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Senso -

Regia:Luchino Visconti
Vietato:No
Video:Golden Video, Ricordi Video, Vivivideo, Panarecord
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Letteratura italiana - 800, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal racconto omonimo di Camillo Boito
Sceneggiatura:Luchino Visconti, Suso Cecchi D'Amico, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi, Carlo Alianello
Fotografia:G. R. Aldo, Robert Krasker
Musiche:
Montaggio:Mario Serandrei
Scenografia:Ottavio Scotti
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Alida Valli, Farley Granger, Massimo Girotti, Rina Morelli, Heinz Moog, Marcella Mariani Sergio Fantoni
Produzione:Renato Gualino per Lux Film
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Italia
Anno:1954
Durata:

120'

Trama:

A Venezia, alla vigilia della battaglia di Custoza. Una patrizia veneta, la contessa Livia Serpieri, moglie di un austriacante, ma ardente di zelo patriottico, si innamora di un giovane ufficiale austriaco, Franz Mahler. L'amore diventa ben presto passione e non tarda a privarla di ogni dignità. Franz è un individuo equivoco e vile; finge di amare Livia, mira in realtà solo al suo denaro perchè ne ha bisogno per pagare un medico e farsi esonerare dal servizio militare. Livia è così cieca che non si accorge di nulla e quando lui le chiede il denaro lei non esita a dargli quello che i patrioti italiani le avevano affidato per le spese di guerra. Franz, avuto quello che voleva, non si fa più vivo con Livia, ma lei si mette sulle sue tracce e lo raggiunge. L'incontro è terribile. Livia fuori di sé, corre al Comando austriaco e rivela con quale inganno Franz era riuscito a farsi esonerare. Il giovane è fucilato e Livia perde la ragione.

