Furore - Grapes of Wrath (The)
Regia: | John Ford |
Vietato: | No |
Video: | San Paolo Audiovisivi, M & R, 20th Century Fox Home Entertainment, Sirio |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Il lavoro, Letteratura americana - 900, Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole elementari; Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Nunnally Johnson tratto dal romanzo omonimo di John Steinbeck |
Sceneggiatura: | Nunnally Johnson |
Fotografia: | Gregg Toland |
Musiche: | Alfred Newman |
Montaggio: | Robert Simpson |
Scenografia: | |
Costumi: | Gwen Wakeling |
Effetti: | |
Interpreti: | Henry Fonda (Tom Joad), Jane Darwell (Ma Joad), John Carradine (Casy), Charley Grapewin (Grandpa)
Dorris Bowdon (Rosasharn), Russell Simpson (Pa Joad), John Arledge (Davis), O.Z. Whitehead (Al), John Qualen (Muley), Eddie Quillan (Connie), Ward Bond (poliziotto), David Heghes (Frank), Robert Homans |
Produzione: | 20th-Century-Fox |
Distribuzione: | Fox |
Origine: | Usa |
Anno: | 1940 |
Durata:
| 128'
|
Trama:
| L'odissea della famiglia Joad, in viaggio verso la California in cerca di lavoro insieme a un esercito di disperati durante la Grande Depressione.
|
Critica 1: | Nei primi anni '30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell'Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California. Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, J. Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell'uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l'ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e per Jane Darwell. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
|
|
Critica 2: | La letteratura della “depressione” non fu un modello di chiarezza. Dominata da patetiche riflessioni sull'infelicità umana e da generici furori sociali (socialisti, talvolta), rimase nelle mani di scrittori mediocri e velleitari. “Dalla depressione” scrisse Leslie Fiedler in un noto saggio del 1964, Waiting for the End,- “nacquero gli insipidi romanzi pseudosperimentali di Dos Passos, dalla lotta di classe Marching! Marching! di Clara Weatherwax, un libro sciocco e inutile che vinse la prima edizione del premio New Masses per opere di argomento proletario e segnò la fine di quel tipo di narrativa, dalle emigrazioni di contadini senza tetto quel sentimentale polpettone (farcito di grossolano simbolismo) che è Furore di Steinbeck...”
Nonostante questo, l'incontro fra Steinbeck e Ford per l'avventura di The Grapes of Wrath non si chiuse in perdita, né per il cinema né per la cultura americana. Passando dalla pagina scritta alle immagini di Ford e Gregg Toland, il “grossolano simbolismo” ha prodotto una narrazione più attenta ai fatti e alle emozioni elementari che non ai significati universali. Gli interessi tematici di Ford (i valori della tradizione americana, della religione, della solidarietà familiare o di clan) hanno spesso trovato - nel corso della carriera - un solido terreno per esprimersi: le fughe verso l'astrazione sono state bilanciate da un amore tutto pragmatico per le cose, per gli ambienti riconoscibili e quotidiani. Certo, il regista è, nelle sue opere più personali, un narratore di toni epici, ma l'epopea fordiana non rinnega mai - nemmeno nelle espressioni più intensamente liriche, come quel The Long Voyage Home tratto da O'Neill che segue nello stesso anno The Grapes of Wrath - le sue origini dimesse.
Tom Joad, protagonista di The Grapes of Wrath, è un outcast, come tanti altri personaggi di Ford. Ma anche tutta la sua famiglia (la madre, il padre, i nonni, la sorella e suo marito), prima saldamente ancorata a una fattoria dell'Oklahoma, finisce per diventare outcast, non per propria iniziativa o colpa (come Tom) ma per una decisione estranea (la concentrazione, voluta dalle banche, della proprietà terriera e la meccanizzazione dell'agricoltura). Questa, infatti, è la storia di alcuni “ reietti ” travolti dalla crisi economica, strappati dalla loro terra e spinti a cercare lavoro a Ovest, nelle grandi fattorie della più fertile California. Tom Joad, uscito dal carcere dove ha scontato una condanna per omicidio, torna in famiglia. Per strada incontra Jim Casy, uno spretato che vive inseguendo utopie di rigenerazione sociale. Giunto alla fattoria, scopre che non c'è più nessuno. Assiste alla cacciata di un vicino, che invano resiste all'avanzare dei trattori. Ritrova i suoi presso uno zio che provvisoriamente li ospita. Non c'è più nulla da fare in quelle terre aride e battute dal vento. I Joad, raccolte le loro poche cose e i loro ricordi (gelosamente custoditi dalla madre che rappresenta la continuità della famiglia), partono a bordo di un vecchio camion scassato, Lungo la strada fanno sosta presso i campi per profughi allestiti da avidi organizzatori privati. Dapprima il nonno e poi la nonna muoiono. Li seppelliscono come possono, sfuggendo ai controlli della polizia. L'ostilità generale circonda questi pezzenti in cerca di fortuna. In una bidonville (una “hooverville”, come erano sarcasticamente chiamati questi campi, dal nome del presidente repubblicano che aveva guidato il paese negli anni cruciali della depressione), Tom si scontra con un poliziotto e si trova al centro di una tensione sociale sempre più minacciosa. Poco più avanti, i Joad (il loro numero si assottiglia, anche il marito di Rosaharn se n'è andato, incapace di sopportare un'esistenza tanto degradata) ottengono lavoro come braccianti in una fattoria dove è in corso uno sciopero per i salari di fame. I poliziotti fanno fuoco sui dimostranti, uccidendo Casy che era alla loro testa. Tom lo vendica ammazzando un poliziotto. Ora deve nuovamente fuggire. La famiglia giunge a un campo governativo, che offre ai profughi un'assistenza decente (c'è nella descrizione un certo conformismo “rooseveltiano” che ingentilisce eccessivamente i toni). Trova anche lavoro, ma neppure qui mancano le manovre di quanti vogliono comprimere i salari a vantaggio dei grandi proprietari. Scoppiano tafferugli. Tom, che si sente braccato, fugge. Saluta la madre: “Me ne andrò in giro, nel buio. Dovunque guarderai mi potrai vedere. Dovunque si lotterà per sfamare la gente, io ci sarò”.
Ford non è sempre felice, nel tentativo di rispettare quel proposito di “cronaca drammatica” al quale la sceneggiatura lo vincolava. Torna il tema del viaggio, non più conquista avventurosa; del mondo (affermazione di una libera società del capitale, benedetta da Dio) e non ancora scoperta dell'anarchica libertà della contestazione giovanile. Questo è un viaggio disperato “al fondo della notte”, con una vaga (e da Ford non condivisa) speranza in una lotta di classe di cui si vedono i conati ma non le prospettive: e di fatto le prospettive non esistono. Al centro troviamo ancora il dramma dell'uomo solo, nella condizione estrema di outcast, forma esasperata (e pessimistica) di individualismo. |
Autore critica: | Fernaldo Di Giammatteo |
Fonte critica: | 100 film da salvare, Mondadori |
Data critica:
| 1978
|
Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
|
|
Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Furore |
Autore libro: | Steinbeck John |
|