Amico americano (L') - Amerikanische Freund (Der)
Regia: | Wim Wenders |
Vietato: | 14 |
Video: | Creazioni Home Video, Cecchi Gori Home Video |
DVD: | |
Genere: | Thriller |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo "Ripley's Game" di Patricia Highsmith |
Sceneggiatura: | Wim Wenders |
Fotografia: | Robby Müller |
Musiche: | Jürgen Knieper |
Montaggio: | Peter Przygodda, Barbara Von Weitershausen |
Scenografia: | Toni Ludi |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Bruno Ganz (Jonathan Zimmermann), Dennis Hopper (Tom Ripley), Lou Castel (Rodolphe)
Lisa Kreuzer (Marianne Zimmermann), Gerard Blain (Raoul Minot), David Blue (Allan Winter)
Satya De La Manitou (Angie), Andreas Dedecke (Daniel), Samuel Fuller (l'americano), Rosemarie Heinikel (Mona), Heinz Joachim Klein (Dott. Gabriel), Peter Lilienthal (Igraham), Nicholas Ray (Derwatt) |
Produzione: | Road Movies - Du Losange - Wenders |
Distribuzione: | Goethe Institut - Cineteca Lucana - Cineteca Griffith |
Origine: | Francia - Germania |
Anno: | 1977 |
Durata:
| 128'
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Trama:
| Jonathan Zimmermann, corniciaio e restauratore in Amburgo, sposato e padre di un bambino, ha la leucemia. Contando sul fatto che gli restano pochi mesi di vita e che egli, quindi, sia lieto di lasciare un buon gruzzolo alla moglie e al figlioletto, l'americano Tom Ripley, che si è arricchito smerciando i quadri di un pittore che tutti credono morto, lo indica al gangster francese Raoul Duplat, che cerca un killer per sbarazzarsi di un rivale. Attirato dall'offerta di farlo visitare da un famoso specialista parigino Jonathan - allorchè il responso del medico, che Raoul ha falsificato, gli dice che le sue condizioni sono ormai disperate - accetta la proposta del gangster ed esegue il delitto, tenendone all'oscuro la moglie, Marianne. Qualche tempo dopo, e sempre col pretesto di una visita medica, questa volta a Monaco, Duplat gli propone un secondo omicidio, e Zimmermann accetta di nuovo. Quando s'accorge che, con questo delitto, Jonathan rischia la propria vita, Ripley, che gli è diventato amico, interviene e lo tira fuori dai guai, compiendo lui l'omicidio. La vendetta dei complici dell'uomo ucciso, però, che ha già colpito Duplat, costringe Ripley e Zimmermann a nuovi delitti, finchè Jonathan si staccherà dall'amico per riavvicinarsi a Marianne, che ora sa tutto. Poichè la sua malattia era davvero incurabile, però, egli morirà, accanto a sua moglie, sulla desolata spiaggia di Amburgo.
