Stand by Me - Ricordo di un'estate - Stand by Me
Regia: | Rob Reiner |
Vietato: | No |
Video: | Columbia Tristar Home Video, L'Unità Video |
DVD: | |
Genere: | Avventura |
Tipologia: | Disagio giovanile |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal racconto "The Body" di Stephen King |
Sceneggiatura: | Raynold Cideon, Bruce A. Evans |
Fotografia: | Thomas del Ruth |
Musiche: | Jack Nitzsche |
Montaggio: | Robert Leighton |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Richard Dreyfuss, Corey Feldman, Bradley Gregg, Jerry O'Connell, Jason Oliver, River Phoenix, Gary Riley, Casey Siemaszko, Kiefer Sutherland, Wil Wheathon |
Produzione: | Act Iii Productions |
Distribuzione: | Columbia |
Origine: | Usa |
Anno: | 1986 |
Durata:
| 89'
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Trama:
| Nel bosco che circonda Castle Rock, una cittadina dell'Oregon, quattro ragazzi si danno spesso convegno in una capanna appollaiata sulla biforcazione di un albero. Il sensibile (e scrittore) Gordie Lachance, il più maturo ed equilibrato Chris Chambers, l'estroverso Teddy Duchamp e Vern Tessio, il timoroso e ciccione del gruppo (tutti in difficili rapporti con i rispettivi padri), partono un giorno per una escursione di una cinquantina di chilometri lungo i binari della ferrovia e verso il fiume. È proprio Vern che di nascosto ha sentito parlare il fratello maggiore del corpo di un ragazzo scomparso giorni prima, che quegli ha ritrovato nel bosco dove si era recato con un suo amico su di un'auto rubata (e da ciò il loro silenzio). L'occasione per i quattro adolescenti non è allegra, ma eccitante: la televisione potrà parlare di loro. Essi incontrano varie piccole avventure e alla fine vedranno il cadavere tra foglie e arbusti, battendo sul traguardo altri ragazzi più grandi, capeggiati da un bulletto cittadino. Poi la vita li separerà: Teddy e Vern resteranno a Castle Rock, Chris, malgrado molti ostacoli familiari, sarà avvocato e Gordie diventerà lo scrittore di successo che tanto desiderava di essere, senza però mai dimenticare quelle schiette amicizie di tanti anni fa.
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Critica 1: | Estate del 1959, nell'Oregon. Quattro ragazzini partono per un'escursione di cinquanta chilometri lungo la ferrovia, affrontando varie avventure e scoprendo il cadavere di un ragazzo scomparso giorni prima. Da un racconto (The Body, 1982) di Stephen King, uno dei film più belli sull'adolescenza degli anni '80, nel miracoloso equilibrio della memoria tra sentimento e avventura. Sarebbe piaciuto a Truffaut. Bravissimi i quattro ragazzini. Fotografia stupenda. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Era stato George Lucas, nel 1973 con American Graffiti, ad aprire le porte ad un nuovo modo di fare cinema, un nuovo modo di raccontare storie, iniziando quella riflessione sulla fine dell'adolescenza, su quella “linea d'ombra” dalla giovinezza alla maturità, quel mitico rito di passaggio che invece il romanzo americano aveva saputo mostrare con notevole anticipo. Questo passaggio, questo intervallo di tempo, tra l'adolescenza e l'età adulta che già con Salinger aveva visto la luce nell'ormai lontano 1951 (“Il giovane Holden”), è rappresentato da Lucas in un “tutto in una notte”, una notte di crescita, di trasformazione, di scelte, di maturazione. Ma è anche mostrato con un senso del nostalgico, del rimpianto per la giovinezza ormai trascorsa, che è una di quelle caratteristiche che fanno grande il cinema americano. Qui da noi il termine nostalgico ha un valore purtroppo ancora negativo. Come ricordava in un recente dibattito sull'ecologismo Adriano Sofri, qui in Italia si è sempre lasciato questo profondo sentimento umano alle forze più reazionarie, a cominciare dal dopoguerra, dove nostalgico equivaleva a fascista, ecc. Gli americani invece hanno compreso la profondità e l'emozione che questo sentimento suscita, e nell'ultimo decennio hanno saputo “usare” il ricordo, la memoria della propria giovane età come luogo forte ed espressivo in cui proiettare le proprie illusioni, le delusioni, i fallimenti, ma anche un luogo in cui scavare sui sensi complessivi dell'esistenza, sulla tenerezza dell'amicizia, su quella capacità che in talune epoche storiche un gruppo di pari età ha di trasformarsi in generazione (cfr. S. Frith: Sociologia del rock, p. 35).
