Critica (1): | Jacques, un giovane, fa l’autostop; passeggia in campagna e poi a Parigi.
Prima notte.
Jacques nota sul Pont-Neuf una ragazza, Marthe, che sta per scavalcare il parapetto. Alcuni passanti la trattengono, lui la riaccompagna e le dà un appuntamento per il giorno dopo alla stessa ora.
Seconda notte.
Lei gli chiede di raccontarle la sua vita.
Storia di Jacques: vive da solo, va dietro alle ragazze ma non osa abbordarle; detta al magnetofono un romanzo d’amore romantico mentre dipinge. Quando un suo ex compagno delle Belle Arti viene a fargli visita, gira le sue tele contro il muro.
Storia di Marthe: vive con la madre che subaffitta una piccola camera a un giovane. Quest’ultimo le fa la corte, le presta i suoi libri erotici e la invita ad andare al cinema. Una notte, lei si contempla nuda allo specchio; quando sente dei colpi sul muro, va verso la porta del giovane ma poi torna indietro. Anche lui esce dalla sua stanza e va verso la porta della ragazza. Il giorno dopo la madre annuncia la partenza del giovane. Marthe va allora a trovarlo, si offre a lui e gli chiede di portarla via. Ma questi se ne va promettendole di tornare dopo un anno, giorno più giorno meno.
Ritorno su Jacques e Marthe: è passato un anno, il giovane inquilino è ritornato a Parigi ma non si è ancora messo in contatto con lei. Il giorno dopo, Jacques andrà dunque a portare una lettera a degli amici che la porteranno al giovane. Registra pure al magnetofono il nome di Marthe e lo ascolta a lungo.
Terza notte.
La conversazione tra Jacques e Marthe si fa sempre più confidenziale, ma la ragazza piange per l’assenza del giovane inquilino. Il giorno dopo, gli amici della ragazza dicono a Jacques «forse domani». Lui passeggia per le strade di Parigi dove tutto gli ricorda Marthe.
Quarta notte.
Marthe dice che sta dimenticando il giovane e la loro passeggiata diventa ben presto veramente da innamorati. Però Marthe, riconoscendo d’un tratto il giovane inquilino tra la folla, bacia Jacques sulle guance e se ne va con l’altro. Nel suo atelier, Jacques registra un nuovo testo su Marthe e si mette a dipingere.
Come Mouchette dopoAu hasard Balthazar, Quattro notti di un sognatore segue le tracce di Così bella così dolce. È il meno tragico dei film di Bresson, il più leggero e in sintonia col suo tempo. Senza dubbio testimonia cosa il cineasta avrebbe potuto fare più spesso se non fosse stato costretto dal Sistema a girare molto poco e quindi a realizzare – raramente – soltanto delle opere gravi, dense, ogni volta con un’apparenza «definitiva». In Quattro notti di un sognatore, i suoi temi preferiti permangono, ma sono meno celebrati, quasi riproposti in tono minore e soprattutto dispersi nel cuore di una realtà molto più presente. Bresson fa respirare il suo film, lo rinchiude di meno sui due protagonisti, soffermandosi a osservare alcuni hippy o a guardare dei bateaux-mouches dalle rive della Senna dove, d’altronde, il cineasta vive da molte decine di anni. Forse perché Jacques è pittore come Bresson, e forse anche un po’ scrittore dal momento che registra dei monologhi al magnetofono. In ogni modo nutre le sue opere sia di quello che vede e sente sia di quello che vive dentro di sé. Ma questa attenzione è la caratteristica solo del giovane perché Marthe, da parte sua, è molto tesa, come prigioniera del suo strano giuramento d’amore.
Il mondo esterno esiste per se stesso molto più che in Perfidia, Pickpocket o L’argent. In questo modo Quattro notti di un sognatore rappresenta un po’ il lato aperto del Diavolo probabilmente.... Se Bresson aveva spesso soppresso i dettagli dell’abbigliamento per dare loro nei film precedenti un aspetto atemporale, la moda degli anni Settanta gli permette paradossalmente di rimanere fuori dal tempo pur essendo contemporaneo, perché la gioventù di allora si veste volentieri con un patchwork di elementi eterocliti provenienti da epoche e luoghi lontani (colore nero, ricami, corpetti, pantaloni, foulard...). E questo eccesso produce lo stesso risultato che l’autore ottiene con il suo abituale riserbo: generalizza, fa perdere i punti di riferimento.
Si sa che Le notti bianche di Dostoevskij, racconto che descrive la lotta fra sogno e realtà, era già stato adattato al cinema nel 1957 da Luchino Visconti (Le notti bianche), un film che aveva sorpreso per la sua teatralità e il suo onirismo spinto. Con la sua scenografia da studio, Visconti aveva allora privilegiato il sogno. Sebbene il titolo faccia esplicitamente riferimento al sottotitolo del breve racconto, Ricordi di un sognatore, Bresson conserva piuttosto il reale, cosa che era senz’altro inevitabile da parte di un ostinato del vero.
Nondimeno il personaggio dell’inquilino seduttore è del tutto improbabile. Il tono romantico di Dostoevskij lo rendeva un po’ meno incredibile, ma al cinema il suo modo di sedurre e poi di scomparire rende il suo ritorno assolutamente stravagante. In realtà, egli prende su di sé la parte del sogno di fronte al quale la coppia di Marthe e Jacques si definisce e si staglia. Quest’ultimo è il personaggio che Bresson ha trasformato di più. Prima di tutto, egli non è più il personaggio narrante come in Dostoevskij, infatti Bresson non ha adottato il procedimento della confessione con voce fuoricampo. Di conseguenza, non c’è più quell’intervallo di quindici anni tra il momento della narrazione e quello degli avvenimenti riportati, che faceva dell’opera russa il racconto di uno scapolo di quarant’anni completamente introverso, che narra l’unico ricordo importante della sua gioventù. Per concludere, Jacques non è il modesto impiegato di Dostoevskij ma un giovanissimo pittore che ha sicuramente vent’anni di meno rispetto al protagonista del romanzo originario. In Bresson, il sogno cambia l’ordine e Jacques quasi reinventa la propria esistenza attraverso le confessioni sussurrate al magnetofono nella sua stanzetta, vera eco del Pont-Neuf e della Parigi notturna che Bresson contrappone a livello di immagine (le inquadrature degli interni sono molto composite mentre le riprese sulle rive sono molto più fluide).
Nell’ambientare una seconda volta Dostoevskij nella Parigi di oggi, Bresson conserva il comportamento passionale dei protagonisti ma si tuffa decisamente nella modernità e allo stesso tempo propone una contestazione radicale del mondo d’oggi. Fondamento di tutti i suoi film, l’inadeguatezza dell’uomo al suo ambiente appare chiaramente nella contrapposizione irriducibile tra le apparenze e ciò che costituisce l’essere umano come pure, in un modo un po’ semplicistico, quella tra spirito e corpo. Certo, questa inadeguatezza era già marcata in Dostoevskij tra i personaggi e la società del loro tempo, ma lo scrittore la rendeva esplicita servendosi di lunghe dimostrazioni psicologiche. In Bresson la sfasatura si impone come un’evidenza nel brutale cortocircuito provocato dal raffronto con epoche e luoghi diversi.
René Prédal, Tutto il cinema di Bresson, Baldini & Castoldi, 1998 |