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Lettera aperta a un giornale della sera -

Regia:Francesco Maselli
Vietato:14
Video:Medusa
DVD:Luce
Genere:Commedia
Tipologia:La memoria del XX secolo, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Francesco Maselli
Sceneggiatura:Francesco Maselli
Fotografia:Gerardo Patrizi
Musiche:Giovanna Marini
Montaggio:Rolando Salvatori, Nicoletta Nardi
Scenografia:Gabriele D'Angelo
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Piero Faggioni (Direttore casa editrice), Tanya Lopert (Dyana Stein), Gabor Acs (Giornalista), Nicole Karen (Moglie del regista), Lorenza Guerrieri (Moglie del prof. Universitario), Graziella Galvani (Moglie di Faggioni), Barry Fiefield (Editore Pier Maria), Nanni Loy (Architetto Vanni Dosi), Fabienne Fabre (Studente ospite Dosi), Vittorio Duse (Maggiordomo), Daniele Dublino (Scrittore), Laura De Marchi (Moglie dello scrittore), Nino Dal Fabbro (Prof. universitario), Daniele Costantini (Studente ospite Dosi), Silverio Blasi (Brandi) Riccardo Berlingieri (Studente ospite Dosi), Deanna Frosini (Moglie dell'editore), Anna Orso (Moglie dello sceneggiatore), Luciano Telli (Regista), Daniela Surina (Amante di Dublino), Monica Strebel (Ex amante del prof. Universitario), Massimo Sarchielli (Scultore), Bitti Lusignoli (Operatore culturale), Paolo Pietrangeli (Cantante), Roberto Pelosso (Operatore culturale), Mariella Palmich (Donna di Vanni Dosi)
Produzione:Franco Cristaldi per Vides Cinematografica-Italnoleggio Cin.Co
Distribuzione:Cineteca Nazionale
Origine:Italia
Anno:1970
Durata:

95'

Trama:

Al termine di una serata in casa di un editore di sinistra, trascorsa come sempre in astratte discussioni, un architetto industriale, la cui fabbrica è in co-gestione con gli operai che vi lavorano, lancia ai suoi amici - un gruppo di intellettuali comunisti, rivoluzionari a parole ma perfettamente inseriti nel "sistema" di cui godono i vantaggi e condividono i vizi - l'idea di inviare una lettera al direttore di un quotidiano di sinistra, chiedendo di partecipare attivamente alla guerra nel Vietnam. Contrariamente alle previsioni, il giornale non la pubblica, ma la lettera esce, egualmente, sulle pagine di un settimanale. L'iniziativa acquista una forte risonanza, si allarga fino a ottenere adesioni anche dall'estero, mentre sembra addirittura che Hanoi, contrariamente al solito, sia disposta ad accettare l'invio di volontari; per quanto non approvi l'iniziativa, anche il partito comunista si vede costretto ad appoggiarla. Accorgendosi della piega tremendamente seria presa da un'iniziativa nata soprattutto per fornire un alibi alla loro coscienza, ma non potendo più tirarsi indietro, gli intellettuali si radunano in una villa di campagna, in attesa di partire. Proprio alla vigilia, però, li raggiunge una notizia da Hanoi: i nordvietnamiti non vogliono volontari stranieri. I promotori dell'iniziativa possono finalmente respirare di sollievo.

