RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
Catalogo film per le scuole; ; Catalogo film per le scuole; ; ;
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 


Padre e figlio -

Regia:Pasquale Pozzessere
Vietato:No
Video:Videopiu' Entertainment - Multivision
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Giovani in famiglia, I giovani e la politica, Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Pasquale Pozzessere
Sceneggiatura:Pasquale Pozzessere, Roberto Tiraboschi
Fotografia:Bruno Cascio
Musiche:
Montaggio:Carlo Valerio
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Michele Placido (Corrado), Stefano Dionisi (Gabriele), Enrica Origo (Angela), Carlotta Jazzetti (Anna), Claudia Gerini (Chiara), Antonio Campa (Camionista), Michele Castellano (Secondo poliziotto), Giusy Consoli (Valeria), Luciano Federico (Aldo), Aldo Mantero (Inserviente piscina), Francesco Origo (Avvocato), Bruno Pescia (Responsabile Person.), Mauro Pirovano (Meccanico), Luciana Sandri (Proprietaria Tintor), Giorgio Vecchio (Primo poliziotto)
Produzione:Erre Cinematografica (Roma) - Flach Film (Paris) - K2 Two (Bruxelles)
Distribuzione:Darc
Origine:Italia
Anno:1994
Durata:

95'

Trama:

La storia si svolge a Genova un tempo madre della nostra storia industriale, oggi vittima dei processi di riconversione. Corrado è un cinquantenne meridionale giunto a Genova agli inizi degli anni '60. Ex operaio, oggi lavora come guardiano notturno in un deposito al porto. Vive con la seconda moglie Angela dalla quale ha avuto una bambina, Anna. Il figlio maggiore, Gabriele, di ritorno dal servizio di leva, si ritrova senza prospettiva. L'impegno del padre nell'avviarlo al lavoro in una fabbrica e la sua delusione di fronte alla superficialità con cui il figlio si fa licenziare, accresce tra i due l'incomprensione. Gabriele si affida all'ebbrezza della moto e alla scorciatoia dei guadagni illeciti. Tra padre e figlio non c'è storia, non c'è memoria né solidarietà. Eppure Corrado non vuole perdere l'ultima speranza di ristabilire un contatto vero con il figlio Gabriele ...

