Homicide - Homicide
Regia: | David Mamet |
Vietato: | No |
Video: | Elle U, Panarecord |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La memoria del XX secolo, Razzismo e antirazzismo |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | David Mamet |
Sceneggiatura: | David Mamet |
Fotografia: | Roger Deakins |
Musiche: | Alaric Jans |
Montaggio: | Barbara Tulliver |
Scenografia: | Michael Merritt |
Costumi: | Nan Cibula |
Effetti: | Kenny Estes |
Interpreti: | Joe Mantegna (Bob Gold), William H. Macy (Tim Sullivan), Vincent Guastaferro (Tenente Senna), Jack Wallace (Frank), J. J. Johnston (Jilly Curran), Colin Stinton (Walter B. Bells), Lionel Mark Smith (Charlie Bates), Paul Butler (Commissario Walker), Rebecca Pidgeon (Signora Klein), Natalija Nigulich (Chava), J. S. Block (Dr. Klein) |
Produzione: | Michael Hausman, Edward R. Pressman - Cinehaus |
Distribuzione: | Warner Bros. Italia |
Origine: | Usa |
Anno: | 1991 |
Durata:
| 100’
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Trama:
| Il poliziotto Bob Gold, di origini ebraiche, impegnato nell'indagine su un trafficante di droga di colore, Randolph, sfuggito ad un arresto da parte dell'Fbi, incappa nell'omicidio di una anziana negoziante ebrea. Nonostante il caso Randolph gli venga tolto, continua ad occuparsene, e convince la madre di questi che l'unica via d'uscita per il figlio sia consegnarlo alla polizia. Intanto un sicario tenta di uccidere il figlio dell'ebrea assassinata, Klein, che invita Bob ad occuparsi con maggior professionalità del caso. Egli scopre così che esistono due organizzazioni segrete, una filo nazista e l'altra sionista, che conducono una spietata guerra segreta. Un'improvvisa crisi d'identità scuote il poliziotto, che finisce per farsi coinvolgere al punto da divenire esecutore di un attentato dinamitardo ad un negozio-covo neo-nazista. Il gruppo sionista vuole da Bob una lista di nomi che egli ha consegnato come prova al Comando. Egli si rifiuta però di consegnarla, nonostante venga ricattato con le fotografie della sua azione terroristica. Durante l'agguato a Randolph il collega ed amico Tim Sullivan muore, e Bob, nella smania di vendicarlo, affronta il trafficante senza pistola: ferito due volte, rivela a Randolph che la madre lo ha tradito. Sopravvissuto, Bob ritorna alla Centrale di polizia dove gli comunicano che è stato radiato.
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Critica 1: | Sul piano strettamente cinematografico il film convince: le immagini sono plumbee, i ritmi sono così affannati che prendono alla gola. Si è convinti di meno invece, sul piano della chiarezza narrativa dove, nonostante dei dialoghi perfetti, di un realismo quasi ossessivo, predomina l'oscurità. |
Autore critica: | Gian Luigi Rondi |
Fonte critica | Il Tempo |
Data critica:
| 23/11/91
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Critica 2: | Come già l’inquietante La casa dei giochi (1987), Homicide è un viaggio notturno, un’esplorazione della parte in ombra dell’anima. David Mamet camuffa da poliziesco l’uno e l’altra, il viaggio e l’esplorazione, e tuttavia dissemina il racconto di avvertimenti e segnali. Robert Gold, detto Bob, è un ben strano poliziotto, troppo strano perché lo spettatore non sospetti qualcosa. Fin dall’inizio è come bloccato, impedito nel ruolo che lo stereotipo del genere sembrerebbe assegnargli. La sua fondina con un laccio strappato ne suggerisce l’insicurezza, pur dentro l’apparente solidità di poliziotto superdecorato. È insieme duro e vulnerabile, Bob, irruento quando si tratta di agire e smarrito quando deve decidere di sé, del senso della propria vita (bravissimo, Joe Mantegna, a renderne l’ambiguità). Il fascino dei film sta qui, nella zona d’ombra, appunto, che il protagonista pian piano lascia intravvedere. E un fascino più legato alla storia narrata che alla qualità cinematografica del racconto (che pure è di buon livello). Mamet è un inventore di intrecci, un indagatore dei meandri perturbanti delle psicologie. Al cinema e al suo specifico linguaggio in fondo non chiede molto: gli chiede solo di esprimere con efficacia ed essenzialità le sue invenzioni e le sue esplorazioni. Ma questo è più che sufficiente a renderlo autore, nel senso di autore di storie se non in quello di autore di cinema. In Homicide la storia è ambigua o doppia, come l’anima di Bob. Da un lato c’è quella che, all’inizio, il film mostra come la storia principale, con un attacco narrativo serrato che non lascia dubbi (l’irruzione dell’FBI nel covo del nero Randolph, spacciatore pluriomicida). Dall’altro c’è anche, tangenziale quasi fosse solo un elemento di disturbo, una storia secondaria (l’assassinio della vecchia signora Klein, ebrea).