Critica 1:A chiusura dei titoli di testa si legge: «materia del film è un'ipotesi». Metti che una sera, durante un cocktail rivoluzional-borghese, un gruppo di intellettuali comunisti romani, certo più inseriti nel sistema che nel partito, decidano di scrivere a un quotidiano («Paese sera») una lettera, in cui, fra le altre cose, si manifesti il proposito di creare una brigata della cultura, decisa a imbracciare il fucile e a partire per il Vietnam. Metti che nessuno dei firmatari creda realmente al successo dell'iniziativa: primo, perché «Paese sera» non avrebbe mai pubblicato la lettera (per le accuse al partito in essa contenute); secondo, perché i compagni vietnamiti, in ogni caso, non avrebbero mai accettato. Metti però che la lettera, respinta come previsto dal quotidiano paracomunista, finisca sulle pagine de «L'Espresso» e che la proposta raccolga consensi e adesioni non solo in Italia ma anche all'estero, che lo stesso partito comunista italiano, seppure a malincuore, appoggi l'iniziativa, che la brigata venga infine accettata dai vietnamiti. Metti tutto questo: cosa accadrebbe? Il film ipotizza il comportamento pubblico e privato, le varie reazioni del gruppo di fronte alla realtà. Nessuno crede alla sincerità della spinta rivoluzionaria, e pure nei rapporti ufficiali, pubblici (discorsi, dichiarazioni, conferenze ecc.), ciascuno in qualche modo si investe della parte, con la segreta speranza che tutto finisca nel nulla. C'è invece sgomento, paura, disfacimento nei rapporti privati, intimi. Con le donne del gruppo – mogli, amiche, amanti ecc. – il sesso acquista il senso di una valvola di sfogo, funzione evasiva e alienante: un caos erotico-sessuale come condizione di sopravvivenza, forse. Quando tutto sembra ormai deciso, e il luogo dell'appuntamento per la partenza è fissato; quando il gruppo è ormai rassegnato a subire – in una specie di collettiva catarsi – le conseguenze di una situazione da loro stessi messa in moto, giunge improvvisa e liberatoria la notizia che i compagni vietnamiti, all'ultimo momento, si sono ricreduti: niente brigata, la guerra rivoluzionaria se la fanno da soli. Nel gruppo affiorano perplessità, sollievo e persino una punta di amarezza. Qualcuno calcia un barattolo di latta, che si mette a rotolare tra le gambe di altri, lungo il sentiero. Qualcun altro lo risospinge. Il film si conclude in una significativa progressione:una partitella a calcio-barattolo, giocata con sempre più convinzione. Il racconto è costellato da alcune scene violente: sono immagini – sublimate al rallentatore – di tortura.
Dal soggetto stesso, così sintetizzato in chiave di racconto, emergono alcune indicazioni degne di rilievo. Anzitutto, non esistono nel film di Maselli protagonisti individuali. Esiste invece un gruppo, eterogeneo fin che si vuole sul piano di vicenda, ma tematicamente cementato in un unico microcosmo: i nomi, le persone fisiche, le entità individuali tendono a confondersi, a diventare espressione di un malessere corale. Protagonista del racconto, dunque, è il gruppo. Con questa impostazione, Maselli indica abbastanza chiaramente che nel suo film non vengono affrontati, e trattati, problemi individuali (quelli che possono angosciare l'insegnante, l'industriale, l'editore ecc.) : sono i problemi collettivi a interessare, perché sono quelli che maggiormente investono - o potrebbero investire – un largo strato di intellettuali comunisti; e forse sono proprio quei problemi che (tematicamente) animano – o potrebbero animare – l'uomo stesso, nella sua dimensione emblematica. È da notare poi che nell'arco di racconto non esistono massicci blocchi narrativi: l'impianto, nell'insieme, si sostiene su piccole azioni: specchio di discorsi ideologici, di sentimenti, e impressioni. Una struttura nervosa e volutamente frammentaria, che corre per linee orizzontali, anche se non disdegna – in rari momenti (e sono i migliori) – di tuffarsi in profondità. Se il respiro tematico riesce ad emergere in qualche modo – nonostante l'orizzontalità narrativa – è infatti per virtù di un sotterraneo coordinamento di azioni: è insomma il risultato di una esaltante autonomia espressiva dell'immagine che si libera dall'intenzionalità esteriore del suo creatore. Si diceva: il film è costruito su un'ipotesi. Il materiale di partenza non manca. Vengono forniti tutti quegli elementi che sono indispensabili allo sviluppo corretto e preciso del racconto. Il gruppo è caratterizzato con mano decisa (non escluse le donne, che del gruppo sono parte integrante).