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Critica 1: | Dal romanzo Ripley's Game (1974) di Patricia Highsmith: trafficante di quadri induce pacifico corniciaio malato di leucemia a diventare sicario, ma poi gli si affeziona e interviene nel meccanismo che ha messo in moto. La Highsmith non amò il film perché il suo soave Ripley è diventato un tormentato esistenzialista alcolizzato, ma, a modo suo, il film è eccitante, piacevole e profondo come il romanzo. In questo thriller esistenziale non contano i fatti, ma il malessere che suscitano, il ritratto dei personaggi e l'analisi dei loro rapporti, l'energia mescolata alla malinconia e all'umorismo, a mezza strada tra Hitchcock e Fuller che compare nel film con altri registi-gangster: Nicholas Ray, Daniel Schmid, Peter Lilienthal. Film sulla morte, sul movimento, sull'amicizia virile, e riflessione sul cinema americano rielaborato con occhi europei. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | L'Amico americano è una ricognizione ideologica che Wenders compie nella rete delle relazioni che soggiaciono allo sviluppo e alle determinazioni delle caratteristiche politico-culturali del proprio habitat, e, conseguentemente, dell' “educazione" subita. Wenders è uomo di cinema, con un apprendistato cinematografico strettamente legato alla azione colonialista dell'industria americano-hollywoodiana nella Germania postbellica, dove il mercato del film è occupato per l'80% da prodotti statunitensi. Massiccia risulta quindi la propagazione di modelli di comportamento americani nelle generazioni più recenti. Wenders vive I'”acculturazione” in modo del tutto originale, trapiantando nella mitologia d'oltreatlantico una vivace e decisiva interrogazione sulla propria particolarità storica, secondo un movimento autocosciente che lo porta ad una diversa proposta di atteggiamento interpretativo. L'America viene in tal modo assimilata e trattenuta per quel che di vivo e stimolante ha prodotto e tuttora produce. Accanto al cinema classico il New American Cinema, il cinema della East coast, l'anti-Hollywood; fenomeni nei quali, al di là di valutazioni estetiche specificate, si è venuta consolidando un'esperienza di ricerca che ha influenzato fenomeni più strettamente europei. Intrecciando tali "influssi" ad una formazione che ha le sue radici in una tradizione culturale estremamente vivace e ricca di problematiche come quella tedesca, Wenders riesce a comporre degli affreschi, nei quali è sempre tangibile il movimento di esplorazione critica degli argomenti via via attraversati.
L'attenzione su alcuni momenti del film può essere utile per evidenziare la maniera wendersiana di procedere, con gli "espedienti" che il mezzo usato gli consente. L'Amico americano corre su un doppio binario: è narrazione in proprio, film autonomo e riferimento (obbligato) al cinema classico hollywoodiano, che in un certo senso viene smascherato e spogliato delle sue mistificazioni spettacolari, soprattutto per quel che riguarda il rapporto di fruizione schermo-spettatore. Wenders non si limita cioè alla citazione tout-court, ma lavora internamente ai segni preesistenti (i luoghi del genere), sui quali fa opera di riflessione e di trasformazione a un tempo. Così un film apparentemente e tradizionalmente di azione, provoca problemi e sollecitazioni di lettura che ampliano il campo delle considerazioni possibili. Il rapporto che Wenders stabilisce col cinema americano può fungere da parametro, anche perchè è l'elemento discorsivo più appariscente e diretto. L'America, come visione fisica, è presente nel film solo per brevi momenti, coagulata in una New York glaciale e incombente. La città richiama alla mente il cinema che si è staccato da Hollywood, il cinema metropolitano calato nelle strade, il cinema degli spazi "reali", del capitalismo che si guarda allo specchio per esorcizzare nell'esposizione spettacolare, le proprie contraddizioni. Il cinema classico, quello degli studios, della finzione eccessiva è lontano. Rivive forse in Derwatt, il vecchio pittore, nel quale antico e nuovo convivono. Dà ad esso figura Nick Ray, il regista caro ai rappresentanti della nouvelle vague, colui che, tra i primi, pur accogliendo la lezione dei grandi classici, ha rotto con un certo sistema rigido di fare cinema. I quadri di Derwatt vengono portati in Germania da Tom Ripley, un Dennis Hopper che sembra uscito alquanto malconcio da Easy Rider. Un'America disincantata, con alle spalle gli antichi splendori ed attualmente percorsa da vaghe incertezze esistenziali. Che si è lasciata dietro Berkeley, il Black Panther, i movimenti e le comuni hippies e che sopravvive in un equilibrio di nostalgia, revival e fiacca mania "ecologica" contro la tecnologia disumanizzante. Che nel buon senso delle noccioline celebra i fasti della mediocrità democratica, tra miti del passato e provincialismo rassicurante. Le fa da specchio una Germania democraticamente ordinata, ma lacerata dalla violenza disperata di una ricerca perdente che porta lo scontro col potere fino all'estremo, all'annientamento. Dove la rivolta mostra i segni di una forte individualità, di una presenza soggettiva sulla quale agisce la tradizione speculativa di un passato allo stesso tempo glorioso e tragico per le sue implicazioni teorico-pratiche. Nel film le due realtà sono viste con occhio ugualmente ritratto; negli esterni, soprattutto della città di Amburgo, predomina la densità e la pesantezza dei toni, una sensazione di minaccia, ottimamente ricreati dalla fotografia di Robby Müller.