Questo passaggio, questo momento importante di trasformazione, questo amore per la propria generazione, è ciò che accomuna film altrimenti diversi come Un mercoledì da leoni, Gli amici di Georgia, Rumble Fish, A cena con gli amici, The Return of the Secaucus Seven, Il grande freddo, La banda di Eddie, Fandango.
Tutti film dove dominano il ricordo, la memoria, il senso del tempo, le occasioni della vita, i sogni, le aspirazioni, le scelte da fare, le illusioni dissennate, la fine dell'innocenza, quello scontro con la durezza della vita che trasforma le speranze, gli ardori giovanili nel cinismo o nella rassegnata disperazione dell'essere adulto. Ma quello che è più forte in questi film è proprio quella straordinaria capacità di parlare dell'amicizia, quel senso di unione tenero e forte che è il pilastro di ogni discorso possibile su adolescenza e giovinezza. Sì tratta di un sentimento che trascende e supera le storie individuali, una passione che nel cinema Usa non ha eguali in alcun rapporto d'amore, forse perché, trattandosi di condizione giovanile, come ha scritto Paul Goodman, si parla esclusivamente di un universo maschile (cfr. P. Goodman: La gioventù assurda, p. 25-6).
American Graffiti si chiude all'aereoporto con Richard Dreyfuss in partenza per il college. Dei quattro protagonisti è l'unico che - in qualche modo - realizzerà il sogno, uccisi gli altri dalla guerra, dalla sfortuna, o dalla quotidianità della vita middle-class. Il personaggio di Dreyfuss si afferma come scrittore ed è proprio in questo ruolo che l'attore ricompare quindici anni dopo in Stand By Me, pellicola diretta da Bob Reiner, da un racconto di Stephen King. Dreyfuss appare in scena per pochi ma intensi secondi, in apertura e in chiusura del film, è l'io-narrante della vicenda. Forse pochi avranno visto quello straordinario film del 1978 che era Moses Wine Detective,- qui Richard Dreyfuss interpretava il ruolo di uno scanzonato, squattrinato e disilluso detective, con un passato di attivista militante nel movement, incaricato di scoprire che fine avesse fatto un suo coetaneo ex leader della contestazione misteriosamente scomparso. Tutto il film è incentrato su questo viaggio a ritroso, su questa ricerca all'interno della storia della propria generazione, che trova il suo momento clou, decisivo emozionalmente e commovente all'inverosimile (e sulla commozione vale il discorso già fatto sulla nostalgia) nella scena in cui Moses rivede vecchi filmati dei sixties, manifestazioni, comizi, ecc., e rivede soprattutto quella forza comune, quell'idea di lottare per cose “giuste”, quel “comunismo emozionale” di generazione che è sicuramente quello che più rimpiange, con gli anni, di aver perduto.
