Fantasma della libertà (Il) - Fantôme de la liberté (Le)
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Regia: | Buñuel Luis |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Luis Buñuel, Jean Claude Carrière; fotografia: Edmond Richard; montaggio: Hélène Plemiannikov; scenografia: Pierre Guffroy; costumi: Jacqueline Guyot; effetti sonori: Luis Buñue; assistente alla regia: Pierre Lary; interpreti: Adriana Asti (sorella del prefetto di polizia, dama in nero), Julien Bertheau (il prefetto di polizia), Jean Claude Brialy (Foucauld), Adolfo Celi (il medico di Legendre), Paul Frankeur (l'oste), Michel Lonsdale (il cappellaio), Michel Piccoli (iI prefetto di polizia), Pierre Maguelon (gendarme Gérard), François Maistre (il professore), Hélène Perdrière (la vecchia zia), Claude Pieplu (il commissario), Jean Rochefort (Legendre), Bernard Verley (capitano dei Dragoni), Monica Vitti (signora Foucauld), Milena Vukotic (infermiera), Pascale Audret (signora Legendre), Jenny Astruc (moglie del professore); produzione: Serge Silberman per la Greenwich Film, Paris; distribuzione: Griffith; origine: Francia, 1974; durata: 103'. |
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Trama: | Nel prologo, i soldati napoleonici fucilano patrioti di Toledo nel 1808 e un ufficiale sacrilego tenta di violare la tomba della duchessa Elvira. Poi seguono episodi, legati tra loro dal semplice passaggio di un personaggio da un episodio ad un altro completamente diverso: dei genitori rimproverano le figlie perchè hanno accettato delle cartoline turistiche "scandalose"; Henry va dal medico che lo dichiara affetto da cancro; l'infermiera, ottenuto il permesso di recarsi in famiglia, si ferma ad un albergo ove ne succedono delle belle; un professore di diritto, chiesto un passaggio all'infermiera, tiene lezione presso la gendarmeria; la polizia interviene perchè un uomo dal 30º piano uccide i passanti; l'assassino viene condannato e liberato; per 14 mesi le forze d'ordine ricercano la bambina non scomparsa; il questore, arrestato presso la tomba della sorella, trova il suo doppio in ufficio e con lo stesso si reca allo zoo ove stanno sparando nuovamente su rivoltosi che gridano: "Vivan las cadenas", (tradotto in italiano con sottotitolo: "Abbasso la libertà"). |
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Critica (1): | Che ridere. E come scotta, nella sua leggerezza, la mano nodosa del vecchio Buñuel che frusta i pilastri della Logica su cui poggiano le nostre menzogne convenzionali. Dio sa se è giusto. Viviamo in un mondo così forsennato e mentecatto che l'unica medicina non diciamo per guarirlo ma per facilitare la diagnosi sta nell'immergerlo in un fortissimo bagno di sarcasmo. Affinché si sia certi che se abbiamo raggiunto un grado di così disperata idiozia, se il pianeta va alla deriva nel mare dei veleni e l'umanità si autodistrugge è perché la società, cancro degli evi, si dibatte fra l'obbedienza e la rivolta ai codici morali, alle regole di comportamento, agli alibi razionali in cui si è imprigionata. Quando invece avrebbe dovuto dar briglia sciolta alla fantasia, e reinventare in perenne libertà i propri modi di essere, riconoscendo che gli usi e i costumi sono una cerimonia teatrale, un trucco per sopportarsi a vicenda. Sicché quello che sembra assurdo potrebbe con altrettanto buon diritto, ove mutasse il copione, essere la norma.
Utopia, certamente (e lasciamo stare Pirandello), ma nell'ordine psicologico e artistico un lievito prezioso, una rivoluzione permanente degli spiriti, e un gran concerto di pizzicotti al cervello. Non a caso il nuovo, delizioso film di Buñuel viene a cadere nei cinquant'anni del surrealismo: i profeti della ragione, con il loro codazzo di scienziati e tecnologi, a braccetto con i moralisti, hanno fatto cilecca in questo mezzo secolo, se è vero che ci muoviamo fra miti, spettri e ubbie, e persino la libertà ormai è parola senza carne, appunto un fantasma. Meglio divertirsi a immaginare un mondo capovolto: non solo rovesciato come nello specchio di Alice, ma proprio a gambe all'aria, dove l'impossibile sembri vero, e dallo scandalo nasca il comico, purga universale.
