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Danse - Le Ballet de l'Opéra de Paris (La)


Regia:Wiseman Frederick

Cast e credits:
Sceneggiatura: Frederick Wiseman; fotografia: John Davey; musiche: Joby Talbot, Tchaikovsky, Mauro Lanza, Deldevez Minkus-adattamenti di Coleman, Berlioz, Bach e Gluck; montaggio: Frederick Wiseman, Valérie Pico; produzione: Idéale Audience-Zipporah Films-Opéra National De Paris; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia-Usa, 2009; durata: 159’.

Trama:Il regista Frederick Wiseman si immerge nel mondo del balletto parigino raccontando il lavoro dei ballerini de l'Opera. Per sette settimane, il regista si immerge completamente nel loro mondo e osserva la preparazione di ogni balletto, dalle prove estenuanti alla realizzazione dei costumi e delle scene, fino al lavoro che ognuno degli artisti deve fare su se stesso per trasformarsi nel personaggio che deve interpretare. Il documentario si sofferma in particolare su sette balletti: "Genus" di Wayne McGregor, "Le songe de Medée" di Angelin Preljocaj, "La Maison de Bernarda" di Mats Ek, "Paquita" di Pierre Lacotte, "Casse Noisette" di Rudolph Nureyev, "Orfeo e Euridice" di Pina Bausch e "Romeo e Giulietta" di Sasha Waltz.

Critica (1):In La Danse: The Paris Opera Ballet, il suo trentaseiesimo documentario in più di quarant’anni, Frederick Wiseman porta la sua cinepresa nel sontuoso ed elegante Palais Garnier di Parigi, osservando le prove, gli incontri dello staff e, infine, le performances di sette balletti, incluso il classico “Lo schiaccianoci” e le opere anticonvenzionale di coreografi più giovani. Dire che il film, sontuoso nella sua lunghezza ed elegante nei suoi ritmi, è una festa per gli amanti del balletto, significa affermare l’ovvio e anche sminuire il lavoro di Weieseman. Certo, si tratta di uno dei migliori film sulla danza mai realizzati, ma c’è molto più di questo.
(…) L’osservazione di gruppi di persone che agiscono in un contesto professionale o sociale chiaramente definito è stato l’interesse principale di Wiseman fin dal suo primo film, Titicut Follies, che racconta il funzionamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Bridgewater, Massachusset.
Il Balletto dell’Opera di Parigi è ovviamente un luogo più elevato della Boise Statehouse (dal documentario “State Legislature”sul governo dello stato dell’Idaho, ndt.) o di un lugubre penitenziario del New England – i ballerini sono certo più gradevoli allo sguardo dei legislatori o degli assistenti sociali – ma la qualità dell’attenzione dedicata da Wiseman è la stessa. La sua curiosità è senza limiti ma anche disciplinata, ed egli rinuncia alle spiegazioni in favore di una versione visiva di quella che gli antropologi chiamano “descrizione densa”.
In La Danse si ha una visione ravvicinata del modo in cui danzatori e coreografi scompongono movimenti complessi nei gesti che li costituiscono, un processo che è allo stesso tempo noioso ed estremamente impegnativo. Benchè tutte le prove si concludano poi con una performance completa, La Danse non ha in realtà un inizio, una parte intermedia e una fine. Riguarda, piuttosto, due diverse qualità di tempo che esistono al di fuori delle tradizionali strutture narrative, il lungo, lento ripetitivo ciclo dell’apparato istituzionale, e i momenti veloci ed effimeri del movimento fisico e dell’espressione musicale che rende il balletto una forma d’arte tanto singolare ed elusiva. Tutto questo dà al film un’apparenza remota, anche astratta, ma in realtà è proprio l’opposto. Ci sono personaggi, avvenimenti e situazioni drammatiche in miniatura nel corso del lavoro della compagnia di balletto. Il film è anche molto parlato, soprattutto ad opera di Brigitte Lefèvre, il direttore artistico della compagnia, dalla retorica brillante nel superbo stile francese. A volte è difficile seguire i suoi discorsi, ma la sua energia e il suo accento sono mesmerizzanti. E La Danse, bisogna inoltre osservare, enfatizza la distanza tra l’analisi verbale e il movimento fisico. La danza è veicolo di significati ed emozioni ma è anche un impegno tecnico che consiste di movimenti muscolari controllati nei minimi dettagli. Ciò che avviene durante le prove è una mediazione tra arte e tecnica, e il linguaggio è uno strumento irrisorio ma necessario. Un coreografo parla di “contesto” con una danzatrice che annuisce coraggiosamente ma presta più attenzione al suo linguaggio corporeo che alle sue parole. Un altro coreografo, un anglofono che lavora con ballerini francesi, trascura del tutto le parole, comunicando le sue osservazioni attraverso una serie di borbottii e schiocchi, come uno scat singer o una batteria umana.
Le performances che risultano da tutto questo lavoro – e che sono sostenute dal coraggioso lavoro di fund-raising e quasi ostacolate dalle agitazioni sindacali francesi – sono affascinanti e anche un po’ deludenti. Nel momento in cui si vedono i ballerini in costume, su un palco accuratamente illuminato e accompagnati da un’orchestra completa, si è raggiunta una avvincente posizione liminale tra lo spettatore e il performer.
Se non si conoscono già i nomi delle stelle del Balletto dell’Opera di Parigi – in particolare Aurélie Dupont e Laetitia Pujol – si sarà nondimeno acquisita una percezione quasi tattile della loro identità. “Come possiamo distinguere chi danza dalla danza?” si chiedeva William Butler Yeats nella sua poesia “Among School Children”. È una domanda semplice e infinitamente misteriosa che Wiseman, nel suo modo paziente, meticoloso e magico, ripropone e alla quale dà risposta.
A. O. Scott, New York Times, 3/11/82009

