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Thirteen - Tredici anni - Thirteen

Regia:Catherine Hardwicke
Vietato:No
Video:
DVD:20th Century Fox
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Diventare grandi
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dalle vicende autobiografiche dell’allora tredicenne Nikki Reed
Sceneggiatura:Catherine Hardwicke, Nikki Reed
Fotografia:Elliot Davis
Musiche:Mark Mothersbaugh
Montaggio:Nancy Richardson
Scenografia:Carol Strober
Costumi:Cindy Evans
Effetti:
Interpreti:Holly Hunter (Melanie), Evan Rachel Wood (Tracy), Nikki Reed (Evie), Brady Corbet (Mason), Jeremy Sisto (Brady), Deborah Kara Unger (Brooke), Sarah Clarke (Birdie), Vanessa Anne Hudgens (Noel), Jenicka Carey Small (Astrid), Tessa Ludwick (Yumi), Java Benson, Sarah Cartwright (Medina), Yasmine Delawari (sig.na Flores), Charles Duckworth (Javi), Ulysses Estrada (Rafa), Cynthia Ettinger (Cynthia), Steven Kozlowski (Skanky Runaway), Maurice 'Mo' Mcrae, Frank Merino (De Leon), D.W. Moffett (Travis), Kip Pardue (Luke)
Produzione:Venice Surfclub
Distribuzione:20th Century Fox
Origine:Usa
Anno:2003
Durata:

100’

Trama:

Tracy è una studentessa modello di tredici anni, con le treccine, gli orsetti del cuore e la sua amata Barbie. Quando arriva al liceo, dove impera lo spirito del branco, subisce il fascino della ragazza più popolare della scuola, Evie Zamora, che con il suo carisma la spinge, per imitazione, a trasformarsi completamente. Tutta la sua energia è impegnata a essere alla moda, avere il look giusto, fare le esperienze che la rendano appetibile agli occhi di chi per lei conta.

Critica 1:Diario intimo del vuoto rassicurante, consumista e conformista delle nuove generazioni, che imitano i modelli preconfezionati Jennifer Lopez e Britney Spears senza accorgersi di non decidere niente e di essere spietatamente manipolate. Thirteen, doppio Pardo d’argento al Festival di Locarno come migliore opera prima e per l’interpretazione di Holly Hunter, non è soltanto un film specchio sugli atteggiamenti istintivamente vendicativi e taciturni delle adolescenti, ma anche uno studio antropologico sulla necessità di essere riconosciute ed accettate, scavalcando qualsivoglia ostacolo morale.
Alla regista non è necessario esasperare vizi e comportamenti, ma riprodurre fedelmente la realtà e l’isterico desiderio di liberazione, di accettazione e di promozione sociale nel gruppo, con uno stato fatuo di eccitazione permanente che porta le giovanissime protagoniste a non voler rinunciare a nulla, a non saper distinguere tra bene e male. Dentro la mente della ragazzina, filmata nervosamente e tallonata dalla regista con uno stile che, nella finzione, rimanda alla semplicità ed all’immediatezza realistica del cinema-verità, c’è un desolante senso di vuoto e di straniamento dal quotidiano, che si dilata in dialoghi insignificanti che portano alla luce una lacerante solitudine.
Thirteen, senza moralismi, nella spietata analisi tra bugie e false consolazioni del “Girl Power”, è la cronaca lucida e fredda della trasformazione di Tracy, figlia modello da esibire ed ammirare, che vive circondata in un’atmosfera profumata di borotalco, orsetti di peluche e merendine da addentare: una volta entrata alla scuola media conosce Evie, e per farsi accettare cambia completamente atteggiamento e personalità, smette di studiare diventando aggressiva e nervosa seppur incapace di affrontare e risolvere i problemi e le piccole difficoltà.
L’autrice, nell’autentica e attenta osservazione dei linguaggi, dei corpi e dei segni, dei codici di comportamento, non si lascia mai sedurre dai pianti a comando, mettendo in scena gli inganni studiati a tavolino, la smania di voler passare “from zero to hero” senza mai calcolare il prezzo da pagare, affrancandosi e liberandosi dalla presenza dei genitori. Tuttavia la Hardwicke, profondamente influenzata dalla cultura rock, dalla visione ironica e disincantata delle cose di Cameron Crowe, dalle verità anarchiche di David O’Russell, ha cercato di raccontare il distacco dalla ragione e dall’equilibrio nell’esistenza, in cui l’impulso vitale resta sempre quello dello shopping permanente, unica spinta giornaliera alla realizzazione.
Thirteen non è soltanto un apologo sull’invidia come motore del quotidiano, ma un’analisi della rivoluzione della pubertà, e dell’impossibilità a capire e a comprendersi sotto la spinta anestetizzante di oggetti inutili che restano accatastati e adorati come piccoli totem e poi buttati via. La Hardwicke, con inattesa e sorprendente maturità, non concede alla sua eroina nessuna attenuante, né riveste i sogni di illusioni consolatorie, bensì costruisce uno spregiudicato racconto di formazione sull’annientamento della personalità, con un film autenticamente cattivo e tragico nella sua leggerezza sulla vampirizzazione dei gusti e dei caratteri.
Autore critica:Domenico Barone
Fonte criticaVivi il cinema
Data critica:



