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Gabinetto del Dottor Caligari (Il) - Das kabinett des Dr. Caligari

Regia:Robert Wiene
Vietato:No
Video:M & R. Swan Video, Mondadori Video, Eden Video, Skema, Cde Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Hans Janowitz, Carl Mayer
Sceneggiatura:Hans Janowitz, Fritz Lang, Carl Mayer
Fotografia:Willy Hameister
Musiche:
Montaggio:
Scenografia:Walter Reimann, Walter Rohring, Herman Warm
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Lil Dagover Jane, Friedrich Feher Franz, Hans Heinz Von Twardowski Alan, Rudolf Klein-Rogge Il ladro, Werner Krauss Dr Caligari, Hans Lanser-Ludoff, Rudolph Lettinger Dottor Oscar padre di Jane, Henri Peters-Arnolds, Ludwig Rex, Conrad Veidt Cesare, Elsa Wagner
Produzione:Erich Pommer/Decla
Distribuzione:Cineteca Nazionale - Cineteca di Bologna
Origine:Germania
Anno:1919
Durata:

80'

Trama:

Nella cittadina tedesca di Holstenwall intorno al 1830 il dottor Caligari esibisce in un baraccone da fiera il sonnambulo Cesare, inconsapevole esecutore dei suoi delitti. Lo studente Franz scopre che Caligari è il direttore di un manicomio e lo smaschera. In una sequenza finale, ambientata nel manicomio, si viene a sapere che Franz è pazzo e che tutto il racconto è frutto di una sua ossessione.

