Adele H., una storia d'amore - Histoire d'Adele H. (l')
Regia: | François Truffaut |
Vietato: | No |
Video: | Mgm Home Entertainment, L'Unità Video (Gli Scudi) |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La condizione femminile, Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Jean Gruault, Suzanne Schiffman, François Truffaut tratto da "Le journal d'Adele Hugo" di Adele Hugo |
Sceneggiatura: | Jean Gruault, Suzanne Schiffman, François Truffaut |
Fotografia: | Nestor Almendros |
Musiche: | Maurie Jaubert |
Montaggio: | M. Barraque, Yann Dedet, J. Garconne |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Isabelle Adjani, Joseph Blatchley, Bruce Robinson, François Truffaut, M. White |
Produzione: | Les Films du Carrosse, Les Productions Artistes Associes |
Distribuzione: | Cineteca Griffith |
Origine: | Francia |
Anno: | 1975 |
Durata:
| 96'
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Trama:
| Perdutamente innamorata dell'inglese Albert Pinson, il giovane tenente degli Ussari di cui è stata l'amante, Adele Hugo, secondogenita del grande scrittore, fugge dall'isola di Guernesey (nella quale suo padre, ardente repubblicano, vive in esilio dopo l'avvento del secondo impero) e raggiunge Halifax, città della Nuova Scozia in cui Pinson è stato destinato. Il bel tenente però non l'ama più e a nulla serve il consenso a sposarlo che Adele ha finalmente strappato dal padre, così come si rivelano inutili, anzi dannosi, i sotterfugi e le menzogne cui la ragazza ricorre per riconquistare l'uomo che ama. Quando Pinson si trasferisce col suo reggimento alle Barbados, Adele lo segue. Perduta la primitiva bellezza, ridotta in miseria, la giovane è ormai prossima alla follia, tanto da non riconoscere l'amato. Soccorsa da una donna di colore, tornerà con lei in Europa per morire quarant'anni dopo in una casa di cura.
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Critica 1: | Tratto dai diari della figlia di Victor Hugo (scoperti nel 1955), è il caso raro di un film intimista con un personaggio solo. E l'Adjani, superpremiata, è una straordinaria solista. Sarà amato da chi sa apprezzare in Truffaut la descrizione dolce di emozioni violente. A chi lo trovasse troppo freddo e distaccato, troppo intransigente nel suo tranquillo rigore, si può osservare che non è necessario essere romantici per raccontare una storia romantica. Talvolta, anzi, non si deve esserlo. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Uno degli aspetti del film che maggiormente ha destato interesse in spettatori della cui attenzione non si puó dubitare, è la relativa infedeltà adottata da Truffaut nel raccontare le tragiche vicende di Adele, figlia misconosciuta del grande scrittore francese. La storia del film sembra far violenza alla Storia, quella documentata dalle testimonianze autobiografiche lasciate dalla stessa Adele, che pure costituiscono il punto di partenza del lavoro di Truffaut. La manifestazione di questa infedeltà conosce i modi della deformazione (quando Adele fuggí di casa aveva 33 anni e non, a malapena, 20, come il film lascia intendere; la fitta corrispondenza che si intreccia fra la ragazza e il padre aveva, in realtà, un destinatario diverso, e precisamente il fratello); della sottrazione, anche (Truffaut tace a proposito di molti fatti: volutamente ignora che i diari furono scritti in codice; che questi furono commissionati dal padre all'epoca dell'esilio politico nell'isola di Guernesey; che Adele aveva in precedenza tentato di abbandonare la famiglia ed era già stata ricoverata in clinica); infine, dell'invenzione (numerose lettere - per esempio, quella in cui Adele si proclama “nata da padre ignoto”, o quella in cui si rivolge alle donne del Ventesimo secolo, le “sue sorelle” - le ha inventate lo stesso Truffaut, scrivendole all'ultimo momento). Poiché non è il caso, né qui né altrove (forse), di mettersi a discutere se sia lecito o meno scostarsi dalla Storia