Prestanome (Il) - Front (The)
Regia: | Martin Ritt |
Vietato: | No |
Video: | Columbia Tristar Home Video |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Mass media |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Walter Bernstein |
Sceneggiatura: | Walter Bernstein |
Fotografia: | Michael Chapman |
Musiche: | Dave Grusin |
Montaggio: | Sidney Levin |
Scenografia: | Charles Bailey |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Danny Aiello (Danny), Woody Allen (Howard Prince), Herschel Bernardi (Phil Sussman), David Clarke (Hubert Jackson), Mac Intyre Dixon (Harry Stone), Julie Garfield (Margo), Lloyd Gough (Delaney), Zero Mostel (Hecky Brown) |
Produzione: | Martin Ritt, Charles H. Joffe e Robert Greenhut per Columbia Pictures |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 1976 |
Durata:
| 95’
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Trama:
| Al tempo del Maccartismo e della "caccia alle streghe" Howard Prince, uno squattrinato cassiere di un bar, scommettitore e bookmaker, accetta di fare da prestanome ad Alfred Miller, sceneggiatore caduto in disgrazia a causa di certe sue pretese "attività antiamericane". Egli firmerà, d'ora in poi, i copioni dello scrittore e ne riceverà una percentuale sugli utili. Altri scrittori, epurati per lo stesso motivo, si giovano di Howard, che diventa, in breve tempo, ricco e famoso. Ma prima l'affetto per Florence Barret, che ha lasciato la televisione per fondare un giornale di protesta e poi il suicidio dell'attore comico Hecky Brown, aprono una breccia nella sua incallita coscienza di uomo senza idee e senza scrupoli. Egli stesso viene sorvegliato dalla "Fredom Information" e deferito alla commissione per le attività antiamericane. Il suo attaccamento per Hecky gli dà la forza di trovare una risposta dignitosa e fiera da buttare in faccia a questi delatori di professione. Deve per questo affrontare la prigione.
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Critica 1: | Uno squattrinato cassiere di un bar accetta di fare da prestanome a un amico sceneggiatore caduto in disgrazia e si trova coinvolto nelle vicende delle liste nere del maccartismo. W. Allen è uno dei punti di forza del film, Z. Mostel è efficace: l'impiego di questi due attori comici in funzione drammatica è uno degli aspetti più interessanti della storia. Scritto da Walter Bernstein (la cui sceneggiatura concorse all'Oscar), è il primo dei due film hollywoodiani che hanno rievocato il vergognoso periodo della "caccia alle streghe" (comuniste) a cavallo tra gli anni '40 e '50. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Uno dei rari casi (insieme con Storie di amori e infedeltà e Z la formica) in cui Woody Allen si è prestato come attore per registi diversi da se stesso, Il prestanome fece ottenere una nomination all’Oscar allo sceneggiatore Walter Bernstein, che negli anni ’50 fu davvero inserito nella lista nera di Hollywood. Ma lo furono anche il regista Martin Ritt e gli interpreti Zero Mostel, Herschel Bernardi, Joshua Shelley e Lloyd Cough. Ovvio, quindi, che il film abbia una notevole carica emotiva. Ovvio, ma non semplice da ottenere: satireggiare su un periodo complesso come quello del maccartismo è tutt’altro che facile, e va dato merito agli autori di questa brillante commedia di esserci riusciti senza mai scadere in patetismi o banalità. L’utilizzo di cinegiornali di repertorio aggiunge credibilità all’ambientazione, oltre che spessore alla satira politica che la pellicola vuol fare, ma il grande pregio del film è quello di mettere dei personaggi ben scritti al centro di una vicenda realistica ancorché ai limiti del credibile. Probabilmente la ricerca di un finale così pieno in quanto a contenuto morale (moralista?) intacca un po’ il valore globale del film, che rimane comunque alto. |
Autore critica: | Alberto Cassani |
Fonte critica: | Film&Chips |
Data critica:
| 16/11/2003
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Critica 3: | Nonostante le remore del regista e le perplessità di un Woody Allen ancora prima maniera («Corro un grosso rischio con questo film, di cui non sono né il regista né l'autore e sul quale quindi non posso esercitare alcun controllo. Avevo consigliato Ritt di ingaggiare Jack Nicholson: la mia specialità è il comico, davanti a un film drammatico io navigo», in «Cult Movie», n. 4, giugno-luglio 1981); nonostante insomma la scarsa fiducia dei diretti interessati, The Front riesce a "vendicarsi" del maccartismo diventando un successo internazionale, ridicolizzandone l'isteria, censurandone gli effetti perversi (micidiali per le vittime, come testimonia il suicidio di Hecky), aprendo alle platee di mezzo mondo le pagine non troppo edificanti di una delle tante brutte storie americane di cui Ritt, e lo sceneggiatore, Walter Bernstein sono autorevoli (e in questo caso partecipi) cronisti. E anzi, è forse proprio in virtú dell'apparente leggerezza rievocativa - «all'insegna di una serenità dolente piú che di una polemica rabbia» (Morando Morandini, «Il Giorno», 10 agosto 1977) - che il film regola meglio i conti con la verità storica, il sorriso sulle labbra.