L'universo capitalistico della metropoli è dato come opprimente e distaccato allo stesso tempo, chiuso nella sua anonimità di cose e di persone-oggetti. I rapporti dei protagonisti con l'esterno sono vissuti con la tensione del possibile smarrimento. Tom osserva dalla villa un territorio che non può conquistare; Jonathan è rinchiuso nel suo laboratorio, fatto di oggetti antichi e di polvere, di riti artigianali al di fuori del tempo. Ma Tom è più "integrato", la sua azione è inserita nel mercato, la sua pratica è la conclusione della vendita. L'attività di Jonathan è affatto manuale; l'incorniciatore vive una situazione produttiva marginale. Ciò spiega la diversità di cultura e di reazione rispetto all'esterno: gli slanci esistenziali del primo, banali ma raffinati e l'infantile ignoranza del secondo. La dimestichezza col denaro è completamente differente per i due protagonisti. Questa situazione mette Jonathan in una condizione di inferiorità. Per Jonathan il rapporto con gli oggetti presenta un carattere di ritualità; si accorge che cambia il bleu nei quadri di Derwatt, ripara e conserva oggetti antichi con una premura e scrupolosità tutta artigiana. La scena in cui Jonathan gioca col foglietto d'oro lo mostra collocato in un ambiente che sembra staccato dal mondo, raccolto in un'intimità fatta di toni caldi, pieno di ogni sorta di oggetti ordinati con cura. Il laboratorio è un vero e proprio luogo di raccoglimento, un santuario dove vivere una dimensione affettiva e culturale con le cose. Jonathan non è direttamente partecipe del mercato, il momento dell'asta lo vede come osservatore, non è interessato come Tom a che il prezzo del dipinto salga. Ben diversa è la villa dell'Americano, falso paradiso di modernità; come diverse sono le camere d'albergo occupate da Jonathan nei suoi pellegrinaggi alla ricerca di una risposta consolatrice. Jonathan è economicamente e culturalmente perdente rispetto a Tom. Viene strappato al suo mondo e gettato in un meccanismo produttivo a lui completamente estraneo; vive una sorta di allucinazione, una reità, anche psicologica, involontaria.
La malattia lo mette in uno stato di costante ansietà; la sua corsa disperata lungo le gallerie del metro indica il pericolo di una caduta irreversibile. Quella di Jonathan è una fuga, negata però dal fatto di portarsi sempre addosso l'oggetto da cui cerca di fuggire. Nel suo corpo malato si stabilisce una situazione mentale a sua volta patologica; Jonathan aliena la propria esistenza, che non gli appartiene più. La dinamica individuale della separazione patogena si inserisce tranquillamente nell'oggettività dei rapporti che regola l'azione dell'organizzazione diretta da Minot. Jonathan vive per alienazioni sovrapposte, in una reazione a catena e secondo una logica spietate. In questo processo si inserisce la figura esemplare di Minot. Freddo, calcolatore, prevede il cedimento di Jonathan; mente rigidamente deduttiva costruisce un sistema infallibile per costringere Jonathan alle proprie dipendenze. Le lettere che gli spedisce preparano il campo perchè tutto possa svolgersi secondo le regole stabilite. È esponente di una criminalità capitalistica, non più legata al mito della rivolta individuale e romantica. La lotta tra le due fantomatiche organizzazioni è mafiosa e concorrenziale, l'eliminazione reciproca è paritaria.
