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Giardino delle vergini suicide (Il) - Virgin Suicides (The)

Regia:Sofia Coppola
Vietato:No
Video:Elle U Multimedia
DVD:Elle U Multimedia
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides
Sceneggiatura:Sofia Coppola
Fotografia:Edward Lachman
Musiche:Jean-Benoit Dunckel, Nicolas Godin
Montaggio:Melissa Kent, James Lyons
Scenografia:Jasna Stefanovic
Costumi:
Effetti:
Interpreti:James Woods, Kathleen Turner, Kirsten Dunst, Josh Hartnett, A.J. Cook, Danny De Vito, Hannah Hall, Leslie Hayman, Michael Paré, Chelse Swain, Jonathan Tucker
Produzione:American Zoetrope, Eternity Productions, Muse Productions
Distribuzione:Cecchi Gori
Origine:Usa
Anno:1999
Durata:

96'

Trama:

Nella provincia americana degli anni Settanta, i Lisbon hanno educato le cinque figlie in modo molto rigoroso e religioso. Improvvisamente la tredicenne Cecilia tenta di tagliarsi le vene, ma viene salvata. Poco dopo si lancia dalla finestra e muore. Il suo suicidio non si spiega. Superata la disperazione, la vita ricomincia: il padre insegna matematica, la madre bada alla casa, le sorelle vanno a scuola: Lux ha quattordici anni, Bonnie quindici, Mary sedici e Therese diciassette. Trip si innamora di Lux e ottiene dai suoi genitori il permesso di accompagnarla a un ballo scolastico. I due ragazzi si amano e Lux torna a casa il mattino dopo, ben oltre l'orario fissato dalla madre. Per punizione tutte le sorelle vengono ritirate da scuola e costrette a non uscire da casa. Comunicando con i ragazzi della casa di fronte, organizzano la fuga: ma la notte stabilita si suicidano insieme.

Critica 1:Dei molti modi di raccontare un fatto straziante, l'esordiente di papà Sofia Coppola sceglie la via, raffinata e difficile, del racconto in bilico tra rievocazione dolente, notazione millimetrata e lampi di metafisico mistero. Non spiega (e come potrebbe del resto?) il perché del suicidio di cinque splendide ragazze, ma accompagna il prima, il durante e il dopo quasi con pudore, accarezzando i personaggi e costruendo le scene con una perizia da veterana (che papà Francis abbia dato una mano?). Delle biondissime sorelle, in particolare, colpisce Kirsten Dunst, angelica dissipatrice della propria sensualità, mentre James Woods e Kathleen Turner, da interpreti di finissima razza, regalano alla coppia di genitori, toni di piccolo-borghese (e meschina) normalità e poi di incommensurabile, attonito dolore. Un film toccante.
Autore critica:Massimo Lastrucci
Fonte criticaCiak
Data critica:

1/10/2000

Critica 2:Debutto sorprendente, quello di Sophia Coppola con Il giardino delle vergini suicide. Come è sorprendente (o non lo è, da un altro e altrettanto legittimo punto di vista di cultura familiare) che dopo cinque minuti di film, se ci si distrae un attimo, non si sia più sicuri di essere in un film della ragazza Sophia, tanto aleggia sulla storia e sullo stile l'aura nostalgica di leggenda contemporanea alla maniera di Rusty il selvaggio e di Peggy Sue si è sposata, entrambi firmati dal padre di Sophia, Francis Ford Copola. Ed è lo stile la sorpresa del film. Perché nonostante la bravura della men che trentenne Sophia, la storia raccontata da Jeffrey Eugenides nel suo romanzo “Le vergini suicide” (in Italia pubblicato da Mondadori) è difficile da accettare, e più che un'analisi psicologica ci offre un'invenzione mitica. Quella, appunto, delle cinque sorelle Lisbon, figlie di un professore di matematica (James Woods) e di una severa madre che è proprio lei, Peggy Sue spenta e invecchiata (Kathleen Turner): cinque apparizioni nel mondo regolare e allisciato dei sobborghi middle class, bellissime e sensuali come altrettante "ultime belle" fitzgeraldiane, malate di una malattia che si chiama adolescenza più femminilità, indirizzate all'autodistruzione dal gesto della più giovane, che una notte, senza ragione apparente, si lancia dalla finestra sulle punte del cancello di casa. E mentre i genitori, sconvolti dal dolore, cercano sempre più rigidamente di chiudere in casa le loro bellezze per preservarne virtù e (credono) salute mentale, i ragazzi del vicinato le guardano ogni minuto di più come delle apparizioni leggendarie, dee dei suburbia, quintessenza di sensualità potenziale. Perché non siamo davvero sicuri che Lux (Kirsten Durst), la più bella, se la faccia tutte le notti sul tetto con i suoi amanti: non c'è come la bellezza per produrre miti. E non c'è logica, se non quella della leggenda, per giustificare la fine delle ragazze - anche se ci dicono che la storia è vera. Ma è appunto lo stile di Sophia Coppola - elegante, onirico anche nel realismo borghese, sempre a un passo dal Kitsch senza caderci mai dentro, pieno di dettagli precisi e di precisa conoscenza dei movimenti e dei sogni dell'età verde - a dare forza a una storia che avrebbe potuto essere (e per certi versi è) pura fantasia morbosa, non a caso costruita da una mente maschile che affabula dall'esterno, come i ragazzini del vicinato, sulle cinque dee bionde. E, più che gli acuti della tragedia, restano nella memoria la bravura con cui Sophia Coppola sa evocare i comportamenti adolescenziali: come il dialogo via telefono tra due giradischi (si chiamavano così negli anni Settanta in cui si svolge il film) o il risveglio crudele di Lux sul campo sportivo dopo la sua notte d'amore, immediatamente abbandonata dal solito maschietto predatore.
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte critica:la Repubblica
Data critica:

18/9/2000

Critica 3:Film difficilmente etichettabile, l'opera prima delle ventisettenne figlia di Francis Ford Coppola affronta il delicato tema del disagio esistenziale adolescenziale con uno stile narrativo in bilico tra il racconto fantastico e l'affresco sociale. La vicenda si svolge in un luogo senza definizione geografica, se non nell'accezione della provincia americana come simbolo di una normalità apparente, e in un tempo immobile, in cui i pochi riferimenti agli anni Settanta non sembrano volerlo datare con eccessiva precisione storica.
L'immediatezza e l'imprevedibilità del primo suicidio, quello di Cecilia, la sorella più giovane, e l'impossibilità di spiegare il gesto da parte degli altri personaggi, ma anche dello spettatore, sembrano funzionali a rendere problematicamente il tema. Proprio l'assenza di possibili giustificazioni sottolinea la delicatezza del disagio adolescenziale, che qui giunge a esplicarsi in modo estremo e tragico. Il film sembra quindi invitare gli adulti a non presumere che la loro razionalità possa comprendere e spiegare tutto, né tantomeno a illudersi che il semplice controllo sia sufficiente per evitare imprevisti drammatici.
In questo senso la signora Lisbon diventa l'icona esemplare di una madre possessiva che vuole sicuramente bene alle figlie, ma non si rende contro di soffocarle con un eccessivo controllo dei loro gesti e delle loro vite, a maggior ragione in un momento di crescita e trasformazione come l'adolescenza. Ossessionata dall'applicazione rigida di una religiosità deformata, che sembra prevedere solo il controllo e la punizione e mai il godimento della vita, la signora Lisbon appare a sua volta vittima di un provincialismo in cui l'apparenza è di per sé sacra. La superficialità di un ambiente sociale benestante e benpensante cela così una fredda determinazione nel dividere tra persone degne e indegne, luoghi da frequentare o da evitare, classi e gruppi sociali con cui entrare in contatto o da cui restare alla larga.
La famiglia, su questa impronta, non si rivela più un nucleo protettivo e formativo, ma il luogo in cui dietro la tranquillità quotidiana e la rispettabilità sociale covano forze distruttrici che saranno difficilmente controllabili. La passività del padre e la dominanza della madre si ritorcono sulle quattro sorelle superstiti, che pur con caratteri diversi paiono impossibilitate a vivere in modo personale. La famiglia diventa letteralmente una prigione nella parte finale del film, dopo che Lux ha sfidato le regole imposte dalla madre, seguendo i propri sentimenti.
In questo senso l'amore tra Trip e Lux - nomi evidentemente simbolici - appare amaramente fuori luogo. Non perché immorale, ma perché non sembra esserci posto per l'istinto e la dolcezza in un luogo in cui tutto si riduce al controllo e al dovere. Sarebbe semplicistico leggere il suicidio collettivo finale in modo univoco oltre che incongruo tentare di spiegarlo. Ma pur senza volerlo legare necessariamente all'amore negato di Lux e alla solidarietà delle sorelle, l'atto estremo che tutte le figlie hanno scelto prima ancora di diventare maggiorenni appare innanzitutto, almeno ai fini del film, un estremo e disperato gesto di cinque adolescenti che rivendicano il proprio spazio specifico di fronte ad adulti incapaci di uscire dalla rigidità dei propri schemi.
Autore critica:Michele Marangi
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Giardino delle vergini suicide (Il)
Autore libro:Eugenides Jeffrey

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