per raccontare una storia, sia pure autentica, conviene piuttosto interrogarsi a proposito del senso di queste variazioni. Il che, a un certo punto, fa tutt'uno con il senso (o i sensi) del film. stesso. In altre parole, la risposta è contenuta nel testo, allo stesso modo della soluzione di un giallo che, s'intende, altro non è se non la risultante degli elementi che ne compongono il tessuto narrativo. Dunque, non resta che leggere il libro o, nel nostro caso, vedere (cioè leggere, cioè interpretare) il film. Il quale si presenta, a prima vista, come la storia dell'amore “unico e solitario” di una fragile fanciulla, capace di attraversare gli Oceani per tentare di riconquistare un vacuo tenentino che la respinge. Le immagini iniziali de L'histoire d'Adè1e H. alludono, con rinvio evidente, ad un vecchio film
di Hawks, Barbary Coast (La costa dei Barbari, 1935), come al proprio passato. Un battello che scivola nella nebbia di una notte esotica, la scia-luppa che sbarca i passeggeri, la gente sul molo, che attende... Individui dai trascorsi incerti che hanno abbandonato domicilii più ospitali in cerca di fortuna e di una nuova vita. In mezzo a loro, una donna. È Miriam Hopkins, venuta a cercare il suo uomo che l'ha abbandonata per il miraggio dell'oro scoperto in California. Ma lui è morto e lei si adatterà a fare la ballerina nel saloon di Edward G. Robinson. Anche Isabelle Adjani cerca un uomo, sorretta da un'idea fissa - quella del matrimonio - che il ricordo di una lontana promessa alimenta senza posa. Ma il volto bellis-simo, segnato da un'ombra, tradisce un turbamento profondo, a stento contenuto. L'inquietudine traspare dai gesti, si fa denuncia di una lacerazione già avvenuta e presagio di nuove, non lontane sofferenze. Cosí il ritrovamento di Pinson, oggetto di un desiderio smisurato eppure inadeguato, è occasione di una clamorosa disillusione. Il giovane dimostra subito di non gradire le attenzioni davvero eccessive di Adele. Non vale offrire se stessi, senza chiedere nulla in cambio; non vale scongiurare né disperarsi. L'insistenza di Adele non ottiene che di sapere ciò che in cuor suo già conosce. Pinson non ha alcun interesse per lei, né mostra di meritare tanta devozione.
Ma la determinazione di Adele non conosce flessioni, non scende a patti con il reale: il desiderio, si sa, scompone e ritaglia la realtà per ricucirla a suo piacimento. Così ogni ripetuto diniego di Pinson non fa che alimentare la passione, rinsaldare il suo proposito. S'intende che tanto attaccamento è degno di miglior causa - e la lucida consapevolezza della ragazza allude, sintomaticamente, a qualcosa di più profondo, di più misterioso: “Si può amare qualcuno sapendo che tutto è spregevole in lui”. Il prezzo da pagare si fa allora altissimo, la sottomissione all'oggetto del desiderio non conoscendo che la via dell'umiliazione, della rinuncia, della degradazione progressiva. Sistematicamente respinta, Adele non indietreggia di fronte alla azioni più folli (menzogne, ricatti, travestimenti, traffici illeciti e assurdi). E la follia non tarda ad affiorare in superficie, a impadronirsi dei suoi gesti, delle sue azioni. Il male cresce a misura della sua frenetica attività, aggredisce il suo fragile corpo per impadronirsi della sua mente. Prima è la polmonite, poi l'oscuro (e simbolico) male agli occhi. Quando, terminati gli ultimi soldi, Adele troverà rifugio in un ospizio per vecchi e mendicanti, si intuisce che la fine è vicina. Resta la forza per l'ultimo folle viaggio, all'inseguimento di Pinson, trasferito alle Barbados. E qui, in una sequenza tra le più belle e strazianti di tutto il cinema di Truffaut, assistiamo all'ultimo incontro. Il giovane la scorge per strada e, impietosito, la segue nel bianco labirinto delle viuzze indigene. Quando l'inseguito, fattosi inseguitore, raggiunge Adele e la chiama per nome, lei passa oltre, lo sguardo perduto negli allucinati spazi della follia.
(...)
Adele, che aspira all'assoluto, respinge la sicurezza di un ordine imposto, sperimenta i rovelli di una solitudine vanamente protesa all'altrui conoscenza, si perde nei labirintici sentieri di un mondo impenetrabile al desiderio. “Tutto questo è abbastanza chiaro: il desiderio dimentica i nomi, travolge l'inutile presunzione dell'identità che si dissemina, attraversa nel nomadismo la storia e gli oceani, sino a raggiungere le desolate, liberatorie spiagge della follia”. (Marco Vellora). La follia radicalizza la diversità di Adele, ne cristallizza l'estraneità irriducibile, ponendo fra il soggetto e la realtà una distanza incolmabile, il percorso irreversibile di una agonia che ha per fine la morte.
Moderno elogio della follia, L'histoire d'Adéle H. si rivela, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, film personalissimo, attraversato e se-gnato dalle ossessioni private di un regista che abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Problematico ed ambiguo come tutti i film di Truffaut, in cui l'ambiguità è sinonimo di spessore, rispetto e restituzione della com-plessità dei dati del reale, Adele H. si colloca su quel versante della produzione del regista già occupato da opere come Il ragazzo selvaggio e Le due inglesi. Da quei film cioè che più di altri, rivelano, ad una lettura attenta, le preoccupazioni più intime e le ossessioni più nascoste di Truffaut, nel momento stesso in cui maggiormente vistosa si fa l'assenza di cenni direttamente autobiografici, con l'adesione a materiali letterari o docu-mentari abbondantemente estranei al vissuto del regista. E, per l'appunto, rispetto ai due film citati, Adele H. si propone come tentativo di sintesi stilistica - non ultimo motivo, questo, di interesse più propriamente estetico del film. Del Ragazzo selvaggio, Adéle H. ripropone l'aspetto di meticoloso rendiconto di un caso clinico, affidato alla puntigliosa osser-vazione del comportamento “ anormale ” della ragazza. Delle Due inglesi, invece, l'originale è prezioso calligrafismo che, con la materialità fisiologica della rappresentazione, ha prodotto quella “scrittura dei sentimenti” ca-pace di arrivare là dove pochi si sono spinti senza cadere nelle trappole melodrammatiche e del cattivo gusto.
La superiore maniera di Truffaut (che è strutturazione rigorosa dei materiali, rigido controllo del linguaggio filmico), gli consente di trattare con distacco i sussulti dell'amore solitario di Adele, per narrare con commossa e lucida partecipazione la progressione della sua follia. Ne risulta un film che sembra continuamente minacciato dalle tenebre del silenzio e della morte: sequenze ora rapide, ora distese nel ritmo febbricitante della malattia di Adele, pressocché non montate o, piuttosto, giustapposte come brandelli di illuminazioni che squarciano il nero assoluto di quei brevi istanti di nulla filmico che sono i “fondu”, unico segno di punteggiatura utilizzato nel film.
Nel nulla della morte si conclude la folle avventura di Adele che raggiunge - in virtù anche di quella infedeltà alla Storia lamentata al-l'inizio - il limbo cinematografico abitato dai personaggi di Truffaut. Da quegli anti-eroi, cioè, capaci di perdere se stessi nella ricerca di un senso smarrito (giacché, per essi, la, possibilità del riscatto nasce dall'abisso stesso della negatività, dall'estremo, della disperazione), e la cui morale si riassume forse definitivamente - in una frase consegnata dai diari di Adele allo spettatore di Truffaut: “Bisogna fare le piccole cose come le grandi”. Morale quotidiana, umanistica certo, da cui traspare una concezione della storia come insieme di piccole scelte compiute da oscuri individui in contrapposizione alla Storia Ufficiale fatta di grandi personaggi e altrettanto grandi eventi. Eloquente, in questo senso, il finale del film con l'immagine delle due tombe affiancate, ma segnate da un così diverso destino: il disinteresse per Adele, la partecipazione commossa delle moltitudini accorse ai funerali di Victor Hugo.
Isabelle Adjani è una Adele H. stupenda, apparizione inquietante al pari di tutte le donne di Truffaut. Ha gli stessi occhi penetranti e malati di Muriel, l'ostinazione dura e senza incrinature della sposa in nero, la sensualità profonda e mutevole di Julie-Marion. Se il film affascina e costringe ad una rapita adesione, il merito è anche del potere emotivo che emana dalla sua interpretazione. |
Autore critica: | Alberto Barbera,Umberto Mosca |
Fonte critica: | François Truffaut |
Data critica:
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Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Journal d'Adele Hugo (Le) (Diari) |
Autore libro: | Hugo Adele |
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