Caustico, per chi ha dimestichezza con le immagini di recente "storia patria", il film lo è sin dalle prime battute, quando fa scorrere in rapida sequenza e abile contrappunto la voce suadente di Frank Sinatra e le immagini dei bombardamenti in Corea, le sfilate di moda, l'arrivo dei reduci,
Truman e poi Eisenhower sorridenti, Marilyn raggiante, l'elezione di Miss America 1952 e i coniugi Rosenberg in procinto di salire sulla sedia elettrica. Ebbene, questa era l'America in cui poté non solo germogliare (ché è cosa all'ordine del giorno) ma crescere a dismisura la mala pianta dell'anticomunismo viscerale; fenomeno tutt'altro che riducibile alle sole paturnie del senatore McCarthy se è vero che la Commissione per le attività antiamericane e relative «liste nere» presero a funzionare già a partire dal 1947, ben prima che la caccia alle streghe trovasse nello zelante castigatore del Wisconsin il suo piú acceso (e folclorico) sostenitore. (Pochi sanno che la follia lo spinse a chiedere l'epurazione del Pentagono, entrando in rotta di collisione con gli stessi suoi piú stretti collaboratori: sarà posto sotto processo alla fine del '54, rifiuterà di comparire davanti alla commissione senatoriale, verrà destituito per «inettitudine mentale e morale», morirà abbandonato e alcolizzato nel '57, stritolato dalla macchina che aveva contribuito in maniera determinante a perfezionare).
Quando si parla di caccia alle streghe, il pensiero corre inevitabilmente lungo i binari delle molte altre distorsioni che vi si produssero intorno dallo sciacallaggio di chi aveva interessi personali o di carriera in gioco, al triste fenomeno del pentitismo, alla colpevole indifferenza, infine, di quella ampia fascia di opinione pubblica - intellettuali compresi - che preferí non interferire e se ne stette a guardare. Il protagonista di The Front è appunto uno che starebbe volentieri a guardare se non gli toccasse di sostenere un amico caduto in disgrazia, per di piú racimolando un bel po' di bigliettoni. Mite e sfigato finché si vuole, goffo e sfaccendato ometto della quinta strada, sempre alle prese con cavalli piazzati e vincenti, con una legione di creditori alle costole, quando ci prende gusto il nostro fa anche il difficile e si monta volentieri la testa. «Cos'è questa roba, ragazzi? Ho una reputazione, io. Voglio dei testi alla Eugene O'Neill, ma piú comici...»). Quanti sceneggiatori si son fatti cosí negli anni del maccartismo, campando sulle disgrazie altrui? L'ingranaggio si guasta quando all'amico Hecky (Zero Mostel) si chiede di raccogliere prove sul conto di Howard Prince, visto a tavola con dei noti comunisti, sbucato dal nulla e divenuto in breve tempo il nuovo astro del firmamento televisivo.
Il vecchio Hecky (che secondo gli accusatori ha sulla coscienza del denaro versato nel '36 a favore dei repubblicani spagnoli e un deciso interventismo filosovietico nel corso della seconda guerra mondiale) tenta di fare la spia ma non ci riesce e preferisce togliersi di mezzo, spiaccicando sull'asfalto della strada quel suo faccione da clown imbranato per il quale gli americani impazzivano prima di scoprirgli le rughe del sovversivo. È a questo punto che l'ebreuccio, vissuto sino ad allora di espedienti, si avvia a vivere la sua gran giornata, entrando egli stesso a buon diritto
nella lista dei proscritti. (…)
Una volta difesa la scelta di genere (contro la pretesa di chi vorrebbe temi come il maccartismo trattati drammaticamente oppure non trattati), ci si accorge in realtà che anche questa etichetta va stretta. «Benché interpretato da due attori comici, il film non è una commedia, e ancora meno un burlesque. È, dal tono, un'opera che si apparenta piuttosto ai romanzi e racconti di scrittori ebrei americani come Bernard Malamud (del quale Ritt doveva adattare «Il commesso»), Irwin Faust, Wallace Markfield. Il film di Ritt tratta un argomento molto grave in maniera comica, e per di piú con un certo umorismo nero. Come nel romanzo ebraico contemporaneo, questo umorismo, che è per prima cosa una risposta all'assurdità o al ridicolo di una situazione (qui, il maccartismo), si esercita in parte a detrimento dell'umorista stesso (il prestanome). Poiché vi è innegabilmente un aspetto grottesco nella situazione tragica in cui si trovano i protagonisti del film, e Howard Prince ne è rivelatore. È qui che esplode il talento di Woody Allen: non si sa mai se sta bluffando, se è voluto, se è caduto in trappola, se provoca scientemente i suoi avversari» (Claude Benoit, « Jeune Cinéma », n. 101, marzo 1977). |
Autore critica: | Roberto Ellero |
Fonte critica: | Martin Ritt, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 3-4/1989
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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