Insomma questo attore, questo straordinario volto è il segno, il corpo in cui convergono esperienze diverse ma riconducibili comunque attorno alle coordinate amicizia-generazione-capacità viscerale di trasformare le passioni, le pulsioni affettive in storie. Dreyfuss diventa una sorta di tratto comune, elemento simbolico che con la sua sola presenza, anche solo accennata, sa imprimere al film un tono, un senso in più, una direzione precisa che ruota proprio attorno a questo rito di passaggio, a questo io che diventa noi che solo certo cinema americano sa narrare (proviamo a pensare a film italiani che sanno esprimere emozioni in questa direzione e non andremo più in là dei pur apprezzabili La rimpatriata di Damiani e C'eravamo tanto amati di Scola; Moretti e gli altri sono troppo presi dall'Io e non pretendono di narrare di una generazione).
Poche immagini di avvio e si entra nella storia: una valle, un'auto con dentro Dreyfuss scrittore-io narrante, dei bambini che passano in bicicletta, e il tempo diventa quello della memoria, il 1960 in cui quattro ragazzi di 12-13 anni vivono la loro avventura decisiva. È l'inizio di Stand By Me. Il motivo di questo “viaggio”, di questa avventura nel cuore delle tenebre della natura è la ricerca del cadavere di un loro coetaneo scomparso e mai più ritrovato. Ma il fatto che questa ricerca si trasformi immediatamente in “qualcos'altro”, in una sorta di sfida a se stessi, di ricerca del proprio io, del senso della propria amicizia, lo si capisce subito dal come viene effettuata la ricerca. Una marcia di due giorni per 30 o 50 miglia all'interno della foresta, seguendo la traccia dei binari della ferrovia. Nel racconto King scrive che “sembrava giusto farlo in questo modo, perché il rito di passaggio è un corridoio magico e perciò ci mettiamo sempre in corsia” (S. King: Stagioni diverse, 'Il corpo', p. 463).
Questo gruppo di ragazzi trova al proprio interno i valori e le speranze in cui credere e nei mass-media, tv, cinema e fumetto, il riferimento immaginario più vicino. Per dirla con D. Riesman sono individui eterodiretti che nel rapportarsi agli altri cercano di assimilarsi al gruppo, anche se forse in questi ragazzi tutto c'è tranne che un'appiattimento comportamentale. Questo senso di “gruppo” ha un suo luogo, la casa sull'albero in cui si ritrovano a leggere, parlare e giocare, e ha un suo modo di esprimersi in un linguaggio spesso incomprensibile al di fuori, quei giochi sulle parolacce dove l'offesa è sempre più complessa e articolata ed è motivo di riso comune piuttosto che di lite, quei gesti che sono propri di un'infanzia che non intende finire come lo “struscio” delle mani in segno di pace, di amicizia e complicità. E poi i discorsi, “quel genere di discorsi che non puoi più ricordarti bene una volta che hai superato i 15 anni e hai scoperto le ragazze” (S. King, p. 443).
Questo viaggio, questa discesa nella natura è una vera e propria ricerca di maturità e come tutti i passaggi della vita deve attraversare alcune “prove” decisive, superate le quali si sarà acquistata quella conoscenza, quella consapevolezza, quella fine dell'innocenza che li trasporterà nella vita adulta (anche se, come vedremo, in questo film c'è una notevole variante).
La prima prova che affrontano è quella della discarica di Milo Pressman e del suo ferocissimo cagnaccio, Chopper. In questa prima tappa di avvicinamento la scoperta vera e propria è quella che Gordie (il ragazzo-narratore) definisce “la prima lezione sulla vasta distanza tra mito e realtà” (p. 398). L'uomo tanto cattivo altri non era che un goffo grassone incapace di scavalcare una rete e il mitico cagnaccio addestrato “ad addentare parti specifiche dell'anatomia umana” (p. 388), un semplice “bastardello di mezza taglia”, immediato oggetto di scherno dei ragazzi.
La seconda prova è visivamente la più spettacolare, la scena del ponte, un lungo ponte attraversato dalla sola ferrovia senza spazio ulteriore in cui cacciarsi se fosse sopraggiunto il treno. E questa del treno è una presenza costante sia nel racconto che nel film; è il treno che probabilmente ha ucciso Ray Brower, il ragazzo del cadavere scomparso (nessuna allusione al Mistero del cadavere scomparso diretto dal padre del regista, Carl Reiner?), è la ferrovia che i ragazzi seguono come percorso di ricerca, strada sicuramente più lunga ma che comunque li lega ancora alla civiltà, ed è il treno - appunto - che li minaccia fisicamente, mostro tecnologico che attenta alle loro giovani piccole vite. Non so se volutamente, ma l'intera sequenza del treno che compare all'improvviso con i ragazzi ancora al centro del lungo ponte, sembra uno stupendo omaggio a quello che André Bazin chiamava “montaggio proibito”. Scrive Bazin: “Quando l'essenziale di un avvenimento dipende da una presenza simultanea di due o più fattori dell'azione, il montaggio è proibito”. E più avanti, a proposito di un film inglese, c'è un brano che può andare benissimo per il film in questione: “Il problema non è che il ragazzo abbia corso realmente il rischio rappresentato, ma s-olo che la sua rappresentazione sia tale da rispettare l'unità spaziale dell'avvenimento. Il realismo risiede qui nell'omogeneità dello spazio ( ... ). La stessa scena, secondo che venga trattata col montaggio o con un totale, può essere solo cattiva letteratura o diventare grande cinema” (André Bazin: Che cos'è il cinema ? p. 72). Ed è appunto di grande cinema che si tratta, ed è difficile da cancellare dalla memoria l'immagine del grosso treno-mostro che quasi schiaccia i due ragazzi. Questa del ponte non è una scena solamente spettacolare: nell'attraversarlo c'è come il superare un grosso ostacolo, un tabù. Come scrive King, “mista alla paura c'era l'eccitazione di una grossa sfida” (p. 409).
La terza prova è la notte, e qui siamo nel terreno proprio di King, che gioca in casa nel luogo tipico delle paure, delle ossessioni dell'infanzia. Superare la paura del buio, di “quelle tenebre al limite del paese”, significa acquisire l'autonomia, l'indipendenza dall'adulto protettore, affrontare i fantasmi nascosti della propria infanzia. La notte intorno al fuoco è anche un luogo dove parlare, dove raccontarsi e scoprire se stessi, la profondità di un'amicizia, quella di Chris e Gordie, che è quella che resisterà alla storia e che solo la morte di Chris strapperà via. Nel film è sufficiente uno sguardo, una mano sulla spalla per mostrare tutto questo; King ci regala invece pezzi di notevole bravura: “... e per un attimo ci guardammo negli occhi e vedemmo qualcuna di quelle cose autentiche che ci facevano amici” (p. 389). E più avanti: “Ci guardammo con calore per un secondo e poi, forse imbarazzati da quello che ognuno vedeva negli occhi dell'altro, abbandonammo lo sguardo contemporaneamente” (p. 480).
La quarta prova non è proprio tale, ma è comunque un'esperienza forse unica e comunque individuale, l'incontro all'alba di Gordie con il daino. Questa è l'unica cosa che Gordie si terrà per sé, non raccontandola a nessuno forse perché le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le rimpiccioliscono. “È difficile far in modo che un estraneo provi interesse per le cose belle della tua vita” (p. 453). D'accordo con King anche noi taciamo e lasciamo al piacere della lettura e della visione la ricchezza di emozioni che questa scena sa comunicare.
La quinta è una prova di dolore fisico, il bagno nel laghetto e i corpi dei ragazzi che si riempiono di sanguisughe. Anche qui abbiamo una sorta di esame di maturità: resistere, superare il dolore fisico è un qualcosa che - almeno nel cinema americano - appartiene al fatto di essere uomini, 'uomini veri' se vogliamo citare una rassegna scema di bei film trasmessi in tv.
