Mia classe (La) -
Regia: | Daniele Gaglianone |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | Cecchi Gori |
Genere: | Docufiction |
Tipologia: | Diritti umani - Esclusione sociale, Il mondo della scuola - Giovani, Minoranze etniche, Razzismo e antirazzismo |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Gino Clemente, Daniele Gaglianone, Claudia Russo |
Sceneggiatura: | Gino Clemente, Daniele Gaglianone, Claudia Russo |
Fotografia: | Gherardo Gossi |
Musiche: | |
Montaggio: | Enrico Giovannone |
Scenografia: | Laura Boni |
Costumi: | Irene Amantini |
Effetti: | |
Interpreti: | Valerio Mastandrea (Maestro), Bassirou Ballde,Mamon Bhuiyan, Gregorio Cabral, Jessica Canahuire Laura, Metin Celik, Pedro Savio De Andrade, Remzi Yucel, Ahmet Gohtas, Benabdallha Oufa, Shadi Ramadan, Easther Sam Shujan Shahjalal. Lyudmyla Temchenk, Moussa Toure, Issa Tunkara, Nazim Uddin, Mahbobeh Vatankhah |
Produzione: | Gianluca Arcopinto per Axelotil Film-Kimerafilm-Relief con Rai Cinema |
Distribuzione: | Pablo Distribuzione Indipendente |
Origine: | Italia |
Anno: | 2013 |
Durata:
| 92'
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Trama:
| Roma, quartiere multietnico del Pigneto. In una scuola, un attore interpreta un professore che impartisce lezioni di italiano a una classe di stranieri, anch'essi attori. La loro condizione di extracomunitari, necessita del permesso di soggiorno, unica via per l'integrazione, unica possibilità per trovare lavoro e vivere in Italia. Mondi, culture e storie diverse si incrociano nel microcosmo della classe. Mentre si stanno girando alcune scene, lo "stop" del regista apre a qualcosa di inaspettato: la realtà prende il sopravvento sulla finzione. L´intera compagnia entra in campo; tutti diventano attori di un´unica vera storia, la storia della vita, dove ciascuno è chiamato a distinguere ciò che è recitazione e ciò che è dura realtà.
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Critica 1: | “Se mi rimandano nel mio paese, io mi faccio morto da solo”
Issa, uno dei protagonisti de La mia classe
Mentre l’Occidente, tra una crisi e l’altra, sembra sempre più impaludato nella definizione/indefinizione del concetto (e delle pratiche e dei diritti) della privacy, dal diritto all’oblio, fino a quello di non essere spiato dai governi, dagli amanti traditi (illuminante The Canyons di Paul Schrader) ecc…. quelli che aspirano a “diventare occidentali”, uomini e donne “dell’altro mondo” che rischiano la vita per arrivare nei nostri opulenti Paesi, non si pongono certo il problema, preoccupati più che altro del diritto, per usare le parole di Daniele Gaglianone, “di esistere anche solo in quanto corpi”. Corpi che rivendicano il loro diritto a scegliere una vita diversa, passando per quel confine non segnato sulla terra, ma sulle nostre labbra, dato dalla lingua.
Bassirou, Mamon, Gregorio, Jessica, Metin, Pedro, Ahmet, Benabdallha, Shadi, Easther, Lyudmyla, Moussa, Issa, Nazim, Mahbobeh, Remzi, i protagonisti del film di Gaglianone, sono tutti dei veri studenti di italiano, coinvolti nella storia di questo insegnante, interpretato e direi vissuto da Valerio Mastandrea, che è entusiasta del suo lavoro quanto restio a parlare di se e a mostrare al mondo i suoi dolori personali. Gode invece a sentire le storie di questi “aspiranti italiani”, con i loro accenti diversi, i loro drammi diversi, mentre le lacrime sembrano così simili…
Ma se oggi fare un film è “un atto di liberazione”, non è più possibile fingere, ma neppure, semplicemente, documentare. L’atto del riprendere è già di per se una finzione (con tutti quei microfoni attaccati ai corpi dei protagonisti), mentre la realtà sembra esplodere dagli occhi pieni di dolore degli allievi della classe. Ed ecco che il film, che è fatto con corpi “veri” e non fantastici replicanti da palcoscenico, a un certo punto, letteralmente, esplode di realtà. Nella finzione scade un permesso di soggiorno, nella realtà (così sembra dal film, Gaglianone non spiega)….pure! Il set diventa un “non luogo”, e lo scarto tra realtà e finzione diventa così sottile che non si può più “fingere”. Ed ecco che le macchine entrano in campo, i fonici, il regista, Mastandrea che si rivolge al tecnico del suono (“Campus!”), il film diventa il backstage di se stesso.