Critica 2:Sebbene schiere - non poi così fitte - di sfiancanti maître à penser abbiano tentato di (ab)usare (di) Thirteen nelle loro improvvisate analisi psico-socio-pedagogiche, il film della Hardwicke (premio per la regia al Sundance 2003) esplora non una moda più o meno general(izzabil)e, ma l’enigmatico rapporto fra due ragazze opposte solo a livello epidermico. Tracy è bionda, altruista, riservata, coscienziosa, Evie è mora, egocentrica, estroversa, distaccata da tutto/tutti: a unirle sono ferite fisiche e mentali, desideri ineffabili, un amore fatto di odio ed emulazione [più che nella scena dei baci saffici - esplicita eco del patinato e profetico (…) cult Cruel Intentions - la tensione emerge nel successivo appuntamento a quattro, in cui le due amoreggiano con i rispettivi partner e insieme si tengono d’occhio, studiano le reciproche mosse, si corteggiano a distanza.
Il film non è la cronaca di una degradazione, di un’amicizia sbagliata(/sballata) nel corso della quale Tracy – Faust, che aspira a una prematura (e quindi innaturale) maturità, cede alle lusinghe della demoniaca Evie (con quel nome, del resto…) per poi riscattarsi fra le braccia di mamma: se Evie è una buona maestra nell’arte della trasgressione adolescenziale, Tracy è un’ottima allieva, pronta a rubare autonomamente pur di farsi accettare dal suo idolo, (aprioristicamente) incazzata con il mondo (madre in testa), arsa da un’ansia di trasformazione che è disperato tentativo di fuga (rinnegato, nel finale, in nome della semplice illusione di una serenità tutta da ri/costruire, una giostra di sognata precarietà). La relazione fra le giovani è pericolosa in un’accezione degna di Laclos: un rapporto alla pari in cui anche il carnefice soffre (il pianto di Evie) e la vittima si ritaglia oasi d’insanguinato autocompiacimento; un legame feroce che neppure la lontananza (forse) potrà spezzare.
Alla regista (giustamente) interessa non indagare cause o attribuire torti e ragioni, ma fotografare istanti di quotidiana ebbrezza: incessantemente immersa nel flusso degli eventi, la fremente macchina da presa regala convincenti piani sequenza (la mancata orgia a tre) in una messinscena che fonde vezzi da spot, crudezze (simil)documentarie (le sgranature notturne), idee graffianti (il poster pubblicitario con lo slogan keatsiano beauty is truth), invenzioni che superano il mero décor (il bianco e nero macchiato di colore che sottolinea il grottesco tono mélo del finale). I dialoghi sono pedanti e non manca qualche soluzione banale (lo sballo di Tracy, virato in diverse tonalità - un po’ alla Traffic -, un flashback non necessario), ma l’occhio della regista è non di rado terribilmente acuto. Si segnala, oltre alla mesta genitrice Holly Hunter, una devastata Deborah Unger.
Autore critica:Stefano Selleri
Fonte critica:ondarock.it
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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