Mia vita in rosa (La) - Ma vie en rose
Regia: | Alain Berliner |
Vietato: | No |
Video: | Cecchi Gori |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Diventare grandi, Le diversità |
Eta' consigliata: | Scuole elementari; Scuole medie inferiori |
Soggetto: | Da un racconto di Chris Vander Stappen |
Sceneggiatura: | Alain Berliner, Chris Vander Stappen |
Fotografia: | Yves Cape |
Musiche: | Dominique Dalcan |
Montaggio: | Sandrine Deegen |
Scenografia: | Véronique Melery |
Costumi: | Karen Muller-Serreau |
Effetti: | |
Interpreti: | George Du Fresne (Ludovic Fabre), Michèle Laroque (Hanna Fabre), Jean-Philippe Ecoffey (Pierre Fabre), Hélène Vincent (Elisabeth), Julien Rivière (Jérome), Laurence Bibot (Lisette), Jean-François Gallotte (Thierry), Caroline Baehr (Monique), Marie Bunel (la psicanalista), Gregory Diallo (Thom) |
Produzione: | Haut et Court - Freeway Films - Wfe - Cab - La Sept Cinéma |
Distribuzione: | Cecchi Gori Distribuzione |
Origine: | Belgio |
Anno: | 1997 |
Durata:
| 89’
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Trama:
| Ludovic è un bambino di sette anni che si sente bambina, al punto da dichiarare che, da grande, diventerà una ragazza. Presi dai soliti problemi quotidiani e da altri tre figli, il padre Pierre e la mamma Hanna sul momento non danno peso alla cosa, giudicandola uno scherzo infantile. Ludovic però ama identificarsi con la magica Pam, eroina di un serial televisivo, si comporta come lei, e alla festa organizzata dai genitori si fa vedere con abiti femminili. Così cominciano le preoccupazioni e l'incertezza sulle cose da fare. Le sedute con una psicanalista producono effetti molto relativi. Ludovic continua ad atteggiarsi da femminuccia, rimanendo molto tranquillo mentre ad essere tesi e nervosi sono i genitori in contrasto tra loro sui comportamenti da tenere. Hanna vuole essere comprensiva e disponibile, Pierre è meno accomodante e si lascia andare a scatti d'ira piuttosto forti: alla sua fragilità contribuisce anche l'incerta situazione che vive in ambito professionale. Lo studio dove lavora sta passando un momento delicato e lui avrebbe bisogno di proporsi con una situazione familiare solida e serena. Ludovic, che portava i capelli a caschetto come una ragazzina, viene rapato quasi a zero ma la situazione non migliora. Le chiacchiere dei vicini si fanno più insistenti e parlano di scandalo e di pericolo. Quando Pierre viene licenziato, la famiglia si trasferisce a Clérmond Ferrand. Qui Ludovic conosce Christine, una bambina che si vuole vestire da ragazzo. Fanno a cambio di vestiti, Hanna li vede, prende a schiaffi Ludovic, poi sviene. Si risveglia e dice che Ludovic sarà sempre il suo (e il loro) bambino. Qualunque cosa accada.
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Critica 1: | Ludovic (G. Du Fresne), bambino belga di sette anni, è convinto di essere una bambina e vuole sposare il compagno di banco Jerome (J. Rivière). Rossi di vergogna, i genitori cercano di raddrizzarlo con ogni mezzo. Ludovic resiste, rifugiandosi con la fantasia nel mondo di Pam, eroina di un programma TV o chiedendo asilo a nonna Elizabeth (H. Vincent), la sola che lo capisce. E una favola per adulti sulla diversità (vista "dal basso") e sull'innocenza violata, tratta da un racconto di Chris Van der Stappen che l'ha sceneggiato. Berliner l'ha messa in immagini con grazia artigianale e coerenza stilistica anche sul versante surrealistico. Finale pacificatore, ma non consolatorio. Da non perdere la scena in cui Dio distribuisce le X e le Y per assegnare il sesso ai nuovi nati. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Berliner si prende tutto il tempo necessario a esporre le situazioni e illustrare le reazioni dei personaggi, interpretati molto bene da Jean-Philippe Ecoffey e Michèle Laroque, con l'effetto che lo spettatore ha l'impressione di partecipare in diretta agli eventi. Non è un piccolo merito riuscire a sposare toni seri, umorismo e pudore, alternando senza squilibri la commedia col dramma. Però La mia vita in rosa fa di più. Per spiegarlo, il regista ha preso a prestito una frase di Picasso: 'Dove c'è del grigio, io metto del rosa'. Ecco: la cosa davvero singolare del su film è la capacità di sospendere le situazioni tra sogno e realtà, a partire dal mondo di bambola che Ludovic si è creato. Da buon belga, Alain Berliner flirta con la particolare tradizione surrealista del suo Paese, quella dei Magritte e dei Delvaux che nei loro dipinti colgono il momento in cui sogno e realtà sfumano i confini al punto di renderli indistinguibili. Ma non stupisce neppure apprendere che tra i titoli di culto del regista c'è Edward mani di forbice di Tim Burton non a caso una delle più belle favole sulla diversità che il cinema ci abbia regalato. |
