lasciarsela sfuggire?) perché Evelyne, col braccio alzato in segno di saluto, rimanga impietrita mentre il treno prende velocità. Alla donna, ricattata dallo
strozzino, non resta che tornare nel suo ambiente rimosso (è notevole la minuziosa ricostruzione in Studio, dovuta a Eugène Lourié e fotografata da Schufftan, di un'intera strada di Montmartre, rue Custine), trascorrere la notte in un bar e, alle prime luci dell'alba, sparire nella nebbia ancora bassa sulla Senna (di qui il titolo italiano: Tutto finisce all'alba).
Un'ultima nota merita il gusto di Ophüls per l'allusione, o meglio, il gioco combinato di pudore verbale e di sfrontatezza visiva che gli è proprio, ma sempre con la precauzione delicata con cui sorregge i suoi personaggi femminili: ci riferiamo alla sequenza in cui Georges, di passaggio a Parigi, ha riconosciuto Evelyne per strada da grande distanza (uno sguardo incredibile, tra l'altro, e ce ne rendiamo conto dalla lunghezza del pianosequenza necessario per raggiungerla), la ferma e le parla (controcampi classici). Ma quando Evelyne alle sue domande risponde evasiva: « Cosa vuoi che abbia fatto in questi dieci anni? », il campo cambia e intravediamo i due in strada dall'interno di un locale malfamato, attraverso la trasparenza e i ghirigori liberty della porta d'ingresso (senza dunque riuscire piú a sentire che cosa dicono, ma avendo in primo piano un'altra scena, quella di due prostitute impellicciate che borbottano, bevendo e riscaldandosi accanto ad una stufa). Risparmiandole la menzogna, in luogo di Evelyne, parla il controcampo.
Michele Mancini, Max Ophüls, il Castoro cinema, 7-8/1978

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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