L'atteggiamento di Tom anche qui è ambiguo; è dentro e fuori allo stesso tempo. Quando viene in aiuto di Jonathan sul treno si mette contro Minot, ma in ogni caso ne accetta la logica; per vivere deve eliminare Minot, deve eliminare più gente posibile e lo fa con una noncuranza sorprendente. Sul treno sembra giocare quando si libera delle guardie del corpo. La differente connotazione dei due personaggi principali rinvia ad una dialettica più generale, che si esprime nell'azione riflessiva e teorica prima accennata. Il cinema americano è davanti a Wenders per gli effetti sociali e psicologici prodotti. Jonathan e Tom sono i poli simbolici di un rapporto, quello tra spettatore e film, che si rivela come passività-attività. E la legge commerciale che da sempre domina la produzione cinematografica e il significato "esemplare" del cinema
americano non ha bisogno di ulteriori chiarimenti. Eliminata ogni forma di moralismo, diventa decisivo il modo con cui Wenders affronta la problematicità di tale status, pur muovendosi all'interno delle regole dello spettacolo, che d'altronde è anche possibilità di diffusione e conoscenza estesa al maggior numero di persone. Wenders avverte la portata colonialista del cinema americano e la condizione di letargo della produzione tedesca determinata dall'invasione di quello. E avverte anche la necessità di una cinematografia "nazionale", che faccia comunque tesoro della lezione d'oltreoceano. Nell'altro film americano di Wenders, Alice in den Städten, l'America, la provincia americana venivano perlustrati come luoghi fisici, fotografate e conservate in un album da portare con sè durante il viaggio di ritorno per raggiungere un'altra provincia, quella tedesca, più vicina e più nota. Nel film l'America appare come oggetto da vedere e da visitare; è una prima presa di contatto coi luoghi del mito e dell'immaginario. Alice, la bambina, costringe il protagonista ad una ricerca in patria ed annulla il mitico viaggio liberatore. Come costringe Wenders a ripensare la propria infanzia cinematrografica. L'Amico americano è opera matura perchè l'analisi si sposta sulle strutture dell'influenza americana. Il film poliziesco in questo senso è un modello, sul quale Wenders,lavora e col quale regola un conto ancora aperto. Così il modello diventa subito il pretesto per un processo di pensiero in proprio, sia sul piano del significato che sul piano dello stile. In un certo senso è come se Wenders lavorasse alla moviola; il ritmo dell'azione viene volutamente rallentato quasi ad insistere, addirittura a sostare sulle immagini che si susseguono nel montaggio. La scena del primo assassinio messo in atto dal protagonista può essere presa ad esempio della vigile presenza di Wenders nel materiale trattato. La figura del killer è qui maltrattata, un modello di comportamento sul quale lo spettatore è solito trasferire la propria incertezza materiale, è dato nel suo carattere di rappresentazione e di costruzione del tutto finzionali. Parimenti la scena sul treno del secondo omicidio, che possiede addirittura un aspetto caricaturale, con il "divertente" intervento di Tom e l'eliminazione quasi giocosa dei cadaveri, gettati dal treno in corsa. Come la sequenza del controllore, risolta con un colpo di scena hitchcockiano e la lite nell'ambulanza, tra bende e fleboclisi. Un'iconografia continuamente percossa che viene subita soprattutto da Jonathan, possibile incarnazione appunto dello spettatore nella sua normale condizione di accettazione e di schizofrenico coinvolgimento. Anche la suspence, ingrediente obbligatorio per tal genere di film, viene creata, ma poi scaricata col dilatare l'azione e inserendo elementi di comicità, come nella scena già citata del primo omicidio di Jonathan, quando questi inavvertitamente lascia scoperta e visibile l'arma del delitto. L'azione del film si fa frenetica, senza tempi morti e quindi anche nella migliore tradizione hollywoodiana solo quando Tom entra in scena in prima persona. Ma è una dimensione ormai superata criticamente; anche Tom alla fine viene abbandonato. Il film si chiude come bloccato su se stesso e la conclusione fa parte di una realtà esaurita perchè compresa e conosciuta. |
Autore critica: | Angelo Signorelli |
Fonte critica: | Cineforum n. 176 |
Data critica:
| 7-8/1978
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Ripley's Game |
Autore libro: | Highsmith Patricia |
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