Ma poi la gerarchia viene progressivamente rovesciata: la storia principale diventa secondaria e quella secondaria diventa principale. Lo stesso accade, in parallelo, a un’altra gerarchia, quella della vita di Bob, dei suoi valori quotidiani e dell’immagine che egli ha di sé. E in questo secondo rovesciamento che si mostra l’ombra, la parte notturna del personaggio. In Homicide emerge uno dei temi che da qualche tempo più ricorrono nel cinema americano: la conflittualità etnica, l’appartenenza, la riconoscibilità degli individui determinata dallo scontro fra razze e gruppi. L’ebreo Mamet racconta dell’ebreo Bob e delle sue radici dimenticate, dei vuoto che in lui ne nasce. A colmare, quel vuoto, dovrebbe essere un’altra appartenenza. Bob è poliziotto, lo è in senso forte: “è” in quanto si riconosce in quel ruolo, inserito in quel microcosmo. A radici per così dire naturali e profonde ha sostituito radici artificiali e di superficie. E le radici, naturali e artificiali, sono quel che davvero Mamet racconta e descrive nel suo film camuffato da poliziesco. Inserito nel gruppo che cerca Randolph per arrestarlo, Bob “è” poliziotto. Quando invece, da solo, cerca divenire a capo dell’assassinio della Klein, non “è” più: si smarrisce nell’ombra del passato, nel suo vuoto notturno. Dall’una all’altra dimensione Bob è condotto dal caso: per caso si occupa dell’omicidio della Klein, per caso trova un biglietto con la scritta «gnofaz» (che è però solo il mangime per piccioni «Grofatz» mal scritto). Le sue scelte non sono vere scelte: sono conseguenze necessarie del bisogno di riconoscersi in un gruppo o in un’etnia, d’avere un’appartenenza. È qui, a questo bisogno, che Mamet vuole arrivare. Il suo Bob è un uomo di confine, diviso fra una patria dimenticata e una cercata. Il caso, appunto, gli fa attraversare più volte quel confine, in una direzione e in quella opposta. E il caso, ancora, gli mostra l’inaffidabilità dell’una e dell’altra. La prima - che ha il richiamo rassicurante del sangue - lo inganna e lo usa. La seconda lo abbandona. Entrambe ne schiacciano l’individualità. E questo il vero “omicidio” del titolo? Alla fine del film nessuna delle due storie è più quella principale. Una sprofonda nella banalità di una rapina. Dell’altra Bob non è più né protagonista né coprotagonista. L’unica storia che a lui resti è quella che condivide Con Randolph, criminale braccato e tradito dalla madre. Di fronte a lui, Bob disarmato dal caso, ancora - vede chiaro in se stesso e nel suo destino di uomo di confine.
La sua preoccupazione, ora, è che non facciano del male a Randolph, all’assassino che poco prima avrebbe voluto uccidere. Sradicato, lacerato fra due patrie impossibii, Bob sente l’individuo come valore. Ma sperimenta anche a logica ferrea dell’appartenenza: gli uomini di confine vengono espulsi, condannati ad abitare lo spazio inabitabile della terra di nessuno. |
Autore critica: | Roberto Escobar |
Fonte critica: | Il Sole-24 Ore |
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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