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Notte italiana


Regia:Mazzacurati Carlo

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura:
Carlo Mazzacurati, Franco Bernini; fotografia:Agostino Castiglioni; montaggio: Mirco Garrone; musica: Fiorenzo Carpi; scenografia: Stefano Bolzoni; costumi: Maria Rita Barbera; interpreti: Marco Messeri (Otello), Giulia Boschi (Daria), Mario Adorf (Tornova), Memè Perlini (Checco), Tino Carraro (Melandri), i gemelli Ruggeri (i geometri), Antonio Petrocelli (Paschero), Remo Remotti (Italo), Silvana De Santis (la locandiera), Filippo Cilloni (Enzo), Roberto Citran (Gabor); produttore: Angelo Barbagallo e Nanni Moretti per Sacher Film S.r.l., Roma - Rai Uno - So.Fi.Na. spa; distribuzione: Titanus; origine: Italia, 1987; durata: 92’.

Trama:Otello Morsiani, avvocato dai rigorosi principi morali, esercita la professione in una piccola città del Veneto. Checco, un amico di infanzia, lo mette in contatto con Melandri, assessore ai trasporti del Comune, che lo incarica di effettuare una perizia sulla proprietà di un parente impazzito. Per stimare il valore dei terreni, che si trovano sul delta del Po, Morsiani parte suo malgrado, abbandonando non senza rimpianti in un pensionato per cani il pastore maremmano che divide la sua solitudine. Porta con sé la fotografia di Daria, una giovane dalla bellezza enigmatica [...] Ed è proprio in Daria e in suo figlio che l’avvocato si imbatte, sul traghetto che lo porta alla modesta locanda che gli servirà da campo base. Destreggiandosi tra albergatrici invadenti, fisarmonicisti punk e zingari gaglioffi e sentenziosi, Morsiani scopre che l’area in questione è oggetto di una colossale speculazione edilizia...

Critica (1):La più immediata impressione è di piacevole anacronismo. Notte italiana, nella sua lineare narratività, richiama alla mente il cinema classico – il romanzo ottocentesco. È un film colto e complesso nel quale, sotto una superficie tersa, sedimenta con fluidità una serie di stratificazioni che fanno i conti con un immaginario di ampio respiro. Innanzitutto, il paesaggio del delta padano (la provincia veneta, che pure è stata attraversata da tanta letteratura, cinematografica e non, conosce una sorta di azzeramento), per quanto riproposto in un’assoluta originalità di angolazioni, nella dimensione “straniera” che ad esso fa assumere la memoria, come “immagine decomposta o museificata... che soffre di un mortuario isolamento” ha i suoi padri nobili in Gente del Po e Il grido, il primo per le barche e gli orizzonti, le geometrie di argini e canali e le brume in cui esse si perdono, il secondo per i distributori di benzina con l’insegna luminosa e i drammi che si consumano tra le esalazioni della canapa al macero (più in generale, il richiamo ad Antonioni consiste nella sospensione delle atmosfere, screziate di mistero, alle quali Mazzacurati, con un giro di vite nel senso della commedia, applica il correttivo dell’ironia). (...) In secondo luogo, l’adattamento ad un contesto “nazionale” di elementi (cinematografici, letterari, infine immaginari) mutuati altrove. È il caso del romanzo hard-boiled e del cinema che ad esso si ispira. Otello Morsiani è infatti una sorta di Marlowe padano, caricaturale e risentito, morale e dolcissimo, che abbandona cani fedeli per amici che tradiscono, si tuffa in vicende ingarbugliate e miserabili, lotta contro potenti piccoli e medi, con i loro intrighi di polli e riscaldamenti, di metano e acqua salata, attraversa insomma tutta una serie di tópoi che nascono dal noir classico e arrivano fino alle sue più recenti, gloriose incarnazioni (...). È il caso del romanzo d’avventure di area anglosassone, di cui L’isola del tesoro rappresenta uno dei massimi capolavori, assunto da Mazzacurati non solo come ricordo commosso di una “educazione sentimentale” (tra l’altro quella che legge il figlio di Daria è un’edizione illustrata dell’editore Boschi, molto diffusa nei primi anni Sessanta), ma anche come indicazione di poetica, di una concezione del cinema come favola per grandi raccontata con lo sguardo e il candore di un bambino (...). Infine, Notte italiana affronta il tema della memoria, del ritorno necessario al proprio passato, e insieme della bertolucciana impossibilità a “tornare indietro”, nel sospetto di una coazione a ripetere e nell’incubo dell’omertà. Gli anni Sessanta – e il cinema che essi hanno prodotto – rappresentano il dato costante del film, a partire dal bellissimo prologo in bianco e nero, passando attraverso le atmosfere, gli ambienti, i mobili, i personaggi, i comportamenti. Ma se Strategia del ragno risolveva il rapporto col presente in chiave metaforica, Notte italiana riesce a dotare la propria struttura narrativa di una serie consistente e mai pretestuosa di agganci all’oggi. Lo sfascio della nostra società, la corruzione, il “fai quello che accade” («Se non ci fossi stato io ci sarebbe stato qualcun altro», recita Checco), le precise responsabilità di una classe politica, imprenditoriale, professionale, vengono affrontati con pudore ma anche con fermezza. Perfino la tragedia del terrorismo, adombrata in filigrana nella figura di Daria, riesce ad incombere, più cupa in quanto indeterminata. (...) Ma, a nostro avviso, il dato più confortante è che Notte italiana segna una netta inversione di tendenza nel cinema italiano della prima metà degli anni ottanta, “un cinema senza storie e senza personaggi”. Alle sue spalle c’è infatti un puntiglioso lavoro di sceneggiatura, memore della grande lezione della commedia “nobile” anni Sessanta, ci sono gli insegnamenti di Age sulla umiltà dei “guardarsi intorno”, sulla necessità di documentazione, dei lavoro artigianale, contro le fughe nella metafora, nelle fumisterie intellettualistiche. (...)
Paolo Vecchi, Cineforum n. 269, novembre 1987

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Carlo Mazzacurati
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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