Critica 1: Uno dei capolavori di L. Visconti che vi riesce a conciliare visione critica della storia e gusto del melodramma, passione estetica e chiarezza razionale, Verdi e Bruckner, innata vocazione decadentistica e ideali progressisti. Aldilà di alcune forzature ideologiche , scandito da un'ammirevole coesione cromatica e scenografica (fotografia di G. R. Aldo, che morì durante le riprese e vinse un nastro d'argento postumo, e R. Krasker), è un dramma di lussuria e di morte che si sviluppa con l'implacabile di una tragedia romantica che trova nell'epilogo l'impietosa sconfessione del proprio romanticismo.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) I titoli di testa scorrono sulle immagini della rappresenta-zione in corso, inquadrata ai lati dal sipario. La mdp si avvicina ai cantanti, eliminando il sipario dal campo visivo ed inoltrandosi nel palcoscenico, dietro alla scena, tra le quinte ed i meccanismi del retropalco. Mentre si legge in sovrim-pressione una didascalia introduttiva di carattere storico, la mdp dal palcoscenico scivola sull'orchestra e sulle prime file della platea, poi, salendo in un movimento obliquo, dapprima verso sinistra, poi verso destra, esplora gli ordini di palchi, per giungere al loggione, dove appare uno dei protagonisti, il conte Ussoni (Massimo Girotti); da qui parte un controcampo verso il palco, inquadrato ora dall'alto. Alle parole del coro “All'armi, all'armi! Eccone presti/a pugnar teco, teco a morir”, i patrioti, in sintonia con lo spirito verdiano, gettano i loro vo-lantini inneggianti all'unità d'Italia, sfidando l'aristocrazia austriaca seduta in platea. Segue lo scontro tra il patriota Ussoni ed il tenente austriaco Franz Malher (Farley Gran-ger), che si traduce in una sfida a duello, e la decisione di Li-via (Alida Valli), cugina di Ussoni, di esercitare il suo fascino sul tenente per convincerlo a non accettare il combattimento e risparmiare il pericolo di un duello al cugino. Lo spettacolo riprende; l'immagine di Livia appare riflessa nello specchio del palco, intenta a studiare l'espressione più adatta per la sua recita, tesa ad affascinare ed ingannare insieme il tenen-te; accanto ad essa, il riflesso svela l'aprirsi del sipario e l'ar-rivo di Mahler. Di nuovo le parole del libretto sono speculari a ciò che accade ai personaggi: la preoccupazione di Livia per il cugino, imprigionato come il Trovatore nella "torre di Sta-to", la sua volontà di salvarlo (“Salvarlo io potrò, forse. / Ti-mor di me?... Sicura, presta è la mia difesa”) dissimulando i propri sentimenti (“Ma deh, non dirgli, improvvido/le pene del mio cor”), la sua richiesta al tenente di non comportarsi come un eroe da melodramma. All'allusione di costui all'avve-nuto arresto di Ussoni, Livia si allontana rapidamente dal teatro, concludendo la sequenza.
In Visconti (…) è l'evidenza di uno sguardo estraneo a introdurre nella finzione del film. (…) sotteso allo scorrere della camera in Visconti, il potere visivo della mdp esprime uno sguardo penetrante, dominatore, che raccoglie il,teatro, scivolando lentamente sui volti, gli abiti, le fisionomie, per accentrarsi sui protagonisti del racconto, isolandoli e guidando il nostro sguardo di spettatori a cogliere, tra le migliaia di storie possibili, quella che le immagini hanno scelto di raccontare.
La caratteristica principale della sequenza di Visconti è il moltiplicarsi della messa in scena. Le immagini della storia narrata dal film trovano un loro doppio nel succedersi degli eventi teatrali, in una corrispondenza segnata sia dall'entrare della mdp dentro il palco - che ingloba dichiaratamente il film nella finzione del teatro -, sia dalle parole del libretto (il coro dei soldati pronti a partire, il tentativo di Eleonora di salvare, tramite una finzione, il Trovatore in pericolo), sia infine dalla letterale specularità delle immagini. I diversi ordini del racconto e le tre diverse finzioni che lo costituiscono si trovano infatti ad essere riflessi contemporaneamente nel grande specchio del palco di proscenio: la messinscena di Livia a beneficio del tenente MahIer, la messinscena dei cantanti rivolta al pubblico della Fenice, la messinscena delle immagini del film che guardano noi spettatori, sfidandoci a recuperare l'unità del nostro sguardo, rifranto in una proliferazione di punti focali. Lo sguardo diverge e si duplica, si rifrange su molteplici rappresentazioni che si rimandano tra loro; lo schermo si dilata nella profondità della mise en abime. Lo sguardo si perde nel gioco di specchi e nel fondersi delle rappresentazioni nel film e del film, e si evidenzia al contempo come elemento costruttore dello spazio, perno attorno al quale si organizza la struttura delle immagini e della narrazione. Lo sguardo istituisce il film come prima visione della mdp che ritaglia il mondo e lo offre alla contemplazione dello spettatore; e allo stesso tempo lo sguardo diviene oggetto del film quando i suoi bersagli si perdono nel loro moltiplicarsi: riflessa in uno specchio che rimanda a una miriade inconclusa di oggetti, la visione finisce per significare solo se stessa. Lo scindersi degli oggetti da vedere esalta la pervasività dell'occhio del film e mette alla prova l'occhio dello spettatore: il flusso visivo va dallo schermo alla sala divenendo al contempo soggetto del film e suo oggetto, sguardo creatore che riflette se stesso. (…)
Il dominio dello sguardo è rintracciabile in tutto il Senso. Tale sguardo si posa sovente sulle immagini stesse del film, le osserva e riflette su di esse. Il film si ferma come un breve frame-stop: lo sguardo se ne allontana, esce dalla figurazione per illuminarla dall'alto e per vederla da una distanza infinita Le immagini si immobilizzano sovente in citazioni letterali di opere pittoriche che si offrono alla contemplazione dello spettatore nella loro fissità. Forse l'esempio più evidente è il bacio scambiato dal tenente Franz e da Livia nella notte della villa di Aldeno, ricalcato dalla celebre tela di Hayez: i personaggi si immobilizzano, assumendo la loro posa come per un tableau vivant; la narrazione si arresta per lasciare tempo allo sguardo di leggere l'immagine, perché l'occhio sia consapevole di sé nella durata della sua visione.
Allo stesso modo una visione di stampo teatrale è funzionale ad un allontanamento delle immagini e ad un loro esporsi ad un'osservazione distaccata e consapevole del proprio vedere. Molte delle scene che illustrano la passione tra Livia e Franz, ambientate nella pensione veneziana e poi nella villa di Aldeno, sono riprese dallo stesso angolo visuale che, nella sequenza di apertura, inquadrava il palcoscenico dell'opera dall'alto del loggione; un punto di vista innaturale e molto forte, che riprende il parallelo iniziale tra storia del film e trama del melodramma ed immerge gli attori in una doppia rappresentazione, allontanandoli dall'immediatezza visiva per ricoprirli di una doppia percezione. Le immagini del film si fanno immagini di teatro: entrambe messinscene, entrambe finzioni svelate dallo sguardo. La storia narrata si allontana, incorniciata in una prospettiva che evidenzia il guardare nostro e della mdp. Il contenuto dell'immagine sembra affievolirsi per dare risalto all'atto di vedere: ciò che conta non è che cosa si stia guardando, ma lo stare guardando. Il film si fa così veduta di se stesso: le sue figure si fermano come per immobilizzarsi in una lontananza sfocata; lo schermo non offre più, o non solo, una narrazione, ma una pura visione. (…)
Autore critica:Chiara Tognolotti
Fonte critica:Cineforum n. 364
Data critica:

5/1997

Critica 3:Esaurita l'energia propulsiva di una tensione ideale che aveva animato gli anni della Resistenza e del primo dopoguerra, l'agonia del neorealismo, che di quella spinta era espressione, chiede che si cerchino altre vie e forme. Per Visconti, che a quella feconda stagione aveva partecipato intensamente gettando il proprio corpo nella lotta per il rinnovamento, comincia un viaggio a ritroso, che risalendo il fiume della memoria, lo riporta alla cultura delle proprie origini dalla quale trae quel nutrimento che era venuto a mancare con l'affievolirsi della tensione etica nella storia sociale. L'universo culturale di Visconti affondava le sue radici nell'assidua frequentazione della Scala, nella passione familiare per il teatro, nell'amore per il grande romanzo europeo dell'Ottocento e per il melodramma italiano: tutti elementi che presiedono alla nascita di Senso.
Alla fine del 1952 Luchino Visconti e Suso Cecchi d'Amico erano impegnati con la Lux nella preparazione di Marcia nuziale, un film sulla crisi della coppia e dell'istituzione matrimoniale. La società di produzione rinunciò per varie ragioni a questo progetto, ma il suo direttore non rinunciò all'idea di produrre un'opera di Visconti che auspicava fosse allo stesso tempo spettacolare e di alto livello artistico. Tra le cinque proposte che allora Visconti e la d'Amico avanzarono, la scelta della produzione cadde sulla trascrizione per lo schermo di Senso, una novella di Camillo Boito che la sceneggiatrice aveva conosciuto attraverso una raccolta di scritti dello scapigliato, curata da Giorgio Bassani.
La preparazione del film fu un lavoro lungo e travagliato, accurato e complesso. Una prima sceneggiatura, alla quale fu chiamato a collaborare anche Bassani, venne messa a punto nell'aprile del 1953. Oltre a Senso, portava come significativi titoli provvisori I vinti, Custoza, e Uragano d'estate, che sarà il titolo della seconda. Dall'una all'altra, ragioni produttive e la prudente opportunità di prevenire gli strazi censori del potere politico-militare, indussero gli sceneggiatori a ridimensionare il peso dell'interpretazione critica del Risorgimento. Ulteriori mutazioni intervennero con la collaborazione ai dialoghi di Tennessee Williams e Paul Bowles il cui apporto si fece sentire particolarmente nei duetti dei due protagonisti e nella loro definizione psicologica.
Questa serie di interventi stratificati ampliarono e modificarono sensibilmente il testo di partenza, accolto da Visconti come libretto d'opera su cui orchestrare una grande partitura audiovisiva. La novella di Boito, «scartafaccio segreto della contessa Livia», narrata in prima persona, ha la forma intimista del diario, in cui la protagonista racconta la storia della sua passione per un giovane ufficiale austriaco. Non negando il testo di partenza, anzi assorbendo e facendo fruttificare le suggestioni e gli spunti che contiene, la novella di Boito viene dilatata ad accogliere il quadro storico-sociale del 1866 nel quale fermenta la passione amorosa. I personaggi vedono mutato il loro peso relativo. La contessa Livia Serpieri cessa di essere protagonista assoluta. La vicenda non è più tutta filtrata dalla sua coscienza e memoria, ma c'è una dialettica tra il suo vissuto (che resiste nella voce fuori campo) e la dimensione intersoggettiva della storia. Cambiati i rappori muta la natura dei personaggi. Il polo accentratore non è più il compiaciuto e perverso gioco narcisistico di Livia ma la lotta dei narcisismi che costringe la donna al tradimento della propria ideologia sotto l'impulso irrefrenabile della passione. Cinico vile e abietto come Remigio Ruz, Franz Mahler, un po' uomo e un po' fanciullo, non è più solo una figura della memoria di Livia ma vita autonoma dotata di un'incri dibile consapevolezza degli eventi che lo circondano. A lui si assegna il compito di dire la verità sulla guerra: «Cos'è la guerra in definitiva se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?».
Per qualche personaggio che scompare come l'avvocatino Gino, qualcun altro entra, come il marchese Ussoni, la cui figura è stata mutilata dai tagli imposti dal produzione e dalla censura. Visconti stesso del resto preferì tagliare le scene d'azione conservando il dialogo, il teatro, i duetti degli amanti. Le sequenze relative alla guerra (e ai conflitti di classe ad essa sottesi) vengono ridotte sottraendo vigore a un'interpretazione del Risorgimento colto nella luce gramsciana di rivoluzione borghese incompiuta. Particolare peso, sotto questo profilo, avrebbe dovuto avere la scena, ideologicamente rilevante, in cui si mostrava esplicitamente il rifiuto da parte dello Stato Maggiore dell'esercito regio dell'apporto dei volontari organizzati da Ussoni, nel timore di un esito democraticio e popolare della lotta risorgimentale. In un'intervista Visconti rivelò che il film avrebbe dovuto chiamarsi Custoza e concludersi sulle lacrime di un soldatino austriaco, un contadino (uno dei tanti costretti - come dice Franz - a «uccidersi per dei fatti che non li riguardano») che, ubriaco, canta e piangendo grida «Viva l'Austria!». La scena fu tagliata e Visconti girò un altro finale.
Ma neppure questi tagli bastarono a proteggere il film dal boicottaggio del potere politico le cui pressioni sulla giuria della Mostra di Venezia sortirono l'effetto voluto; di non assegnare nessun premio al capolavoro viscontiano.
Autore critica:Luciano De Giusti
Fonte critica:I film di Luchino Visconti, Gremese
Data critica:

1985

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Senso (Racconto)
Autore libro:Boito Camillo

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