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Occhio che uccide (L') - Peeping Tom

Regia:Michael Powell
Vietato:14
Video:Multivision (Collection)
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Leo Marks
Sceneggiatura:Leo Marks
Fotografia:Otto Heller
Musiche:Brian Easdale, Freddie Phillips, Wally Stott
Montaggio:Noreen Ackland
Scenografia:Arthur Lawson
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Carl Boehm (Mark Lewis) , Moira Shearer (Vivian), Anna Massey (Helen Stephens), Maxine Audley (sig.ra Stephens), Brenda Bruce (Dora), Shirley Anne Field (Diane Ashley), Pamela Green (Milly), Esmond Knight (Arthur Baden)
Produzione:Anglo-Amalgamated Productions - Michael Powell (Theatre)
Distribuzione:Lab80
Origine:Gran Bretagna
Anno:1960
Durata:

109'

Trama:

Fin da bambino, Mark Lewis è vittima di bizzari esperimenti da parte del padre, uno scienziato, che vuole studiare e registrare gli effetti della paura sul sistema nervoso. Da adulto, dopo che tutti i suoi parenti sono morti, Mark lavora presso uno studio cinematografico londinese. Nello stesso tempo coltiva un terrificante hobby: ama uccidere donne mentre le riprende con una telecamere per filmare le espressioni di terrore prima di morire. Una sera Mark incontra e fa amicizia con una ragazza, Helen Stephens, che affitta una camera nella sua casa. Riuscirà Helen a redimere Mark, o sarà semplicemente un'altra delle sue vittime?

Critica 1:Cresciuto da un padre snaturato che, col pretesto della psicologia, lo terrorizzava per studiare le sue reazioni, un fotografo uccide le sue modelle per fissare sulla pellicola la loro morte. Prodotto a basso costo dallo stesso Powell, "... Peeping Tom sintetizza i legami tra orrore, pornografia, sadomasochismo, sessualità e il semplice atto del guardare e del fare il cinema" (E. Martini). Vi si porta alle estreme conseguenze la riflessione sul cinema come voyeurismo e atto di immobilizzazione della vita; la sdrammatizzazione del racconto accresce l'efficacia della dimostrazione le cui implicazioni sono multiple e tortuose come in un giuoco di specchi. Le reazioni della critica inglese andarono dallo scandalo all'indignazione; in Italia passò quasi inosservato.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:L'occhio che uccide non ha niente del poliziesco o del giallo; gli omicidi commessi dal suo protagonista, Mark Lewis, sono senza scopo, come l'arte. Lo stesso apparato di assassinii, indizi e poliziotti è del tutto secondario rispetto all'accompagnamento musciale dei piani gemelli. All'interno del meccanismo del melodramma dei giornali della domenica, qui c'è l'osservazione, piuttosto tenera, di un processo di realizzazione distruttiva. Tra i suicidi cinematografici, questo è meritato ed estatico. L'assassino riesce quasi a tradirsi quando le matite gli cadono di tasca; Michael Powell ha voluto che fossero lunghe un metro e mezzo e ha filmato la loro caduta al rallentatore, affinché l'indizio fosse perfettamente percepibile. Tanto più fantasioso della polizia, l'assassino pianifica il suo intrappolamento, lo organizza e lo dirige, e poi, gentilmente, toglie d'impaccio giudici e boia: non vuole essere toccato da nessun altro.
L'apparenza riservata e anonima di Mark Lewis è il segno della tenerezza timida che egli prova per se stesso. Chi ci ha messo in testa l'idea della tenerezza? Lo stesso Michael Powell («È un film molto tenero, molto carino»), entrando sornionamente nella polemica, come un mago che aggiunga cherry a una pozione.
L'occhio che uccide è intricato, fastidioso e disequilibrato come un home movie. Mark Lewis è uno spettatore appassionato che raggiunge il punto di crisi dell'urgenza di essere visto. È la sola strada per affermare la propria esistenza e la propria personalità, ed è molto più pressante della fantasiosa psicosi di cui si suppone sia vittima. Mark è un artista; e, agli occhi di Powell, questa gloria autodistruttiva adombra qualsiasi problema di malattia o salute.
Mark Lewis è un estremista romantico che si diverte a sembrare modesto e tedioso. La sua arte deve rimanere sconosciuta e invisibile, se Mark vuole continuare a produrla. Ma il suo furtivo regime dell'arte per l'arte è spezzato dallo sboccio di Mark dalla propria crisalide. Le sue ali sono il suo spettacolo cinematografico. Ma è una esibizione talmente conclusiva e rivelatoria, talmente indotta dall'urgenza di essere riconosciuta, che non possiamo non intravvedere uno svelamento personale (non importa quanto
furtivamente indiretto) del suo autore. Proprio come un «peeping tom» deve restare clandestino, così anche il ritratto offerto in Peeping Tom è fastidiosamente obliquo. L'ultima cosa che vuole è essere compreso: l'artista romantico preferisce rimanere misterioso. L'identificazione del mago porta alla conferma della sua stranezza. Ci sono stati parecchi tentativi di rivalutare L'occhio che uccide dal suo originario, clamoroso fallimento londinese. Il film è stato inserito nel corpo del lavoro di Powell, identificato come una metafora del cinema e del voyeurismo; se ne è sottolineato il sardonico humor; è stato definito una grande storia d'amore, una grande tragedia, e una grande analisi delle trappole del vedere e dell'essere visti. In America, alla fine degli anni '70, il film fu picchettato dalle femministe, infastidite da una compassatezza che esse interpretarono come ostilità. Altrove, il film fu giudicato affascinante e agghiacciante; ma non è mai stato considerato un film accattivante, e il suo recupero non gli ha comunque conferito il sicuro status di capolavoro. (…)
La vita ordinaria nei film di Powell è altrettanto rara che in quelli di Hitchcock. Ma, mentre Hitchcock aspira alla sua anonimità, Powell indietreggia di fronte a ciò che essa rappresenta. La prova di questo è data dalla sua incapacità a riprendere qualsiasi cosa per se stessa, per quello che veramente è, in uno spirito documentario. Il vedere, per Powell, è sempre il mezzo per esprimere l'interiorità. Nessuno dei suoi film si limita al mondo delle apparenze. La visione è sempre un tributo alla volontà e alla nobiltà dell'immaginazione. Il vedere, dunque, è il segno di un disturbo ispirato. (…)
Autore critica:David Thomson (in)
Fonte critica:Powell & Pressburger, Bergamo film Meeting ‘86
Data critica:

1986

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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