Safari - Auf Safari
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Regia: | Seidl Ulrich |
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Cast e credits: |
Soggetto: Ulrich Seidl, Veronika Franz; fotografia: Wolfgang Thaler, Jerzy Palacz; montaggio: Christof Schertenleib, Christoph Brunner, Andrea Wagner; interpreti: Gerald Eichinger, Eva Hofmann, Manuel Eichinger, Tina Hofmann, Manfred Ellinger, Inge Ellinger, Marita Neemann, Volker Neemann, Markolf Schmidt, Eric Müller; produzione: Ulrich Seidl Film Produktion Gmbh, in coproduzione con Arte G.E.I.E.-Danish Documentary-Wdr; origine: Austria-Danimarca, 2016; durata: 90'. |
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Trama: | In Africa, nelle distese selvagge dove bushback, impala, zebre, gnu e altre creature pascolano a migliaia, i turisti tedeschi e austriaci vanno in vacanza per praticare la caccia. Durante i loro safari, tra agguati e attese per la preda, uomini e donne sparano e sorridono compiaciuti in posa vicino agli animali che hanno colpito. Un film che parla di vacanze e di uccisioni mettendo in risalto la natura umana. |
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Critica (1): | Ricchi cacciatori austriaci e tedeschi abbattono grandi mammiferi nelle riserve al confine fra Namibia e Sud Africa. Il regista li segue durante le battute di caccia e li mette a parlare del senso dell’attività venatoria, del loro rapporto con il continente africano, della vita e della morte. Safari, analogamente al precedente Im Keller, è un viaggio attraverso psicologie e modi di essere di uomini e donne qualunque ma impegnati in attività stravaganti e per la maggior parte di noi assolutamente inconcepibili. Safari non è un film sulla caccia. E nemmeno un documentario di denuncia. Ma, come nello stile del regista austriaco, un racconto della realtà al quale l’occhio della cinepresa restituisce venature tragicomiche e in cui l’atto di mostrare senza censura tutti i particolari del mondo che documenta, diventa una precisa scelta stilistica carica di significato.
(dal sito di Lab80) |
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Critica (2): | Forse molti non lo sanno, ma anche oggi, nel 2016, è possibile andare a fare dei safari di caccia in Africa. Basta armarsi di molti soldi (oltre che, beninteso, di armi...) e andare in una delle tante strutture turistiche che li organizzano. I Paesi sono quelli che uno si potrebbe immaginare: Sud Africa, Namibia, Tanzania eccetera. I turisti invece che vi partecipano sono per lo più bianchi, europei, di solito molto danarosi. Sì, perché per provare l'emozione di uccidere un leone, una zebra, un'antilope o uno gnu bisogna essere pronti a spendere molti soldi. L'avventura, se così la possiamo chiamare, consiste nel vagare con delle jeep (guidate ovviamente da dei locali) per questi bellissimi spazi rurali africani che vengono gestiti dagli organizzatori del safari, e nel momento in cui si vede un animale, scendere dal veicolo, puntare il fucile e fare fuoco. Se l'animale viene ammazzato allora lo si carica sul veicolo per portarlo a fare scuoiare e poi impagliarne la testa: vero e proprio trofeo da appendere sulla parete di casa una volta ritornati in Europa. Il tutto ovviamente pagando cifre profumatissime (che possono arrivare anche a due o tremila euro per i capi più pregiati).
Seidl guarda questi bizzarri ricconi tedeschi o austriaci mentre fanno le loro battute di caccia, si appostano a vedere gli animali, cercano il momento giusto per fare fuoco, e poi aspettano che l'animale crolli morto a terra. Questi momenti sono però inframmezzati da delle interviste dove si vedono delle adolescenti tedesche disquisire per ore sui calibri migliori per riuscire a penetrare nella pelle di una giraffa, o delle signore bene che si emozionano mentre raccontano del momento in cui hanno sparato a uno gnu, o delle strane incursioni antropologiche sulle differenze tra i tedeschi e i locali che svelano quanto siano razzisti questi turisti appassionati di caccia nella savana. Seidl usa lo sguardo tipico dei suoi film: macchina da presa immobile e distante e tempi di ripresa lunghi in modo che l'interlocutore si lasci andare a un tic, a uno sguardo imbarazzato, a un'affermazione scomoda ma rivelatrice.
Seidl insomma come sempre gioca il suo sguardo contro i suoi protagonisti, fedele a un'etica dello sguardo che vuole mostrare la défaillance, la faccia scabrosa; che vuole insomma mettere in imbarazzo l'oggetto che guarda, forse perché incapace di prenderlo sul serio o forse perché è incapace di pensare che anche le espressioni umane più degradate possano essere portatrici di verità. È quello che vediamo quando si sofferma per minuti a vedere come i turisti tedeschi dopo aver ammazzato l'animale si mettano in posa in mezzo alla savana per comporre la foto migliore accanto alla loro preda. Questa ricerca della composizione, che a volte dura anche diversi minuti, dove la testa dello gnu viene messa sopra un piedistallo per risultare più visibile e dove il cacciatore o la cacciatrice si mettono in posa con il fucile in mano e il sorriso sulla bocca, svela come quest'esibizione di forza sia in realtà soltanto una messa in scena. La realtà della violenza è il controcampo intelligentemente mostrato da Seidl delle immagini dei lavoratori locali delle strutture turistiche che una volta che gli animali sono stati scuoiati devono occuparsi di spellarli, togliergli le budella, lavarli e prendersi cura insomma di tutte quelle operazioni che poi li trasformeranno nel trofeo impagliato da mettere in casa.
La realtà insomma è che la vera violenza più che essere quella nei confronti degli animali (che beninteso è davvero impressionante) è quella nei confronti dei lavoratori africani e delle risorse di quella terra: quella insomma di un colonialismo che anche nel 2016 non ha perso nulla della sua attualità.
Pietro Bianchi, Cineforum n. 558, 10/2016 |
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