Allora, una ghirlanda di aneddoti paradossali, un festival dell'inaudito, lo Scherzo che brucia e il Caso che bacia. Per incominciare, sulla spinta d'un celebre Goya, le bravate dei francesi nella Spagna del 1808: fucilano i patrioti (che muoiono imprecando contro la libertà, e fra le vittime c'è, in saio, Buñuel), saccheggiano chiese e violano tombe. È una delle "leggende" di Gustavo Becquer, che una governante sta leggendo, oggi, sulla panchina d'un parco a Parigi. Poco distante, un signore guardingo consegna a due bambinelle fotografie clandestine: immagini porno? Infatti i genitori inorridiscono guardandole, e la madre s'accende di voglie: ma sono cartoline illustrate, immagini di monumenti venerati dai turisti, alzati a memoria di vergogne, e dunque autentiche oscenità. Il padre, intanto, teme di essere matto: di notte lo visitano animali, gli arriva in camera il postino con una lettera. E non sono visioni, la lettera è lì. Corre dal medico, ma noi seguiamo l'infermiera: in viaggio per visitare il vecchio padre, ha incontrato nel bosco qualcuno che andava a caccia di volpi in carro armato, e in una locanda quattro fratacchioni che dopo il rosario si giocano con lei a poker medagliette e scapolari. Nelle stanze vicine un liceale vuol veder nuda la vecchia zia che ha rapito (ma colei rivela un corpo da odalisca) e una coppia spagnola prova il flamenco: un cappellaio pretende che tutti stiano a guardarlo mentre l'amante gli frusta le natiche. All'alba l'infermiera passa la mano a un signore che insegna in una scuola di gendarmi. I tutori dell'ordine sono. peggio dei ragazzini: scrivono sconcezze sulla lavagna e dileggiano il professore. Né c'è verso di portare in fondo la lezione: il piantone viene sempre a chiamare qualcuno per un servizio urgente. È a loro che il professore, filosofando, insegna la relatività dei valori morali e sociali. Ma quando sopraggiunge il comandante della scuola, anche il professore si corregge: di fronte al rappresentante del potere precisa che sarebbe un disastro se si mutassero le regole del mondo.
Nuovo giro nuovo regalo. Un gruppo di amici borghesi dal fascino discreto si riunisce a tavola: non già per mangiare ma, fra amabili conversari ecologici, per liberarsi gli intestini, tutti insieme, nei vezzosi w.c. su cui sono seduti. Chi abbia bisogno di sfamarsi si chiuderà vergognoso in uno stanzino. Ora siamo da un altro medico: un cliente amico si sente dire che ha un tumore al fegato, ma con parole da schiaffi. E appena a casa viene a sapere che la sua bambina è stata rapita. La piccola è lì, accanto ai genitori, tutti la vedono e il commissario ne controlla i connotati, ma la polizia dà l'allarme per cercarla, e la città è in subbuglio. Dall'alto di un grattacielo un uomo intanto spara sulla folla, e uccide decine di passanti: sarà condannato a morte, e dunque subito lasciato libero. "Ritrovata" la bambina, ecco il questore nascondersi in un bar a giocare a domino. Qui una sconosciuta gli ricorda la defunta sorella, che gli suonò il piano tutta nuda (ma in calze nere). Squilla il telefono: è lei, che lo invita al cimitero a "comprendere il vero mistero della morte". L'uomo accorre, litiga col custode che non lo crede il questore, trova un telefonino accanto alla bara, e mentre tenta di aprirla viene arrestato
come profanatore di tombe. Ha un bel protestare che è il questore: la "verità" sarà accertata quando il questore del cimitero incontrerà il suo doppio, il questore rimasto in ufficio, due persone per un'unica funzione repressiva. Insieme allo zoo, i due daranno infatti ordine di sparare su una sommossa, dalla quale si leva lo stesso grido dell'inizio: abbasso la libertà. Tocca a uno struzzo riempire l'ultima scena e guardarsi intorno con aria interrogativa. Gli uomini sono matti?