Critica (2):Dopo essersi già inoltrato nei segreti della Comédie Française (1996), Fred Wiseman torna a Parigi su invito di un altro sacro tempio della cultura europea, l’Opéra. Tre mesi di riprese, una quantità di materiale girato impressionante, un lavoro di montaggio drastico e minuzioso al tempo stesso. Il risultato finale è un documentario di 159’, in cui lo sguardo di Wiseman, mai invadente eppur mai neutro, esplora i meccanismi e le dinamiche di una comunità perfetta e chiusa, di un microcosmo che detta da sé i ritmi della vita non solo artistica di centinaia di persone. Più di 150 tra ballerini, primi ballerini ed étoiles, decine e decine, impiegati, artigiani, tecnici. Tutti lavorano per un solo fine: mantenere alto il prestigio de le Ballet de l’Opéra, uno dei più importanti al mondo. Con la sua macchina da presa, che sfiora soltanto l’invisibilità, per poi appalesarsi, svelare in un punto di visto mai perfettamente invisibile), Wiseman si addentra nei meandri più sconosciuti di Palais Garnier. Dagli oscuri sotterranei, che sembrano fare il paio con quelli del Louvre, percorsi dai fantasmi di Visage di Tsai Ming-liang, sino ai tetti, dove si aggira un apicoltore intento ad accudire i suoi insetti. Un altro assurdo, fantascientifico fantasma, che d’un tratto appare come la cifra, la metafora in carne ossa di tutto quanto il resto. Le sale di prova, dove per ore e ore i ballerini, guidati dai loro maestri, ripetono allo spasimo i movimenti, alla disperata e caparbia ricerca della perfezione. E poi la sala mense, gli uffici dei dirigenti e del personale, le officine dei tecnici, i costumisti, i parrucchieri. Un altro alveare, in cui infaticabili come le api, centinaia di persone lavorano in vista dell’eccellenza. Null’altro che l’eccellenza. Wiseman, fedele al suo metodo, non commenta, ma lascia che il senso scaturisca dalle immagini, dai dialoghi dei personaggi intenti nella loro pratica quotidiana. Eppure, come sempre, il suo sguardo è solo apparenza neutrale. L’occhio implacabile dell’obiettivo sfiora l’invisibilità, per manifestarsi subito dopo, in un lampo, nel fugace riflesso di uno specchio. È l’immagine chiave, che segna il ritorno in campo del ‘proibito’, palesando tutto il peso dell’idea e della visione, di ciò che regge le fila della creazione. L’osservazione parte sempre da un punto ben preciso dello spazio, della mente e dell’anima. Come al solito, Wiseman è implacabile nel mettere a nudo le strutture su cui poggiano le istituzioni, la gerarchia che costituisce lo scheletro le singole formazioni sociali, quei ‘piccoli’ mondi che sono sempre una cifra del mondo ‘intero’. Una ballerina non sarà mai un’étoiles, se non a prezzo di anni, fatiche, sudori. Il reale deve pur funzionare in qualche modo e il cinema può essere quel puro strumento di rilevazione che misura le forze e le misure del meccanismo. Ma Wiseman immagina anche altro. Un cinema che sveli l’invisibile, capace di cogliere nell’armonia dei movimenti, nella fatica della bellezza la struggente sfida al declino e alla morte. I ballerini lottano per una breve perfezione del corpo. Ma non possono impedire che il riflesso della loro immagine venga infranta dalle linee di uno specchio.
sentieriselvaggi.it, archivio, Venezia 66.

Critica (3):Come il Principe Schiaccianoci prende per mano Maria e la porta nel suo mondo incantato, così Frederick Wiseman, noto e bravissimo documentarista americano, ci apre le porte, tutte le porte, dell'Opéra di Parigi per farci condividere il vissuto umano e artistico del suo famosissimo e applaudito Corpo di Ballo. Questo non è un film per i soli appassionati dell'arte coreutica: è un film sul corpo e sulla volontà, sul sacrificio e sulla bellezza, sulla vita artistica e la struttura organizzativa di uno dei più importanti teatri del mondo, un film che è lieve come una pirouette, generoso e forte come un piqué, aereo come un tour en l’air. Dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina un teatro vive e con lui la sua città: dalla portineria alle soffitte, è un brulicare di personaggi, ciascuno con le proprie mansioni. Ma i ballerini e le ballerine non possono mai esimersi da regole ferree che determinano la gestione del loro tempo, del loro corpo, di tutta la loro vita, senza ammettere mai eccezione alcuna. Wiseman ci descrive le regole, lo spazio e il tempo di questo Corpo formato da decine di corpi bellissimi, e la sua è una presenza mai invasiva, discreta e quasi pudica: la mensa e la dieta consentita, gli uffici e i rapporti con la direzione artistica, con Brigitte Lèfevre che ascolta e elargisce consigli, le discussioni sulla programmazione e il rapporto con i benefattori, oggi più che mai necessari. Poi le classi, rigorose e faticose, dove ci si allena per una olimpiade artistica che non ha mai fine. Il trucco e la prova costumi, prima tinti, tagliati con cura, tutù incastonati di pietre, un vero laboratorio della bellezza. E preziose sono le immagini del rapporto con gli insegnanti, con Patrice Bart e gli altri maîtres de ballet (le tue mani sembrano due cucchiai, l’uscita è troppo pesante, c’è un passo su ogni nota, ascolta, ecco il giusto sentimento, non avere paura, segui la musica, mi raccomando il tempo, il tempo) e c’è da rimanere ammirati per l’impegno e l’amore che spingono un gruppo di giovani a sacrificare tutto per la danza. Et un, et deux, et trois … il ritmo regola un valzer, un assolo, una variazione. Prima, tutta la fragilità umana: chi ha paura, chi è stanco, emozionati dietro il palcoscenico mentre si scaldano i muscoli. Poi tutto si trasforma in arte pura, nello spettacolo senza parole, con le gambe e i piedi e le braccia e le mani che si librano nell’aria, in un vorticare nel quale nessun gesto è lasciato al caso. Alcune danze sono strepitosamente belle: Lo Schiaccianoci con la coreografia di Nureyev, Paquita nella ricostruzione coreografica di Lacotte; altre di cruda violenza, come La Casa di Bernarda Alba di Mats Ek e Le songe de Médée di Preljocaj. Riassume questo viaggio magnifico la definizione che Bejart diede del ballerino e che La Danse conferma in ogni istante sullo schermo: "Deve essere metà suora e metà pugile". Suora per la dedizione assoluta all'impegno preso, pugile per la forza che il corpo deve possedere e sprigionare. Tutto per il nostro stupore.
Luca Pellegrini, La rivista del cinematografo, cinematografo.it

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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