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Sguardo di Ulisse (Lo) - Vlemma tou Odissea (To)

Regia:Theo Anghelopoulos
Vietato:No
Video:Video Club Luce
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La memoria del XX secolo
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Theo Angelopoulos
Sceneggiatura:Theo Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris
Fotografia:Yorgos Arvanitis
Musiche:Eleni Karaindrou
Montaggio:Giannis Tsitsopoulos
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Erland Josephpson (Ivo Levi), Ghiorgos Mikalokopoulos (Nikos), Maia Morgenstern (le quattro donnedi Ulisse), Thanassis Vengos (autista del taxi)
Produzione:Anghelopulos Productions, Grecia - Paradis Film - Le General d'Images,Francia - Basic Cinematografica, Italia
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Francia – Germania – Grecia - Italia
Anno:1995
Durata:

186'

Trama:

A. (Keitel) , regista di origine greca esule negli Stati Uniti, torna nella città natale, Florina, per la proiezione di uno dei suoi controversi film. In realtà è tornato per trovare alcune bobine di un documentario, girato all'inizio del secolo sui Balcani dai mitici fratelli Manakias, la cui pellicola non è stata ancora sviluppata. Sulle labili tracce di questo documento, unico di una realtà perduta per sempre, A. si dirige in taxi verso la frontiera con l'Albania, dove incontra gruppi di profughi. Prosegue il viaggio verso Skopje in Macedonia, e quindi raggiunge Monastir, dove visita il rudere incendiato del vecchio cinema dei Manakias e dove un'impiegata della cineteca lo avvisa che le bobine sono a Bucarest. Alla frontiera A. ricorda l'arresto, l'interrogatorio e la fucilazione come sovversivo di Yannakis Manakias. In Romania, A. rivive il periodo trascorso con la famiglia a Costanza; il padre che torna da Mathausen nel 1945, le perquisizioni, gli arresti, le confische. Ad ogni ricordo del passato ecco sorgere il fantasma di un amore perduto. A. è ora su una chiatta che discende il Danubio verso le Porte di ferro con a bordo un'enorme statua di Lenin. A Belgrado A. ha un incontro con Nikos, un amico giornalista, conosciuto a Parigi, che lo avvisa che le bobine sono a Sarajevo. Dopo un viaggio notturno sul fiume, giunge nella martoriata città: qui incontra Ivo Levi, il conservatore delle cineteca, che tenta di sviluppare la pellicola contenuta nelle bobine. Nella passeggiata nella nebbia per festeggiare la riuscita dell'operazione assiste allo sterminio, ad opera di un cecchino, di tutta la famiglia di Levi.

Critica 1:A. (H. Keitel), regista greco, torna in patria per la prima di un suo film e per cercare tre bobine di un negativo (Le tessitrici) impressionato nel 1905 dai fratelli Maniakas, pionieri del cinema, girovaghi nei Balcani. Il suo viaggio di ricerca attraversa Albania, Macedonia, Bulgaria, Romania e approda alla straziata Sarajevo dove l'attende un anziano cinetecario (E. Josephson) con il mitico reperto. (La parte era destinata a Gian Maria Volonté, morto dopo pochi giorni di riprese.) Capolavoro imperfetto? Nella malinconica liturgia solenne del suo cinema di riflessione sulla Storia le pagine opache non mancano, ma le pagine riuscite sono di alto livello, e più numerose. Scritto con Tonino Guerra e Petros Markartis, il decimo film di T. Anghelopoulos (1936) conferma che questo regista isolato, peculiare e inimitabile è uno dei pochi cui si può attribuire la qualifica di "europeo": il suo è "un invito alla ragione (non alla ragion di Stato), di cui abbiamo bisogno perché il relativo sonno non generi altri goyeschi mostri" (Lorenzo Pellizzari). Non c'è ritorno a Itaca per il suo Ulisse: l'epica sfocia in tragedia. Lo sguardo innocente dei pionieri del cinema è perduto per sempre. Gran Premio della Giuria a Cannes 1995 quando la Palma d'oro toccò a Underground di Emir Kusturica, come dire l'Odissea e l'Iliade di questa fine di secolo.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Lo sguardo di Ulisse, pur perfettamente funzionante nel suo insieme come «gioiosa macchina», ha momenti di grande intensità ed emozione. A ciascuno, secondo la propria predisposizione, i propri gusti, il proprio affiato con il cinema - con il grande cinema -, o con la vita, scovare i suoi. Personalmente mi soffermo sulla citazione del reperto de Le tessitrici, con il successivo passaggio dallo smunto bianco e nero a un mediterraneo colore; sulla nave colorata di blu (che mi immagino come un «effetto elettronico» fatto a mano, ovvero effettivamente e metodicamente colorato sul campo, equipaggio compreso); sulla sequenza della duplice manifestazione a raffronto, ombrelli contro fiaccole, separati dal cordone di polizia; sul paesaggio con figure nella neve che dipinge l'espulsione dei clandestini da paese a paese; sulla sequenza della partenza del treno rincorso dalla ragazza (mirabile inquadratura fissa - e macchina in parallelo - della carrozza con lui a bordo e lei a terra, in una progressiva accelerazione da autentica suspense); sulla fusione temporale (capodanno 1945 - capodanno 1949 - capodanno 1950) in un unico spazio fisico (la villa borghese) ma con ben diversi eventi (il ritorno dai campi di prigionia del padre, l'arresto del sospetto, la confisca dei beni); l'interminabile carrellata lungo le rive del Danubio, con la gente che accompagna il passaggio della statua di Lenin ora rincorrendola, ora inginocchiandosi e facendo il segno della croce, ora vivendo la propria vita normale; il dito di Lenin che indica non si sa più che cosa... e potrei proseguire se lo schermo cinematografico fosse un colossale VHS, da portarsi in seguito a casa (anche per evitare che la fascinazione delle immagini e la labilità del ricordo inducano in non più perdonabili errori).
Il discorso è aperto, ma avvento il parere che siamo nuovamente di fronte al miglior Angelopoulos, o all'Angelopoulos di sempre. Amatissimo, sia pure da élites (per quanto vaste), ai tempi de La recita; recuperato dagli spettatori più attenti con i suoi film precedenti (Ricostruzione di un delitto e I giorni del '36); ampiamente accettato per I cacciatori (ma siamo ancora negli ideologici anni '70); sopportato per Alessandro il grande e per Viaggio a Citèra; parzialmente riabilitato per Il volo e Paesaggio nella nebbia, Angelopoulos ha comunque via via perso consensi, almeno da parte di una certa critica e di un pubblico diseducato a osservare e pensare. Il suo cinema viene definito di maniera; d'impostazione teatrale (e in effetti i suoi personaggi si muovono come su un grande palcoscenico, rallentando persino i ritmi in funzione delle esigenze dei piani sequenza, ma forse non succede così anche nella vita?); eccessivamente e inutilmente virtuosistico (dimenticando che il termine deriva da virtus); smodato nei suoi vezzi. Persino questi suoi celebri e infiniti piani sequenza, magistrali nella concezione e scrupolosissimi nell'esecuzione (sono le inquadrature che richiedono il maggior numero di rifacimenti, in lui anche oltre la dozzina), paiono venuti a tedio a spettatori drogati dal montaggio convulso dei film d'azione o addirittura al ritorno del campo-controcampo tradizionale. Chi sbaglia? Non sbaglia Angelopoulos nella sua «coazione a ripetere», nella sua fedeltà a una cifra stilistica, nella sua opera di convinzione graduale e di lenta penetrazione. Non sbaglia nella sua accanita ricerca di un'identità (forse gliel'ha insegnato Antonioni) come dei fondi necessari a esprimere la ricerca (forse gliel'hanno insegnato in tanti), nella sua perseveranza didattica e insieme poetica, nella sua visitazione dello spazio esterno (outer space si direbbe nei film di fantascienza) che non è quello al pianeta ma del pianeta. Sbaglia forse nel voler insistere su certe scelte di attori (il sopravvalutato e apatico Marcello Mastroianni, ormai visto come un suo errato ed errante alter ego, e ora un Harvey Keitel che pare scolpito con l'accetta; l'uno troppo rigido per essere plasmato, l'altro - l'italiano - troppo morbido per essere rinvigorito). Sbaglia forse, e maggiormente, nel fidare ancora nella «poesia» dell'amico Tonino Guerra, capace - così come er Antonioni - di battute accettabili sulla carta stampata ma impronunciabili entro un profluvio di immagini («Io parlo con la neve da venticinque anni. Mi sono fermato perché la neve dice di no. E la neve bisogna rispettarla» oppure «La prima cosa che Dio ha creato è stata il viaggio. E poi il dubbio... e la nostalgia(…). Una cosa però è certa. Muovendo dagli estremi confini meridionali e orientali del continente, il cinema di Angelopoulos (e non solo per via del suo côté francese da buon allievo di Jean Rouch, delle sue frequentazioni italiane, dell'occhio di riguardo dei tedeschi o delle sempre più complesse coproduzioni) è uno dei pochi a potersi attribuire la qualifica di «europeo». Delle lacerazioni del continente prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale; della prima guerra civile del dopoguerra (quella greca, misconosciuta, ma pari per conseguenze a quella spagnola); della vocazione alla dittatura o alla tirannia insita nei potenti quanto nei popoli; dell'emigrazione da sud a nord; del cinismo della politica e delle delusioni della democrazia - come pure delle illustri e nobili fonti di questa nostra comune civiltà e di dette pulsioni, ritrovate nel mito degli Atridi piuttosto che ripercorse nel viaggio dell'Odissea, giacché i suoi personaggi sanno indossare i coturni allo stesso modo dei sandali - Angelopoulos è stato ed è il cantore autentico, l'aedo, il vate e il bardo, senza per questo impedirsi dolenti risvolti esistenziali e frementi rapporti interpersonali.(…)
Autore critica:Lorenzo Pellizzari
Fonte critica:Cineforum n. 350
Data critica:

12/1995

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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