Critica 1:Corrado è un ingrigito operaio dell'Ansaldo, emigrato dal Sud, già pugnace sindacalista, che sopravvive come guardiano notturno al porto di Genova. Suo figlio svive tra malessere sociale, sensualità ingorda e senso di inappartenenza e riluttanza al "lavoro di merda" in fabbrica. Lo spigoloso rapporto tra padre e figlio è l'asse portante della storia: personaggi raccontati con lucidità critica, rispetto e simpatia, nonostante i limiti di sceneggiatura (scritta con Roberto Tiraboschi) con le sue rigidità ideologiche e dimostrative. P. Pozzessere ha sensibilità, attenzione ai particolari, occhio, ma difetta ancora di quell'energia che permette di caricare di emozione le immagini. È strano che un pugliese di Taranto, con sapienza amorosa, sia riuscito a fare un film così ligure, aggrappato alla terra e pur così disponibile al mare, alla fuga, all'avventura.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Tra l'andare e il restare, tra il proiettarsi in avanti e l'ancorarsi al presente, lasciando sfumare sullo sfondo, alle spalle, le coordinate di un passato invisibile e forse sublimato in quel sordo dolore che pervade i suoi personaggi. Pasquale Pozzessere fa cinema così, in bilico sull'oggi e sulle sue ombre, sorta di equilibrista coscienziale, sospeso, senza mai un briciolo di perplessità, sul vuoto della realtà. In Verso sud aveva spinto i suoi due outsider in una fuga senza un autentico altrove; in Padre e figlio blocca un giovane e un uomo in una città-gabbia, li inchioda al loro presente per costringerli ad un confronto. In entrambi il registro è scarno, essenziale, privo di filtri; ma in questo suo secondo lavoro Pozzessere mostra un rigore ancora maggiore, se possibile, una più diretta intenzionalità nel prosciugare narrativamente il film: se Verso sud lasciava che la parabola dei due protagonisti evolvesse in una dimensione squisitamente narrativa - con una adesione tutta rinnovata ai tópoi del "maudit" in fuga -, Padre e figlio sottrae ancora più spazio all’accadere, si inscrive in una dimensione puramente osservativa. E Pozzessere mostra di voler seguire sino in fondo la strada tracciata da Gianni Amelio, nel quale dichiara d'aver un modello. La qualità più propria del cinema di Pozzessere è in effetti puramente osservativa, prima ancora che narrativa. Capito questo non si fatica ad entrare nel suo sguardo strana-mente limpido, così pulsante di emozione eppure così impassibile nello studio della realtà. E non si fatica neanche a perdonargli quella persistente rigidezza negli snodi di sceneggiatura, quella eccessiva
semplicità dei dialoghi, quelle imperfezioni strutturali nell'architettura complessiva dei suoi film, che sono gli innegabili difetti del cinema di un regista ancorato alla profondità dello sguardo, piuttosto che alla sua portata fabulatoria. La sua è un'istanza realistica che, in Padre e figlio segnatamente, rivela tutta intera la sua provenienza coscienziale, il suo costante confrontarsi con una fondamentale introiezione della realtà.
Padre e figlio è davvero un film sulla realtà, nel senso che non teme di affrontare in scivolata il contatto col reale, lasciandosi slittare su una presa diretta che amplifica soprattutto gli echi interni dei suoi personaggi. Sembra quasi che Pozzessere lavori sulla realtà dando ascolto alle risonanze morali della pietas umana con la quale osserva il vuoto circostante. Sin dalle prime immagini Padre e figlio sembra scritto su una spazialità occlusiva, lavora sugli sfondi negandone la profondità. Genova appare quasi una città fantasma, negata alla propria identità non meno dei personaggi che la attraversano, intrappolati da Pozzessere in una rete metropolitana tanto più costrittiva quanto più si fa forma eminentemente coscienziale, tanto più trasparente quanto più si fa carico di amplificare la condizione alienata dei protagonisti.
Pozzessere percorre questa città-gabbia con sguardo fluttuante e stranito, perdendone i contorni, sfumandone i perimetri. Eppure lasciando che con la sua stuggente aggressività s'impossessi dei due protagonisti, ne plasmi il malessere, ne definisca la sconfitta. Una città che serra col suo vuoto tanto Gabriele quanto Corrado, bloccandoli sui propri sfondi indefinibili, incastrandoli nelle sue strutture d'acciaio, sino allo straordinario dolly finale, l'unica inquadratura veramente libera concessa da Pozzessere al suo film, in cui finalmente l'uomo e suo figlio si trovano disposti al confronto e la macchina da presa sembra quasi volare via dalla finestra, in un insopprimibile impeto di libertà. Una città che non a caso Gabriele tende sempre ad osservare dall'alto, quasi a volerne cogliere l'insieme in un abbraccio dello sguardo, ma anche quasi a volersene liberare, tirandosene finalmente fuori. Momenti tra i più intensi del film, in cui Gabriele sembra volersi ripulire della città, purificandosi della sua vuota realtà; sino a quelle straordinarie inquadrature in cui Pozzessere, dall’ alto di un notturno belvedere genovese, ci mostra Gabriele e Valeria in una serie di primi piani su fondo nero: bellissimi nel loro totale straniamento, così profondamente angoscianti per quel nulla nel quale inscrivono definitivamente il protagonista. (…)