Poi c'è l'incontro con il morto, la scoperta della loro finitezza, la terribile esperienza di sentirsi mortali, l'idea che di colpo tutte le nostre inquietudini, passioni, ricerche, speranze, i nostri rapporti, la nostra esistenza possa essere spazzata via, magari dall'arrivo di un treno non “schivato” (e a proposito di schivare, Teddy Duchamp, il pazzo-strano del gruppo nel racconto praticava lo “scansa-camion”, una vera e propria sfida folle col tempo e la sorte ma, quando proverà col treno, sarà cacciato via dai binari prima che sopraggiunga. A margine due stranezze: nel film è Chris che lo caccia gettandosi su di lui, nel racconto è Gordie, l'io-narrante - più tardi nello scontro con la banda di Asso nel film è Gordie a tirare fuori la pistola, nel racconto è Chris. A ripensarci, comunque, entrambe le volte sembra aver ragione Reiner, più credibili e catalizzanti risultano le sue scelte). Questo incontro col ragazzo che “non stava dormendo” ma era morto, è anche e soprattutto l'incontro con la consapevolezza di se stessi, dell'intero percorso della loro ricerca. Quel corpo è loro, perché appartiene alla loro generazione, condivideva probabilmente con loro gli stessi problemi, è loro perché se lo sono conquistati ripercorrendone allo stesso modo lo smarrimento, il duro percorso verso la morte di Ray Brower, che per loro sarà invece verso una crescita più consapevole.
Ed è proprio su questo macabro possesso di cadavere che avverrà l'ultima decisiva prova dei quattro nello scontro con la banda di Asso, i ragazzi dell'altra generazione, “i ragazzi più vecchi, i grandi” (p. 473). Ed è qui che avviene forse quel 'salto', quella differenza che fa di Stand By Me un prodotto che segna una svolta nel genere. Finora il genere aveva lavorato ai fianchi sullo scontro generazionale, i giovani contro gli adulti, due modi assolutamente opposti di rapportarsi ai sensi dell'esistenza e dei rapporti umani. Il momento del passaggio è quello dalla giovinezza alla maturità, al momento delle scelte decisive per divenire adulto, e questo è comunque sempre il momento della fine delle scuole superiori oppure della fine del college (American Graffiti, Gli amici di Georgia, Fandango, I ragazzi della porta accanto, ecc.). Questo è il momento che Conrad chiama “una linea d'ombra che ci avverte che la regione della prima gioventù, anch'essa, la dobbiamo lasciare addietro”. La novità del film di Reiner e del racconto di King è di superare questo assunto, da un lato ritornando a quel tema fondamentale della cultura americana che è la riluttanza di fronte alla fine dell'adolescenza e dall'altro, in questo caratterizzandosi in pieno come prodotto degli anni 80, dotando i ragazzi di una consapevolezza davvero nuova della propria età. Dice ad un certo punto del film Chris a Teddy: “Non fare il ragazzino!” e lui con un'innocenza che è un inno alla propria voglia di essere ciò che si è (cioè non adulto): “Ma io sono un ragazzino, nel pieno della mia giovinezza”. Dove il film lascia il segno è nel caratterizzare il mondo dei ragazzi grandi (16-18 anni) come il 'nuovo mondo adulto'. Nel cinema degli anni 80, infestato di adolescenti dappertutto, dove sembra ormai scomparso il vecchio mondo adulto di una volta, la 'linea d'ombra' sembra doversi anticipare alla fine dell'infanzia, nel passaggio tra questa e l'adolescenza.
Il “preadolescente Gordon La Chance” e i suoi tre coetanei rappresentano forse oggi quello che Brando, Dean e Víc Morrow rappresentavano negli anni 50, il luogo della 'nuova visione', dei nuovi comportamenti, l'opposizione al mondo adulto che oggi questo film - probabilmente con notevole anticipo - vede rappresentato dal mondo dei giovani adolescenti.