Autore critica: | Roberto Nepoti |
Fonte critica: | la Repubblica |
Data critica:
| 15/4/1998
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Critica 3: | Il racconto cinematografico di Alain Berliner ruota tutto intorno alla figura del piccolo Ludovic, un bambino belga che sta cercando di costruire la propria identità seguendo con naturalezza e libertà le proprie pulsioni e desideri. L'amicizia che lo lega al coetaneo Jérome diventa così una sorta di innamoramento che lo spinge a sognare un matrimonio omosessuale che, oltre a non essere previsto dalle leggi vigenti (e dunque da una società incapace di adattarsi ai tempi che cambiano), suscita scandalo per la giovanissima età dei due contraenti. Sembra un gioco, e forse lo è, ma il sentimento che lega Ludovic e Jérome è autentico.
I genitori di entrambi, prigionieri dei loro pregiudizi e degli schemi mental-comportamentali che la società ha costruito nel corso dei secoli, non sono pronti ad affrontare la questione e fanno appello, di volta in volta, a strumenti che si limitano a portarli lontani da una verità assai più vicina e semplice di quanto non credano. La madre di Ludovic segue i consigli pedagogici delle riviste femminili, quella di Jérome si limita a svenire. Quando il padre di Ludovic sente minacciata la sicurezza del proprio posto di lavoro a causa delle pressioni esercitate su di lui dal vicinato piccolo borghese e dai suoi capi, giunge immancabile il ricorso alla psicologa, la cui ampiezza di vedute si mostra in tutta la sua modestia quando suggerisce a Ludovic di nascondere la propria natura, di tenerla per sé, poiché non è sempre necessario farsi accettare dagli altri. Emerge così in maniera assai evidente il tema della discriminazione, tipico di una società che procede per schemi fissi, che ha come unico sogno la serenità della vita quotidiana ed è disposta, per raggiungerla, a pagare il prezzo della monotonia e dell'emarginazione. I comportamenti "diversi" fanno saltare gli equilibri, minano alla base le certezze che tutti condividono e producono una situazione di crisi che va risolta in fretta e senza chiasso.
L'omosessualità di Ludovic è in fondo un pretesto per mettere in scena un quadro critico della società contemporanea. Il bambino è ancora troppo piccolo, non ha certamente compiuto una scelta né sta allo spettatore esprimere previsioni in merito al suo sviluppo sessuale. Lo stesso discorso vale per il travestitismo, rappresentato in chiave ludica e molto pop, con colori accesi e toni kitsch, mutuati dai telefilm, dai cartoni animati e dai gadget adolescenziali. Più interessante, invece, risulta essere la fuga dal reale che Ludovic compie ed è costretto a perseguire non sentendosi accettato. La magica Pam, eroina della sua serie televisiva preferita, non solo è la sua unica, vera amica (Jérome finirà per odiarlo - spinto dalla madre - e Christine forse sarà indotta a fare altrettanto) ma anche la sua fonte d'ispirazione, il suo mentore, la sua "stilista" e l'unico tramite che - paradossalmente - permette a Ludovic di avere contatti con il mondo reale. Significativa, in questo senso, è la sequenza conclusiva, con Ludovic che "penetra" nel cartellone pubblicitario inseguito dalla madre. Soltanto sotto gli occhi di Pam, e dunque in un irreale onirico e fumettistico, il piccolo si riconcilia con la donna che gli ha dato la vita e che non ha saputo capire nulla di lui. Che cosa poi succeda davvero tra le mura domestiche, nella grigia Clermont-Ferrand dove la famiglia si è trasferita, non appartiene al racconto e dunque nemmeno a questa analisi. |
Autore critica: | Stefano Boni |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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