Padre e figlio è, in fondo, soprattutto la cronaca di una dolorosa non-appartenenza, di una totale estraneità alla realtà circostante. Uomini fuori, i personaggi di Pozzessere (Corrado e Gabriele come già gli sbandati di Verso sud) perseguono un'idea di fuga che è funzione diretta del loro essere alla deriva in una realtà alla quale sono estranei. La non-appartenenza è per Corrado una condizione storica: fuggito dal sud e dalla tradizione contadina, è ora un cassintegrato, un operaio senza più fabbrica; e anche in quanto tale è fuori dal tempo, rimasto legato ad un passato in cui il lavoro in fabbrica era simbolo di emancipazione da un passato rurale. La sua fuga d'un tempo dal paese paterno si rispecchia ora nella fuga sognata da Gabriele, a sua volta estraneo ad una realtà nella quale non trova appigli. Il fondamentale impeto morale di Pasquale Pozzessere ci parla dell'oggi e del suo vuoto come di una funzione della nostra estraneità al presente.
L'altrove diviene allora un luogo della coscienza: per Gabriele, che si proietta nel sogno da cartolina di Bali, impossessandosi di una fuga che non è la sua; ma anche per Corrado, che finisce con lo slanciarsi verso una non meno illusoria - ma ben più significativa - idea d'un ritorno al sud, al paese paterno, preso in un lucido abbaglio nutrito dal mito ormai irraggiungibile delle origini. (…)
La distanza che c'è tra Corrado e Gabriele è quella che passa tra ognuno dei due e il vuoto del proprio presente. Pozzessere ne fa due dispersi, due fuggitivi incatenati ad una realtà straniante. La necessità di credere in qualcosa, rivendicata con forza da Corrado e tradita dal confronto col vuoto del presente, si rispecchia nella annichilita dispersione di Gabriele. Il silenzio che intercorre tra i due è l'unica forma di comunicazione superstite, così come lo sguardo ostentatamente negato da Corrado al figlio è l'unico possibile.
Come già in Verso sud, Pozzessere (che, per fortuna, non è Salvatores ...) nega comunque la fuga, ne disconosce il valore positivo almeno quanto ne riconosce l'istanza come fondamentale e necessaria nella straniante e spossessante realtà d'oggi. Per questo regista che trova nel contatto col reale le coordinate del suo cinema profondamente osservativo, il confronto col presente assolutamente necessario, proprio in quanto traccia in negativo i confini di una condizione storica.
L'altrove diviene allora un segnale indefinibile che interferisce col presente, immettendovi tutta la sua carica destabilizzante: una voce alla radio, un segnale nell'etere che proviene chissà da dove e che porta Corrado, col suo baracchino da radioamatore, a parlare con gli altri, verificando la sua inadeguatezza al presente, confrontandosi ora con un giovane marinaio che, come Gabriele, non ne vuole sapere di andare in fabbrica, ora con un ucraino che ripudia l'Unione Sovietica in nome del nazionalismo. Sicché, per il vecchio militante comunista, che ragiona e parla per moduli espressivi e concettuali ormai inadeguati al presente, l'altrove portato da quelle voci è inammissibile, un'interferenza che si scontra col suo dolore. (…)
Di contro c'è Valeria, il transessuale col quale Gabriele instaura un rapporto sincero, per quanto confuso. In questo personaggio ambiguamente in bilico sulla realtà, Pozzessere dice di aver voluto incidere i segni di una fondamentale condizione d'instabilità. Portatore sano di un confusione morale e sociale diffusa, Valeria è una sorta di detonatore che innesca il desiderio di fuga di Gabriele, ne divarica ulteriormente l'inadeguatezza al presente. Ma è anche, significativamente, l'unico corpo autentico, "pieno", che attraversa il film, l'unico personaggio che si fa carico con consapevolezza della propria realtà e la mette in gioco sino in fondo, senza false illusioni, senza alibi e fraintendimenti. Non a caso è solo a lui che Pozzessere concede la fuga; solo a Valeria è possibile uscire dalla morsa di una realtà vanificante: chiusa nella sua cabina da cassiera della sala giochi, è una sorta di corpo estraneo, intangibile, etereo; come i delfini dell'acquario, come Gabriele in piscina.
Pozzessere percorre insomma sino in fondo la strada di un cinema sincero e, proprio per questo, “politico". Il suo realismo, così soffice e profondamente umano, si applica ad una realtà instabile, percorsa da corpi confusi, da personaggi in cerca di definizione. Il rigore delle sue scelte - la fotografia per niente "accattivante", il coraggio con cui con-tiene Michele Placido e con cui essicca la bellezza di Stefano Dionisi - ne fanno un regista chiaramente incapace di compromessi. I suoi film concedono veramente poco al versante spettacolare, anche se poi sanno rivelare insospettabili "piacevolezze". Qui è da segnalare, per esempio, la colonna sonora, intelligentemente mediterranea così sinuosa ed evocativa: dà molto al ritmo del film, ne unifica sapiente-mente la struttura, smussando certe asperità di raccordo.
Autore critica:Massimo Causo
Fonte critica:Cineforum n. 334
Data critica:

5/1994

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

Progetto editoriale a cura di:; Progetto editoriale a cura di:; Progetto editoriale a cura di:; Progetto editoriale a cura di:; Progetto editoriale a cura di:; Progetto editoriale a cura di: Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet Contenuti a cura di:; Contenuti a cura di:; Contenuti a cura di:; Contenuti a cura di:; Contenuti a cura di:; Contenuti a cura di: Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 11/03/2005
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale