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Paesaggio dopo la battaglia - Krajobraz po bitwie

Regia:Andrzej Wajda
Vietato:No
Video:Vivivideo
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La guerra, La memoria del XX secolo
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto da una novella di Tadeusz Borowski
Sceneggiatura:Andrzej Brzozowski, Andrzej Wajda
Fotografia:Zygmunt Samosiuk
Musiche:Brani da Vivaldi, Chopin, Konieczny
Montaggio:Halina Prugar
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Aleksander Bardini (Professore), Stanislawa Celinska (Nina), Leszek Drogosz (Tolek), Stefan Friedmann (Gypsy), Tadeusz Janczar (Karol), Daniel Olbrychski (Tadeusz)
Produzione:Barbara Pec Slesika
Distribuzione:Lab80 - Ventana
Origine:Polonia
Anno:1970
Durata:

110’

Trama:

Germania, inverno 1945. Un campo di prigionieri polacchi è liberato dagli americani. In attesa di essere accolti in qualche paese occidentale, perchè la Polonia è ormai diventata comunista e satellite dell'URSS, gli ex prigionieri vengono rinchiusi dai liberatori in vecchie caserme naziste nelle quali l'euforia del primo momento cede ben presto il posto alla delusione, all'angoscia, ai risentimenti. In questo contesto nasce l'amore tra Tadeusz, un ex-prigioniero intellettuale, e Nina, una giovane ebrea fuggita dalla Polonia. L'uccisione della ragazza da parte di una sentinella scatena in Tadeusz una crisi di revisione umana e politica che lo convincerà a far ritorno in patria.