Critica 1:Responsabile della scelta, per le scene (tutte dipinte) e i costumi, dei pittori Walter Reimann, Walter Rohrig e dell'architetto Herman Warm e del regista R. Wiene (che sostituì Fritz Lang), il produttore Erich Pommer aggiunge il finale (e il prologo) alla sceneggiatura di Carl Mayer e Hans Janowitz. I due protestarono perché l'espediente contraddiceva le loro intenzioni satiriche contro l'autoritarismo prussiano che tende a trasformare gli uomini in automi. Opera espressionistica per eccellenza, capolavoro del muto di straordinaria influenza sul cinema successivo, è probabilmente il 1° film di culto della storia del cinema, il 1° film horror di valore e il 1° a proporre la teoria che il terrore psicologico può essere spaventevole quanto quello fisico. Oltre alla sua forza claustrofobica figurativa frutto di un coerente apporto di scene, costumi, illuminazione, recitazione che crea un mondo di caos, paura, incomunicabilità, il film è assai moderno nella sua tematica per l'intersecazione dei suoi livelli di realtà e l'ironica ambiguità del suo scioglimento.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Das Kabinett des Dr. Caligari ha il fascino delle opere irregolari. Porta il peso delle sue origini “sbagliate”, del cruciale momento in cui fu concepita (il 1919, la Germania appena uscita dalla sconfitta, la fondazione della Repubblica weimariana), delle indebite responsabilità culturali che le furono attribuite. Il film fu realizzato in modo non conforme alle idee degli autori del testo, fu affidato (dopo un primo tentativo di coinvolgere Fritz Lang) a un regista di scarso prestigio, subì una manipolazione nella struttura narrativa che, a detta di alcuni, ne snaturò il significato.
Comunemente ritenuto, fin dall'inizio (la “prima” ebbe luogo al Marmorhaus di Berlino nel febbraio del 1920), come il manifesto dell'espressionismo cinematografico, indusse più tardi i sociologi a considerarlo un sintomo di quella instabilità psicologica che avrebbe prodotto, degli anni venti, la resa del popolo tedesco alle seduzioni dell'autoritarismo (il celebre saggio di Siegfried Kracauer si intitola, appunto, From Caligari to Hitler). Un fenomeno così contraddittorio come l'espressionismo finì per proiettare sul Caligari l'ombra delle sue diverse interpretazioni, mentre la chiave di lettura politica aprì una serie di interminabile di discussioni che spesso prescindevano dalla sostanza dell'opera.
Il carattere espressionistico nasce non tanto dall'influenza della letteratura e del teatro contemporaneo (da G. Benn a RJ. Sorge, da G. Kaiser a E. Toller) quanto dalla scenografia di fondali dipinti che fu immaginata da tre artisti - Warm, Röhrig e Reimann - operanti nello “Sturm”, gruppo le cui origini pubbliche risalivano al primo Salone d'Autunno tedesco del 1913. Grazie allo “Sturm”, osservò allora Lothar Schreyer, “la manifestazione artistica dell'espressionismo non fu soltanto un gioco, e sia pure un bel gioco, ma la necessità vitale di una intera generazione, nella quale si fa visibile il ritorno dalla realtà esterna al mondo interno”. Rendere visibile l'invisibile, e porlo al centro dell'íinteresse artistico, costituì il programma dello “Sturm”. Il poeta e saggista Herwarth Walden, che del gruppo fu l'animatore, lo sintetizzò polemicamente in Einblick in Kunst: “Gli esperti sanno che cos'è l'arte. Sanno quel che non sanno. Noi, amici miei, lo sappiamo ma non lo diciamo. Perché è una cosa indicibilmente bella”.
Quest'ansia di misteriosa bellezza, questa esaltazione della “profondità dell'anima” (che si volevano portare alla luce, annullando la falsa della verosimiglianza) furono trasferite nel film. Si tradussero in un viluppo di linee conto oggetti graficamente deformati, di ombre disegnate, di prospettive alterate, di contrasti fra il bianco e il nero, che creavano un contesto urbano (l'azione si svolge nella città inesistente di Holstenwall) totalmente irreale, simile a quelli schizzati nei quadri di Arnold Topp o di Maria Uhden e, fuori dello “Sturm”, in certi dipinti e xilografie (la durezza di questo bianco e nero è analoga al tono fotografico del Caligari) di Kirchner ( Schmidt-Rottluf. Senonchè gli autori del testo, che furono i veri promotori dell'iniziativa, non pensavano affatto alla brutalità espressionistica ma proponevano l'impiego di un pittore come Alfred Kubin, più morbosamente simbolista e assai più raffinato nella evocazione dell'angoscia. Le loro intenzioni erano esplicitamente allegoriche. Volevano raccontare una mostruosa follia individuale (quella del dottor Caligari che manifesta i suoi impulsi di morte attraverso i misfatti di un succube), nella quale si riflettesse chiaramente l'orrore di un ordine sociale che pervertiva le libere creative dell'uomo. Non si proponevano di far emergere dall'insania del protagonista la rivolta dell'irrazionale e dell'inconscio né di ricorrere alle virtù consolatorie (e a suo modo rivoluzionarie) dell'"Urschrei" espressionista, visto come promessa di una sorta di genesi sociale. A loro interessava non l'esplosione (scenografica, figurativa) della follia di Caligari nei suoi fatti clamorosi, ma la rappresentazione ossessiva di un incubo. Non furono ascoltati. Il produttore e il regista disposero diversamente. La storia di Das Kabinett des Dr. Caligari ebbe origine da un ricordo personale del praghese Janowitz e fu elaborata dallo stiriano Carl Mayer, due “irregolari” della cultura finiti a Berlino in cerca di fortuna. Si svolge in Germania. È il tempo della fiera. Fra le molte attrazioni vediamo il carrozzone in cui il dottor Caligari, personaggio bizzarro e inquietante, espone il sonnambulo Cesare e i suoi prodìgi. Caligari va a chiedere in Comune la “licenza di esercizio”. Si rivolge a un impiegato che lo maltratta. Il giorno dopo costui è trovato morto.