Ma forse anche questo è un discorso che conviene lasciar “fare” alle emozioni. Le cose più importanti sono le più difficili da dire. |
Autore critica: | Federico Chiacchiari |
Fonte critica: | Cineforum n.267 |
Data critica:
| 9/1987
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Critica 3: | Il tema centrale del film è l’amicizia. È dal ricordo di un’amicizia eccezionale, infatti, che nasce nel protagonista adulto la voglia di raccontare la storia vissuta un tempo insieme ai suoi tre piccoli amici. Il film stesso si chiude su una considerazione del personaggio intorno al carattere delle amicizie che si hanno negli anni dell’infanzia e della preadolescenza. Del resto, lo ricorda lo stesso Gordie nel suo racconto, il periodo dell’esistenza attraversato dai protagonisti è quello in cui non si pensa ancora alle ragazze. Tutti i pensieri dei ragazzini sono dunque dedicati all’avventura e alla fantasticheria. Il viaggio attraverso un paesaggio naturale incontaminato, alla ricerca del cadavere, non potrebbe costituire un’occasione migliore per realizzare concretamente un’avventura prima soltanto sognata, in cui ciascuna tappa diventa il tassello fondamentale di un percorso di crescita e formazione vissuto dai personaggi. Essi vengono chiamati ad affrontare e superare una serie di prove da ciascuna delle quali impareranno qualcosa di nuovo. Ma non tanto rispetto a una prospettiva pratica e materiale, quanto piuttosto rispetto alla sfera esistenziale e morale. Un po’ alla volta Gordie, Chris, Teddy e Vern attraversano livelli diversi di consapevolezza. Dapprima scoprono la differenza che intercorre tra il mito e la realtà (vedi la sequenza del cane nel recinto). Quindi iniziano a prendere coscienza del fatto di dover decidere da soli senza più l’aiuto di nessuno e si confrontano con l’idea di un futuro incerto. Sperimentano quindi la paura, il dolore fisico legato alla sessualità, la visione della morte. Nel giro di un paio di giorni sono chiamati a crescere quanto non avevano fatto nel resto della loro vita. Di fronte ai ragazzi più grandi, classico esempio di bulli aggressivi e violenti, Gordie, minacciandoli con una pistola, è costretto a usare il linguaggio degli adulti. Ma dalle logiche degli adulti essi sanno distaccarsi quando decidono di denunciare il ritrovamento del corpo restando nell’anonimità. Rinunciando in tal modo alla fama dei media, in polemica con una strumentalizzazione e una spettacolarizzazione della tragedia e del dolore.
Tratto dalla novella The Body di Stephen King, il film ha nel ritrovamento del cadavere di Ray Brower la sua meta narrativa. Attraverso una serie di esperienze compiute sul proprio corpo (vedi quella emblematica delle sanguisughe), i personaggi prendono coscienza della propria finitudine e della possibilità della morte. Una presenza, quest’ultima, che caratterizza il film sin dal suo esordio: vedi la notizia della morte di Chris appresa da Gordon e il relativo ricordo della morte del fratello Danny. Nell’opera vi è dunque una certa diffusione di presenze evanescenti o fantasmatiche (la novella di King si può definire una ghost-story): i genitori di Gordie, che ci sono ma è come se non ci fossero, il fantomatico padre di Teddy, eroe di guerra, il piccolo daino che attraversa la ferrovia sul fare dell’alba. O, ancora, i personaggi che prendono vita dalla fantasia di Gordie, come nel racconto della gara di torte.
Altro motivo essenziale nell’economia del film è il lavoro di scrittura esercitato dal protagonista, per il quale scrivere diventa non soltanto un’attività professionale, in barba allo scetticismo del padre, ma addirittura una ragione di vita, un modo per attribuire significato all’esistenza. |
Autore critica: | Michele Marangi |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Body (racconto) |
Autore libro: | King Stephen |
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