Il piccolo microcosmo è formato da intellettuali di sinistra, appartenenti a quella generazione che ha vissuto – chi più chi meno – trent'anni di storia sociale, politica e persino morale, che è stata partecipe di esperienze esaltanti e insieme amare. Questi intellettuali hanno raggiunto nella società contemporanea una posizione di rilievo: non hanno problemi di sopravvivenza, appartengono, e quasi si identificano, a quanto di più consumistico viene oggi offerto. È indicativo, in questo senso, l'ambiente in cui i personaggi (li chiamiamo così per comodità) sono inseriti e fatti muovere: un ambiente di arricchiti, di high society quasi (gli appartamenti che abitano, il modo di incontrarsi ecc.). In tale ambiente, che essi hanno accettato materialmente (ma a un passo pure ideologicamente) si agitano complessi di colpa, frustrazioni, rimorsi. Maselli identifica questo sottobosco esistenziale, all'inizio come percorso da frustrazioni salottiere (abbastanza vane ed aleatorie, quindi), e poi sempre più minato da accenti sofferti e autenticamente vissuti. Evoluzione sensibile. Si avverte a mano a mano che il racconto avvicina i protagonisti ad una realtà gravida di richiami (per esempio, e soprattutto, le immagini delle torture che contrappuntano qui e là, mai casualmente, l'arco narrativo). Le discussioni si colorano d'un contrasto drammatico: «ciò che dovrebbe essere» e «ciò che è». Contrasto antico, che è sempre stato, e che tuttora è. Lucida, compiaciuta e quasi autolesionista analisi di aspirazioni forse ancora vive ma certo tradite dai tempi, e soprattutto dal partito, visto come modello e guida. In Vietnam si fa la rivoluzione col fucile; qui da noi – si lamenta il gruppo – si usano soltanto le parole: e sono parole, quelle del partito comunista, di cui gli intellettuali di Maselli indicano responsabilità precise; tatticismo eccessivo, volontà di potere, apatia, esaurimento di quel respiro rivoluzionario che ne aveva fatto il più valido interlocutore d'opposizione ecc. Il gruppo si sente cioè tradito: è quanto basta per dar fuoco ad aspirazioni represse. Una sera, in cui arieggiano la impotenza, il vaniloquio, e il rifugio nell'espressione tipica «questo è un altro discorso», qualcuno suggerisce di scrivere quella famosa lettera: volontà di «fare» e non più di «dire»; presa di coscienza che una classe intellettuale – soprattutto comunista – non può restare impotente, passiva di fronte ai fermenti rivoluzionari nel mondo. La proposta di creare una brigata della cultura acquista il senso di una sfida: alle maglie del sistema, al partito, ma soprattutto alla coscienza individuale. Tutti sono convinti che la sfida non sarà accolta (ed è per questo che l'hanno gettata). Invece, il gioco si trasforma in una verifica drammatica, inattesa, del proprio io. Il gruppo incomincia a guardare entro se stesso, intuisce le proprie ambiguità di fondo, l'insincerità e forse l'impotenza.
Maselli a questo punto non concede ai protagonisti un attimo di respiro, non ammette alternative: il fluire di alibi intellettuali, personali, individuali, privati; la ricerca di una partecipazione entusiastica alle cose che stanno accadendo, la ricerca cioè di un antico entusiasmo si perdono, si vanificano lentamente, lasciando scoperto l'uomo, toccato da una società in cui egli ha cercato di destreggiarsi facendo quadrare in un certo modo i principi ideali e i bisogni materiali, e da quella società inevitabilmente trasformato, indebolito sempre più, con strumenti allettanti di comodità e lusso, di sfogo delle proprie debolezze. Se il gioco sarà portato fino in fondo, in un ultimissimo rigurgito di dignità (ma che forse non è altro che l'investitura d'una parte eroica che tutto ha del vittimismo), è perché affiora nel gruppo la coscienza di un'imminente disgregazione interiore, del doversi trovare alla fine faccia a faccia. Sul luogo dell'appuntamento, nell'attesa della partenza, sui volti dei singoli appare questo spettro: è forse uno dei momenti più intensi del film. Le due alternative finali: partire o essere costretti a restare, esprimono un'eguale condanna. Partire, significa lo sberleffo di un'ipotesi che si tramuta in realtà (e certo i personaggi in quest'ipotesi non verrebbero ugualmente assolti, se di assoluzione catartica si può parlare); restare, significa accettare – silenziosamente – la finzione di una volontà rivoluzionaria, che in effetti non esiste. In tutti e due i casi, pende sul gruppo la condanna piena. Si noti la sottile ironia con cui Maselli costruisce il momento della partenza (l'inserimento chiave del maggiordomo): partenza che si configura come vacanza, viaggio turistico (abbigliamento, valigie, indumenti ecc. ) La «figurazione» di questa prima alternativa – o possibile conclusione di racconto – non si discosta molto dall'invenzione della partitella di calcio che il gruppo improvvisa, una volta liberato dall'incubo della partenza. Non è forse la sottolineatura di quanto di più «italiano» vi può essere in quella manifestazione? Non è forse la riprova di un'impotenza di fronte al mondo che si tramuta in ansia di evasione? Maselli ha scelto la conclusione più drastica, più provocatoria, in un certo senso. Di questo bisogna dargliene atto: di non aver giocato anche lui fino in fondo.(…)
Autore critica:Giulio Schmidt
Fonte criticaCineforum n. 95-96
Data critica:

10/1970

Critica 2:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:
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Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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