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Corpo della sposa (Il)


Regia:Occhipinti Michela

Cast e credits:
Sceneggiatura: Michela Occhipinti, Simona Coppini; fotografia: Daria D'Antonio; musiche: Alessandro Braga; montaggio: Cristiano Travaglioli; interpreti: Verida Beitta Ahmed Deiche (Verida), Amal Saad Bouh Oumar (Amal), Aichetou Abdallahi Najim (Aichetou), Sidi Mohamed Chinghaly (Sidi), Aminetou Souleimane; produzione: Vivo Film con Rai Cinema; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia-Francia, 2019; durata: 94’.

Trama:Ambientato in una Mauritania inedita, si racconta la storia di Verida, una ragazza moderna che lavora in un salone di bellezza, frequenta i social network, si diverte con le amiche. Quando la famiglia sceglie per lei un futuro sposo, Verida - come molte sue coetanee - si vede costretta a prendere peso affrontando il "gavage", per raggiungere l'ideale di bellezza e lo status sociale che la tradizione del suo Paese le impone. Mentre il matrimonio si avvicina a grandi passi, pasto dopo pasto, Verida mette in discussione tutto ciò che ha sempre dato per scontato: i suoi cari, il suo modo di vivere e - non ultimo - il suo stesso corpo.

Critica (1):Il film è ambientato in Mauritania, un paese islamico dell'Africa nord-occidentale, devastato dalla povertà e dal sottosviluppo. Gli spettatori seguiranno la storia di Verida (Verida Beitta Ahmed Deiche), una ragazza di classe media in procinto di sposarsi tramite un matrimonio combinato e, come da tradizione del luogo, costretta a sottoporsi ad un ingrassamento forzato di venti chili per poter raggiungere gli standard di bellezza desiderati dal marito. Nel corso dei tre mesi che precedono la data del matrimonio, Verida sarà sempre più combattuta interiormente e le sue fragili certezze verranno ulteriormente scosse dall'entrata in scena di un uomo, Sidi (Sidi Mohamed Chighaly), il quale la visita periodicamente per monitorare il suo peso portando con sé una bilancia ed è genuinamente interessato ad intessere una relazione con la ragazza.
È molto apprezzabile lo stile quasi documentaristico della fotografia: a tratti i contorni tra finzione e realtà si confondono, favorendo la credibilità dei personaggi e delle loro vicende. La regista ha cercato non solo di raccontare la storia di Verida, ma anche di restituire al pubblico le immagini di un paese e di una società lontanissimi dal nostro occidente quotidiano: ad esempio, vedremo la camera soffermarsi rapidamente sui dettagli dei prodotti di bellezza in vendita nella bottega della nonna, della preparazione del cuscus, dei tagli di carne di dubbia qualità venduti sul bancone di un macellaio locale e delle strade caotiche e polverose di una nazione allo sbando.
L'odissea di oppressione esperita da Verida è sostenuta da una solida interpretazione dell'attrice protagonista. Per questo film, la Occhipinti ha optato per un cast di soli non professionisti e diretto il loro lavoro in scena con molta cura e realismo. Il personaggio di Verida, inoltre, subisce un'evoluzione non scontata ma, con gradualità ed attraverso piccoli atti di ribellione nei confronti della madre, cerca di riaffermare il possesso del suo corpo, della sua vita e della sua libertà. La sequenza finale del film e, in particolare, la sua scena conclusiva rappresentano (efficacemente ed in maniera metaforica) il compiuto processo di riappropriazione della ragazza. Saggiamente, si è evitato di scadere nel mostrare i personaggi impegnati in discorsi di emancipazione universali e troppo retorici, già visti moltissime volte al cinema ed in altri media. Si tratta sicuramente di una scelta che premia il film sul piano artistico e rafforza l'impatto del suo messaggio finale.
Nel complesso, il lungometraggio di fiction di debutto della Occhipinti è un film pregevole, che si contraddistingue per l'ottima recitazione, un'ambientazione credibile e ben rappresentata ed una sceneggiatura interessante nella sua semplicità e linearità, scritta dalla regista in coppia con Simona Coppini (Tumaranké, SanBa).
Davide Abbatescianni, cineuropa.org, 14/2/2019