Dentro e fuori il confine ormai superato tra fiction e documentario, il film di Gaglianone è un viaggio di andata e ritorno tra le due anime che da sempre caratterizzano l’immagine cinematografica. E alla fine non riusciamo più a distinguere dove Shadi, Issa e gli altri sono ripresi “documentaristicamente” e dove, invece, sono parte del film di fiction. Il mondo è entrato nel film e il film è uscito nel mondo…
Difficile sostenere una struttura che mette continuamente in discussione se stessa, neanche fossimo nei film godardiani del ’68, e l’occhio sbatte con violenza tra la drammaturgia della “messa in scena” e la messa a fuoco del documentarista. Stretto tra due forme sempre più connesse di narrazione, il film di Gaglianone decide di non decidere “da che parte stare”. Ma nell’empasse teorico-pratica riesce tuttavia a cogliere nel segno, strappando ai volti dei protagonisti quei frammenti di cinema possibile, cinema/vita, come avveniva nei film di Corso Salani (che forse avrebbe amato questo film così dolcemente “impuro”), occhi stanchi di storie narrate col cuore prima ancore che con gli occhi. Il regista si “mette in gioco”, rinuncia al suo film per farne vivere uno che, di colpo, scaraventa nel passato il “cinema d’autore”, perché il cinema del XXI secolo è sì fatto di sguardi, ma soprattutto di punti di vista diversi, convergenti e divergenti. E allora anche quando Mastandrea dice a Gaglianone, guardandolo negli occhi, “Gaglia, nel film ci devi essere anche tu”, pone il problema dell’onestà dello sguardo-cinema. Solo mettendosi in campo, nel cuore dell’inquadratura, nel centro nevralgico della storia, il regista può entrare senza ipocrisie nelle lacrime della storia. E a quel punto ogni lacrima è, anche, una sua lacrima. E per una volta non ci si deve vergognare di piangere…. |
Autore critica: | |
Fonte critica | sentieriselvaggi.it |
Data critica:
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Critica 2: | «Ma allora tutto quello che stiamo facendo non serve a niente...». Valerio
Mastandrea lo dice in La mia classe e lo ripete fuori dal set. Non sempre infatti è facile impegnarsi in qualcosa che serva davvero e non sempre succede che le buone intenzioni siano premiate. In La mia classe, presentato alla Mostra di Venezia, nelle Giornate degli autori, l'attore romano interpreta un professore di una scuola di italiano per stranieri in un film dove la finzione e la vita si sono inseguite e incrociate, fino a confondersi e fondersi. Succede infatti a volte che la finzione morda il freno e tracimi dagli ordinati confini che le sono stati assegnati. (…)
«Sul set di La mia classe non è andata così bene: durante le riprese a uno degli attori non è stato rinnovato il permesso di soggiorno e non sapevamo più come fare. Poteva andare a monte anche tutto il film », racconta l'attore.
E invece...
Abbiamo continuato. Facendo entrare la realtà nella storia e filmando anche le nostre discussioni, i dubbi.
Guardando La mia classe si prova una strana sensazione, perché sembra tutto vero e al tempo stesso tutto sceneggiato. A quale delle due impressioni si deve dare credito?
Ad ambedue. Quando abbiamo iniziato il film pensavamo di raccontare una storia di integrazione. Man mano che le riprese andavano avanti, ci siamo resi conto che tutto si complicava e che anche noi, con tutte le nostre buone intenzioni, eravamo vittime di pregiudizi. Un conto è la discussione astratta, un altro la realtà che tocchi con mano. Quando lei insegna, sembra che improvvisi, che cerchi davvero di spiegare con parole sue l'italiano e le battute sembrano nate lì per lì.
E lo sono. Mi sono preparato seguendo le lezioni in alcune scuole di italiano per extracomunitari e visitando vari centri culturali. Avevamo solo un canovaccio, per il resto si improvvisava. Anche le storie che raccontano i ragazzi, i 17 studenti della classe, sono vere: sono le loro storie, il racconto di come sono arrivati nel nostro Paese. (…)
Anche per La mia classe ho immaginato il professore che interpretavo, un uomo tranquillo che cerca di non farsi coinvolgere troppo dai problemi degli altri. Non puoi neppure demonizzarlo, perché ha la sua vita, i suoi guai e quindi il diritto di proteggersi. Il mondo in cui viviamo ti fa assuefare ai disastri, a tutti capita di reagire alle notizie drammatiche tenendole distanti, giustificandoci col fatto che dobbiamo pur vivere. Un po' come il medico del pronto soccorso che dopo vent'anni di assistenza, quando gli arriva il ferito grave non si scompone e non si emoziona. Non perché non abbia cuore, ma perché altrimenti non sopravvive. Però, quando ti accorgi di stare per perdere la tua sensibilità, la tua umanità, la tua capacità di indignarne soffrire, forse devi fermarti. E chiederti: sto sbagliando qualcosa? (…)
Credevo di conoscere benissimo i problemi dell'integrazione, ma quando una persona che hai conosciuto, di cui sai la storia, con cui hai pranzato e bevuto un caffè sta per essere mandata via, allora è diverso, è un'altra cosa. Senti che qualcosa nel mondo scricchiola e ti dici che bisogna agire. Ma questo è solo un film. |
Autore critica: | Dall’intervista a Valerio Mastandrea |
Fonte critica: | Gioia |
Data critica:
| 28/9/2013
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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