La sera, due giovani - Franz e Alan - visitano il padiglione di Caligari. Il prodigio consiste nell'apparizione di Cesare che esce da una bara e, sotto ipnosi, predice il futuro a chi glielo chiede. Ad Alan, che vuol sapere quanto vivrà, risponde: fino all'alba. Il giorno dopo troveranno anche lui pugnalato, come l'impiegato comunale.
Franz induce il padre di Jeanne, di cui è innamorato, a intervenire. Egli sospetta che l'autore dei due assassini sia Caligari. Il padre di Jeanne, che è medico, potrà accertare in che consista l'influenza ipnotica che il dottore esercita su Cesare. Ma un incidente gli impedisce di ottenere la scopo. Franz prosegue da sé le indagini. Va a spiare nel carrozzone e vede Cesare, immobile, dentro la bara. Ma proprio in quel momento Cesare entra furtivamente nella camera di Jeanne per ucciderla. Non lo fa. La prende in braccio e fugge per un intrico di strade, lungo i muri, sui tetti. Il padre di Jeanne lo insegue. Sopraffatto dal terrore, Cesare abbandona la ragazza, sì accascia e muore. Franz, scortato dalla polizia, entra nel carrozzone di Caligari. Nella cassa da morto scoprono un fantoccio. Caligari riesce a sottrarsi alla cattura, fugge e si introduce in un ospedale psichiatrico. Franz, che lo ha seguito, va dal direttore per chiedergli se ha visto entrare un individuo sospetto. Sbalordito, si accorge che il direttore è Caligari. Franz e i medici dell'ospedale indagano meglio. Rovistando nell'ufficio del direttore trovano un volume in cui si narra di un criminale italiano di nome Caligari che, nel Settecento, si serviva di un uomo da lui soggiogato (Cesare) per commettere orrendi delitti. Trovano anche un diario in cui il direttore spiega come, affascinato da quella antica storia, volle tentare egli stesso l'esperimento servendosi di un sonnambulo ricoverato nell'istituto. E, come aveva fatto il Caligari della storia, anch'egli metteva un fantoccio al posto di Cesare quando questi si allontanava per uccidere, ipnotizzato da lui. Franz può così smascherare lo psichiatra Caligari. La vista di Cesare morto provoca il crollo del satanico direttore. Lo immobilizzano e lo trascinano via.
Su questa vicenda di un pazzo ( Caligari), che simboleggia l'autorità perversa, e di un minorato (Cesare), che incarna la passività del suddito, il produttore Erich Pommer e il regista Robert Wiene effettuarono una doppia operazione riduttiva. Oltre ad avvolgerla in un'atmosfera dichiaratamente espressionista, che ne alterava il senso, la incorniciarono in un'altra storia, che ne capovolgeva la conclusione. S'immagina, ora, che l'avventura sia narrata da Franz, un demente ospite dell'istituto. Il direttore ha l'aria rassicurante del buon medico. Alla fine, Franz, che crede di riconoscere in lui il protagonista della sua allucinazione, dà in smanie. Il direttore sorride. Ora assomiglia davvero a Caligari. Dice: adesso ho scoperto la causa della sua malattia e lo potrò curare.
Non si può dire che l'operazione - mirante ad attenuare il significato di un film angoscioso e ammonitore - sia proprio riuscita. Il Caligari resta, nonostante tutto, un'opera equivoca e, perciò, affascinante e controversa. Per svalutare l'angoscia, si è trasformata la storia di un mostro nel racconto di un pazzo, ma non v'è nulla di più angoscioso di quel sorriso e di quella battuta in chiusura. S'è voluto imprimere all'azione e all'ambiente il marchio -del più duro espressionismo, sfruttando la scenografia dei pittori dello “Sturm” e la recitazione fremente degli attori, ma tutta quella violenza si compone in forme di raffinata stilizzazione, e assume talvolta le movenze di uno stralunato balletto (tipica la fuga di Cesare con la ragazza in braccio). O di un sogno.
La contraddizione figurativa e ideologica rimane. Nel film coesistono le ossessioni di un paese sconfitto e frustrato, le dichiarazioni di principio di un movimento artistico che aveva la pretesa di essere rivoluzionario (“ci definiscono una banda di bolscevichi”, ghignava Schreyer), la presenza inquietante dell'inconscio e una timida fiducia nell'avvento della ragione. Insomma, una incertezza diffusa, la cui responsabilità va attribuita in parte a Pommer (che voleva “sfruttare” la moda dell'espressionismo e non scandalizzare il pubblico) e in parte alla mediocrità di Robert Wiene (Sasku, 1881-Parigi, 17 luglio 1938). Il regista aveva girato alcuni film “leggeri” di poco interesse e in seguito non si sarebbe più segnalato per meriti particolari. Ma questo giudizio, espresso concordemente dagli storici, andrebbe verificato sulle opere superstiti, con un riesame complessivo che la risonanza del “caso” Caligari rende doveroso.
Autore critica:
Fonte critica:100 film da salvare, Mondadori
Data critica:

Fernaldo Di Giammatteo

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



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