Critica 1:L' 8 Maggio 1945, a guerra finita, gli internati di un campo di concentramento nella Germania nazista sono trasferiti dagli americani in una caserma delle SS che funziona da campo di raccolta e smistamento. Tra loro c'è Tadeusz (D. Olbrychski), giovane intellettuale polacco che stringe un'amorosa amicizia con l'ebrea Nina (S. Celinska). Dopo la sua morte accidentale e assurda, decide di tornare in Polonia. Ispirato ai racconti di Tadeusz Borowski (1922-51), sopravvissuto ai campi di sterminio, Wajda (1926) torna ai temi dei suoi film giovanili con un film dolente, lucido, disincantato, ma non disperato, non privo di riferimenti incomprensibili per uno straniero (o un polacco di corta memoria storica), ricco di sequenze memorabili: le prime ore di libertà (accompagnate dalla musica di Vivaldi); la ridicola solennità della recita della Battaglia di Grunwald; la passeggiata dei due innamorati fuori dal campo; la scena dell'obitorio.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:La figura del poeta che viene delineata nel corso del racconto e prende corpo attraverso l'insieme delle relazioni frammen-tate che lo collegano agli altri abitanti del campo, sembra pro-porsi come esempio di una totale indifferenza verso quanto torna invece a interessare i compagni, e che è riassumibile in una parola: il futuro. La scelta di un ritorno in patria oppure dell'emigrazione definitiva, le diverse passioni politiche che si nascondono dietro questa scelta, i progetti legati al recupe-ro di un'esistenza normale, la volontà stessa di rivalersi in qualche modo degli anni perduti nella sofferenza e nella cru-deltà dell'internamento: tutto questo non sembra minimamen-te interessarlo. Il suo unico «progetto» sembra essere quello di vivere giorno per giorno, irridendo il comportamento dei compagni, annotando di tanto in tanto sul proprio quadernetto versi a cui pare non credere più di tanto, raccogliendo libri che altri buttano, applicandosi coscienziosamente - e sprez-zante delle leggi e dei regolamenti imposti dall'autorità - ai sotterfugi che gli permettono di saziare la fame arretrata a cui non pone certo rimedio lo scarso cibo passato dalla mensa. Un tale ripiegamento del protagonista nella dimensione del presente e della propria individualità, è l'ultimo stratagemma di salvezza opposto da una sensibilità prostrata, che ha dovu-to chiudersi a riccio su se stessa per non soccombere a quan-to ha dovuto provare, vedere, sentire. Ma il fondo romantico di questa persona - che avrebbe comunque la forza di con-trapporre la consapevolezza della solitudine e dell'impotenza allo spirito di branco in cui gli altri preferiscono nascondersi per credersi così meno deboli e ancora vivi - ritrova il suo re-spiro nell'occasione concessagli da una storia d'amore che nasce, frutto del caso e della disperazione, e nel corso della quale anche lo scontrarsi sulle scelte di un possibile futuro in comune sembra acquistare finalmente un senso. Si tratta di un romanticismo legato non tanto a un sentimento generaliz-zato della natura e dell'amore in cui l'individuo ritrova il pro-prio posto unendosi nuovamente ai ritmi universali dell'esi-stenza, quanto piuttosto nutrito dalla consapevolezza di ap-partenere a una natura e a una cultura particolari, riunite sotto l'unico nome di Polonia. Lo scontro con la ragazza si verifica proprio sui piano di questa scelta: se lei ha già raggiunto la decisione di fuggire in occidente, Tadeusz al contrario, pur non sapendo ancora che cosa fare, nondimeno sente imperio-so il richiamo di una collettivitàa cui sente di appartenere e solamente nella quale potrà sentirsi riconosciuto. Questa storia d'amore è l'occasione drammatica in cui ripren-dere l'abitudine alla vita; significa ritornare a confrontarsi apertamente con l'altro, e anche a scontrarsi sui progetti, ri-scoprire il trauma vivificante della scelta. Neppure la morte imprevedibile - e perciò ancora più beffarda - della ragazza potrà annullare questo ritrovamento di sè ottenuto poche ore prima in sua compagnia: la decisione di tornare in Polonia, benchè contraria al desiderio di lei, diventerà allora il migliore omaggio alla sua memoria, perchè conseguenza di un movi-mento di autocoscienza che proprio in lei ha trovato il suo mo-mento di confronto, di crescita, di parola. E questo anche se l'esistenza che attenderà in patria colui che ritorna è circon-data nella più completa incertezza.
Questa volontà, mista di generosità e scetticismo, di non in-dietreggiare comunque di fronte a quanto di scoraggiante ci possa proporre l'esistenza e la storia mi sembra condivisa in occasione di questo film dallo stesso Wajda, che realizza con Paesaggio dopo la battaglia un film che rifiuta ogni forma di certezza; un film dove la paura, la disperazione e la pura vo-lontà di sopravvivenza sembrano costituire i soli punti di riferimento del gruppo umano sradicato e sbandato che lo popola. Nessuno, del resto, sembra uscire indenne da un'ironia cru-dele che ha voluto offrirci in visione, quale primo atto di una pace ritrovata e salutata dai vincitori come ritorno alla civiltà e alla libertà, la disgustosa esecuzione di un ex kapò - consu-mata tra i due estremi altrettanto feroci della partecipazione gioiosa e della più assoluta indifferenza. Lo stesso protagoni-sta appare in più occasioni roso dalla paura e annichilito dalla propria rabbia impotente (lo stesso Olbrychski ha dichiarato apertamente la difficoltàd da lui provata nell'interpretare un personaggio così diviso'tra generosità e vigliaccheria - vi-gliaccheria, del resto, indotta dalla necessità di sopravvivere: «I vivi hanno sempre ragione»). E se è inutile soffermarsi sulla figura del prete, colta nella doppiezza di chi vorrebbe propor-re la religione come unico punto di riferimento nel nufragio, scegliendo però di muoversi al fianco del potere; o degli altri personaggi, di cui basta rilevare come siano in continuità colti nella totale disgregazione di un'esistenza che si riflette nella loro incapacità a ricostruire una qualsiasi dimensione di col-lettività; è piuttosto interessante notare invece come la figura stessa del militante comunista venga tratteggiata in modo da sottolinearne senza trionfalismi sia gli slanci ideali che la loro fragilità causata da una situazione in cui lo spazio per ogni forma di utopia rischia in continuazione di venire soffocato dalla ferocia della lotta per la vita. È l'immagine di lui che at-traversa il ponte in mutande per tornare in patria a contribuire alla costruzione del socialismo riflette davvero tutta l'ambiva-lenza di un sentimento - quello di Wajda, appunto, - diviso tra la consapevolezza di quanto sia debole e stracciona l'utopia di fronte alle prove a cui la storia la sottopone, e l'ammira-zione per il coraggio che un individuo può ancora arrivare a dimostrare assumendosi in prima persona la responsabilità della riuscita o della disfatta di fronte a tali prove.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 198
Data critica:

10/1980

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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