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Rabbia (La) -

Regia:Pier Paolo Pasolini
Vietato:No
Video:Panarecord
DVD:
Genere:Documentario
Tipologia:La memoria del XX secolo, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura:Pier Paolo Pasolini
Fotografia:
Musiche:
Montaggio:Nino Baragli, Giacinto Solito
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:
Produzione:Gastone Ferrante per Opus Film
Distribuzione:Cineteca Nazionale
Origine:Italia
Anno:1963
Durata:

100'

Trama:

Diviso in due parti, è un film di montaggio sui principali avvenimenti politici, sociali, religiosi, mondani degli anni '50 e '60. Prodotto da Gastone Ferrante per la Opus Film, avrebbe dovuto mettere a confronto due interpretazioni opposte (secondo il facile schema del "visto da sinistra, visto da destra"). Si legge nella didascalia iniziale: "Due ideologie, due dottrine di opposte tendenze rispondono a un drammatico interrogativo: perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall'angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?". La prima parte è di P.P. Pasolini (con le voci di Giorgio Bassani e Renato Guttuso), la seconda di G. Guareschi (con le voci di Carlo Romano e Gigi Artuso).

Critica 1:Nei primi mesi del 1963 Pasolini, accettando una proposta del produttore Gastone Ferranti, iniziò a selezionare brani da vecchi cinegiornali e documentari. Parte di questi materiali gli servirono per realizzare una sorta di "saggio-documentario" sul tema: "Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?" Pasolini, nel film La rabbia, precisa subito, sulle note dell’Adagio di Albinoni e tramite la "voce narrante" di Renato Guttuso, che risponde a tali domande "senza seguire alcun filo cronologico e forse neppure logico", esponendo soltanto le sue ragioni politiche e il suo sentimento poetico. Gli avvenimenti cui fa cenno nel film sono in parte sottolineati anche da suoi testi poetici letti da Giorgio Bassani. Vi è una particolare attenzione ai problemi degli "uomini di colore", cioè a quei popoli in prevalenza del Terzo Mondo assoggettati al colonialismo, che proprio in quegli anni – anche attraverso rivolte inizialmente contrastate con violenza da quegli stessi poteri coloniali – intendevano conquistare la propria libertà ("gente di colore... / è nella speranza che la gente non ha colore... / è nella vittoria che la gente non ha colore...). Scorrono così le immagini della crisi d’Algeria e della rivolta di quel popolo contro il dominio francese ("Una crisi che ricrea la morte vuole vittime la cui vittoria è certa", commenta Pasolini); delle ribellioni delle genti del Congo, dei cubani che riscattano la loro terra da una sorta di colonialismo statunitense e la liberano dalla dittatura di Batista. In quest’ultimo "affresco", sottolineato da canzoni di lotta cubane, e mentre scorrono immagini di guerra, di morte, di disperazione, il Poeta suggerisce: "... forse solo una canzone poté dire che cos’era il combattere a Cuba... / ... forse solo una canzone poté dire che cos’era il morire a Cuba" e ribadisce: "... gente di colore / è nella vittoria che la gente non ha colore". E' messa in risalto, già all’inizio del film, anche la rivolta d’Ungheria del 1956 contro la repressione dei carri armati sovietici, simboli di quella nomenklatura grigia e ottusa che finirà per portare allo sfacelo tutte le grandi speranze della Rivoluzione. Il film prosegue mettendo in luce altre storture dei Paesi capitalistici: la guerra tra Israele ed Egitto; l’India e la rilevanza della figura di Gandhi contro un potere che letteralmente affama il popolo; il franchismo, cioè il fascismo spagnolo e le sue squallide autocelebrazioni. Non manca l’accenno critico al simbolo stesso del capitalismo di casa nostra: la Fiat ("comprare un operaio non costa nulla..."). Dall’incoronazione di Elisabetta II in Inghilterra ("una cerimonia vecchia di 2000 anni"), Pasolini trae spunto per denunciare l’imborghesimento già ampiamente in atto nelle classi sfruttate di quel Paese (quale sarà il futuro di una classe operaia che "oggi sciopera per l’ora del tè"?); mentre dalla Convention del Partito repubblicano statunitense per le primarie (da cui uscirà la candidatura a Presidente di Eisenhower) ricava alcune considerazioni sul sistema americano ("quando sarà inarrestabile il ciclo della produzione e del consumo, allora la nostra Storia sarà finita..."). Seguono spezzoni di altri cinegiornali: una esplosione atomica; Pasolini la chiama "questo irriconoscibile sole" e aggiunge che poi, dopo, "sarà preistoria". "Il sentimento della libertà ha le sue origini in visi simili", dice il Poeta, e mostra volti sorridenti di gente comune in Unione Sovietica ("mio padre ha combattuto contro lo zar e il capitalismo [...]" Chi ieri era servo della gleba, oggi è "il primo figlio istruito di una generazione che non ha avuto nulla, se non calli nelle mani e pallottole nel petto"). Più avanti, Pasolini aggiungerà: "La Rivoluzione vuole una sola guerra: quella dentro gli spiriti, che abbandonano al passato le vecchie, sanguinanti strade della Terra". Pasolini definisce il pianto dei bambini del Terzo Mondo, che patiscono la fame "un singhizzo che squassa il mondo". E la guerra, altro motivo di sofferenze soprattutto per quei bambini, "un terrore che non vuole finire nell’animo del mondo". Le pessime condizioni degli sfruttati (la classe che dà infinito valore alle sue mille lire") sono denunciate da Pasolini con brani tratti da documentari sulla tragedia di lavoratori morti in miniera. Un raggio di speranza pare accendersi nel seguire l’impresa spaziale di Juri Gagarin (che "sale nel cielo con un semplice cuore" e "ridiscende in terra fra i semplici cuori" dei suoi compagni) che afferma: "Da lassù tutti mi erano fratelli". Ma tale speranza è di breve durata, poiché il film si conclude con una serie impressionante di esplosioni nucleari che trasmettono un drammatico senso di inquietudine e di terrore.
Autore critica:
Fonte criticawww.pasolini.net
Data critica:



Critica 2:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:
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Libro da cui e' stato tratto il film
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