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Stromboli, terra di Dio


Regia:Rossellini Roberto

Cast e credits:
Soggetto: Roberto Rossellini; sceneggiatura: Sergio Amidei, Giampaolo Callegari, Renzo Cesana, Art Cohn, Roberto Rossellini; fotografia: Otello Martelli; musiche: Renzo Rossellini; montaggio: Roland Gross; interpreti: Ingrid Bergman (Karin Bjorsen), Renzo Cesana (il parroco), Roberto Onorati, Mario Sponza (guardiano del faro), Mario Vitale (Antonio Mastrostefano); coproduzione: Berit (Bergman-Rossellini Italia), R.K.O; origine: Italia, 1949; durata: 107’.

Trama:Karin, giovane lituana, che la guerra ha sbalestrato lungi dal suo paese, mentre si trova in un campo di concentramento italiano, conosce Antonio, pescatore dell'isola di Stromboli. Antonio s'innamora pazzamente della bella straniera, la quale per sottrarsi alla prigionia, acconsente a sposarlo. Ma a Stromboli Karin non trova il paradiso descrittole da Antonio: l'isola è un ammasso di pietre vulcaniche, gli abitanti sono primitivi, il loro nido è una bicocca desolata e spoglia. Alla ribellione dei primi giorni subentra uno stato d'animo più equilibrato: Karin cerca d'avvicinarsi maggiormente al marito, collabora con lui nel riassettare la casa, cerca di far amicizia con gli isolani, ma trova incomprensione ed ostilità. Mentre la sua vita trascorre agitata tra delusioni e speranze si manifestano in lei i segni premonitori della non lontana maternità. A questo punto il vulcano entra in una fase d'attività, cagionando distruzioni e spavento. Karin decide di fuggire dal marito e dall'isola, passando attraverso il vulcano; ma, sopraffatta dalla stanchezza e soffocata dalle esalazioni sulfuree, dopo una crisi di disperazione, s'addormenta...

Critica (1): Le vicende sentimentali di Ingrid Bergman e di Rossellini e la pubblicità che gli è stata data in Europa e in America hanno certo nuociuto e ancora nuoceranno al film Stromboli noto pure col titolo Terra di Dio: dopo un tale fracasso così il pubblico come, abbastanza stranamente, la critica, si aspettavano qualche cosa che non poteva assolutamente esserci, ossia un film clamoroso quanto i casi privati del regista e dell'attrice. Ma occorre dire che, senza questa avventura, non avremmo neppure avuto Stromboli che ne è la diretta traduzione cinematografica in chiave elegiaca e, si vorrebbe dire, freudiana. In altri termini, Stromboli è un film autobiografico; ed è da questa autobiografia, consapevole e inconsapevole, sofferta ed espressa con una delicatezza e un rispetto della materia rari in Rossellini, che vengono al film le sue più belle qualità di poesia e di verità psicologica. La storia del film è così nota che quasi non mette conto ripeterla: una profuga, scacciata dalla guerra del paese natale e rinchiusa in un campo di concentramento per «displaced persons», onde riacquistare la libertà, sposa un semplice pescatore di Stromboli. Il pescatore porta la moglie nella sua isola. Ma qui la donna, di origine nordica e socialmente superiore, si scontra con costumi e mentalità troppo diverse dalla sua. Dopo molti vani e patetici tentativi di ambientarsi e adattarsi, la donna, disperata, decide di fuggire. Essa si inerpica su per il fianco ripido del vulcano per raggiungere l'altro lato dell'isola dove aspetta qualcuno che l'aiuterà a raggiungere la Sicilia. Ma, a mezza strada, ascolta la voce della propria coscienza e, forse, anche l'appello dell'umile e difficile terra e si rassegna, non senza tremore e paura, a tornare indietro.
Non sarebbe difficile individuare nel film tanto le persone quanto i sentimenti privati del regista e dell'attrice. Come avviene in ogni autobiografia non testuale e meramente documentaria, essi sono tradotti nel film capovolti e come veduti in uno specchio deformante. Così la decisione della Bergman di cambiare paese per la terza volta nella sua vita, nel film diventa qualifica di «displaced person»; la perplessità che dovette accompagnare questa decisione, si trasforma nell'ansietà e buona volontà della protagonista alle prese col villaggio isolano; e Rossellini è il giovane pescatore; e l'Italia è Stromboli. Non sarebbe difficile, ripetiamo, ricercare uno per uno, con indagine forse indiscreta ma senza dubbio illuminante, i punti di contatto tra il film e la crisi sentimentale che gli ha dato origine. Ma tali riferimenti vogliono essere contenuti nei limiti del giudizio critico, fuori di ogni curiosità mondana. Essi servono soltanto per sottolineare il carattere non casuale né ozioso del film, uno dei migliori che Rossellini abbia sinora prodotto. Insomma, la qualità precipua di ogni opera d'arte è di essere al tempo stesso poesia e mezzo di conoscenza e di liberazione. Stromboli possiede certamente questa qualità.
Rispetto al verismo michettiano e meridionale di Amore, Stromboli segna un indubbio progresso nel senso di una maggiore intimità e verità poetica. Dal piano sociale e pittoresco il dramma qui è passato a quello individuale e psicologico. Rossellini, attraverso un certo numero di contrasti e di notazioni abilmente conteste nella trama del film, ha saputo creare la figura alquanto ibseniana della donna nordica trasportata in terra e ambiente mediterraneo. La protagonista, bionda e longilinea, di chiara ascendenza protestante e individualista, naturalmente umanitaria e zoofila (si vedano l'episodio del furetto e quello della tonnara), gelosa della propria indipendenza, sentimentale e bisognosa di intimità, forma un contrasto assoluto con la gente tra cui ha eletto di vivere. La crisi di adattamento e di ripugnanza di un simile carattere è veduta con finezza. Forse essa avrebbe potuto essere affidata, oltre che ad una generica antipatia, anche a qualche fatto preciso in cui tale antipatia trovasse un appiglio più propriamente drammatico. Così com'è, senz'altra motivazione che la diversità di ambiente e di civiltà, il film è quasi un monologo che, come tutti i monologhi, non riesce alla fine, a trovare una conclusione soddisfacente.
Il carattere, la natura, l'ambiente dell'isola sono descritti col solito vigore e la solita sensibilità per gli aspetti inameni e originarii. I due pezzi di bravura, la tonnara e l'eruzione, non esorbitano nel documentario e nella pagina da antologia. Ma l'interesse del film s'impernia soprattutto sulla Ingrid Bergman che, alle prese con una parte difficile, in un clima artistico così diverso da quello di Hollywood, ha fornito ancora una volta la misura delle sue rare capacità di interprete. Ogni volta che essa appare sullo schermo, la scena si anima e si ravviva in una vibrazione umana e poetica avvertibile anche dallo spettatore più distratto. Forse, a questa sua forte volontà interpretativa si deve il difetto maggiore del film: il contrasto tra lei, figura a tutto tondo, e le siluette unidimensionali degli altri personaggi passivamente sostenute da attori improvvisati. Alla Bergman avrebbe giovato di trovarsi di fronte almeno un altro attore di eguale valore. In mancanza di quest'attore, il dramma ogni tanto si perde nell'indistinto, in una specie di balbettio e di allusività, come per esempio nella scena col prete e in alcune delle scene con il marito. E, infatti, la Bergman è preferibile nelle sequenze dove si trova sola di fronte a se stessa oppure nella terribilità del vulcano o all'immensità del cielo stellato.
Alberto Moravia, L'Europeo, 26/3/1950

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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