Certo, in un'ottica surreale gli uomini sono matti, perché sono schiavi del mito dell'Ordine, ma nessun film meglio di questo indica attraverso l'ironia (Hoffman sposato a Jarry, coi picari spagnoli alle spalle) come la loro follia si esprima nel comportamento verso gli animali, uccisi o tenuti in servitù, simbolo del rapporto fra società e natura, e nella violenza di venerati istituti, quali la famiglia, la chiesa, lo stato, la scienza, la scuola che sottraggono all'individuo la facoltà di affidarsi al sorriso del Caso. E poco importa che questo sia l'antico vangelo dell'anarchia, rinfrescato dalla voluttà di irridere i valori in cui i buoni padri di famiglia, privati dell'immaginazione dalla paura, fanno coesistere la civiltà del Novecento. Se guardiamo al film con totale innocenza, e misuriamo con quale soavità di racconto l'arroganza dell'antico libertario ha ceduto alla gaiezza del gioco, restiamo di stucco di fronte alla logica di ferro che guida l'assurdo.
Il fantasma della libertà, scritto da Buñuel con il suo fedele amico Jean Claude Carrière (e un giorno dovremo sapere la vera parte avuta da quest'ultimo nell'annaffiare l'orto fantastico del vecchio maestro) non è soltanto uno dei film più spiritosi degli ultimi anni. Dietro l'apparenza d'un estroso aprirsi e chiudersi di bizzarri cassetti, è una gran scossa data alle false certezze, è il dito puntato sulla farsa che chiamiamo storia e società, è il testamento di un artista che è passato attraverso il labirinto di tre quarti di secolo ventesimo, e avviato ai settantacinque vince lo scetticismo e il disprezzo celebrando con uno sberleffo le glorie della controverità. E con quale eccellenza di stile dicono, senza che nessuno s'avveda dei segreti del mestiere, l'aerea struttura, la spontaneità con cui gli aneddoti s'intrecciano, la freschezza primaverile dell'invenzione, quel giungere sempre puntuale all'appuntamento con l'imprevisto, e l'arguta insolenza che ha l'immagine realistica nell'ambiguo regno del sogno. Provocatore sardonico, gran manovriere di attori (qui ce n'è un docile plotone di bravissimi: basti ricordare la Vitti e la Vukotic) e gran fabbro di spettacoli che mischia il teatrino borghese alla pochade, il ghiotto al crudele, Buñuel è da fucilare o da far santo. Scegliete un po' voi.
Giovanni Grazzini, Gli anni Settanta in cento film, Laterza, 1978 |
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Critica (2): | "Quest'altro titolo, già presente in una frase della Via lattea (la sua libertà è solo un fantasma), voleva essere un omaggio discreto a Karl Marx, a quello "spettro" che percorre l'Europa e che si chiama comunismo, all'inizio del "Manifesto". La libertà, che nella prima scena del film è una libertà politica e sociale (quella scena si ispira a avvenimenti veri, il popolo spagnolo gridava realmente "Viva le catene" al ritorno dei Borboni, in odio alle idee liberali introdotte da Napoleone), quella libertà assumeva ben presto un altro significato, la libertà dell'artista e del creatore, illusoria quanto l'altra. Il film, molto ambizioso, difficile da scrivere e da realirare, mi sembrò un po' frustrante. Certi episodi facevano la parte del leone, è inevitabile. Ma resta comunque uno dei miei film preferiti Un tentativo interessante. Mi piace la scena d'amore tra zia e nipote nella camera della locanda, mi piacciono anche la ricerca della ragazzina perduta eppure presente (un'idea cui pensavo da parecchio tempo), i due questori con la visita al cimitero, lontano ricordo del Sacramentai de San Martin, e il finale al giardino zoologico, quello sguardo insistente dello struzzo, che sembra avere le ciglia finte. A ripensarci oggi, mi sembra che La via lattea, Il fascino discreto della borghesia e Il fantasma della libertà, che sono nati da tre soggetti originali, formino una specie di trilogia, o meglio di trittico, come nel Medioevo. Nei tre film si ritrovano gli stessi temi, a volte anche le stesse frasi. Parlano tutti e tre della ricerca della verità, che bisogna fuggire appena credi di averla trovata, dell'implacabile rituale sociale. Parlano tutti e tre della ricerca indispensabile, del caso, della morale personale, del mistero che bisogna rispettare. Per l'anedottica, segnalo che i quattro spagnoli fucilati dai francesi all'inizio del film sono JoséLuis Barros (il più alto), Serge Silberman (con una benda sulla fronte), José Bergamin, vestito da prete, e io, sotto la barba e la tonaca di un frate."
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano, Rizzoli. |
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| Luis Buñuel |
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