Critica (2):“Grazie di avermi guardata”. Verida, poco più che un’adolescente, vive nascosta sotto lunghe tuniche e strati di veli. Ma sa che gli occhi del suo giovane amico sanno vedere oltre, o almeno quanto basta per darle la forza di andare avanti. E’ un’altra bella sorpresa tricolore il film Il corpo della sposa – Flesh out di Michela Occhipinti, esordiente con un film di finzione e concorrente nella sezione Panorama. Nato dallo sguardo cosmopolita della documentarista romana durante i suoi viaggi fra popoli lontani “per trovare le similitudini che ci legano universalmente” racconta di una ragazza della capitale del Mauritania, che da promessa sposa in matrimonio combinato viene giudicata troppo magra (benché pesi 80 Kg!) e dunque sottoposta al gavage (ingrassamento forzato).
Tale pratica le consentirà di rispettare i canoni di bellezza del suo Paese e aderire allo status sociale richiesto dalla cultura locale. Ma Verida, che lavora nel centro estetico della nonna, è una ragazza moderna e conosce come funziona il mondo “là fuori”, quello dell’immaginario collettivo dettato dall’Occidente, dove è la magrezza a dettare il must look. Prendere chili di carne, costringersi ad assumere una quantità disumana di cibo per 10 pasti quotidiani (notti incluse) diventa per lei una tortura, portandola a una riflessione sull’identità e conseguenti scelte esistenziali.
“Avrei potuto farne un documentario – osserva la regista – ma il materiale e le storie raccolte erano così ricchi che avrei dovuto sacrificarli. Un racconto di finzione con sguardo il più possibile onesto mi ha aiutato invece ad essere più fedele nell’immagine di questo Paese”. Così è che Occhipinti ha iniziato a vivere con queste ragazze, a osservarne le vistose smagliature di cui erano così orgogliose, a comprendere una visione di mondo totalmente opposta alla nostra, almeno in termini estetici. Ma attratta più dalle somiglianze/comunanze che non dalle differenze, ha posto la sua attenzione su un fatto inequivocabile, “noi come loro ci sottoponiamo a mortificazioni corporali a fine estetico”.
Il parallelismo corre dagli interventi chirurgici di liposuzione per dimagrire alle pillole vendute sul mercato nero a base di cortisone per ingrassare velocemente: “non ci sono grandi differenze, il meccanismo della tortura, della sofferenze, della non accettazione di quel che siamo è il medesimo”. Certamente in Mauritania come in altri Paesi esistono delle costrizioni da parte delle famiglie – vedi il matrimonio combinato – che in Occidente non sussistono più, tuttavia i canali social permettono di confrontarsi, e nei casi migliori di condividere reciproche difficoltà. Infatti è lo smartphone il vero deus ex machina del film: altoparlanti che pubblicizzano nuovi modelli, ricariche, accessori.
È il telefonino – paradossalmente – il vero mezzo di resistenza dentro la Realtà e il disvelatore attraverso video ed immagini delle profonde contraddizioni vigenti, ad esempio in Africa. “Rendiamoci conto – continua Occhipinti – che la cura all’ingrasso avviene in un Paese che è famoso per essere indigente!”. Dalla Mauritania, dove il film verrà visto con un evento speciale giacché non esistono i cinema, sono giunte a Berlino tre delle protagoniste (fra cui Verida Beitta Ahmed Deiche) con un visto ottenuto last second grazie a un’icona vivente del cinema nazionale: il grande regista Abderrahmane Sissako. (…)
Anna Maria Pasetti, ilfattoquotidiano, 13/2/2019

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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