Ombra del dubbio (L’) - Shadow of a Doubt
Regia: | Alfred Hitchcock |
Vietato: | No |
Video: | Cic Video, De Agostini, Gruppo Editoriale Bramante |
DVD: | Universal |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Giovani in famiglia |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da un racconto di Gordon McDonnell |
Sceneggiatura: | Thornton Wilder, Alma Reville, Sally Benson |
Fotografia: | Joseph Valentine |
Musiche: | Dimitri Tiomkin |
Montaggio: | Milton Carruth |
Scenografia: | Joseph B. Goodman |
Costumi: | Adrian e Vera West |
Effetti: | |
Interpreti: | Joseph Cotten (lo zio Charlie), Teresa Wright (la nipote Charlie), MacDonald Carey (Jack Graham), Patricia Collinge (Emma Newton), Henry Travers (Joseph Newton), Hume Croyn (Herbie Hawkins), Wallace Ford (Fred Saunders) |
Produzione: | Universal |
Distribuzione: | Cecchi Gori |
Origine: | Usa |
Anno: | 1943 |
Durata:
| 108'
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Trama:
| Charlie Cokley, un assassino di vedove, si rifugia nella tranquilla cittadina di Santa Rosa presso la famiglia della sorella Emma, sperando così di sfuggire alle ricerche della polizia. Emma è sposata con Joseph e ha tre figli, tra i quali la maggiore Charlie, una ragazza appena ventenne che adora l’omonimo zio. Poco alla volta, grazie al detective Jack Graham, la giovane si rende conto della vera identità dell’uomo e lo implora di andarsene. Questi, capendo che ormai la ragazza è l’unica che lo possa davvero incolpare, tenta per due volte di ucciderla. Poi, il giorno della partenza, la convince a salire sul treno e, quando questo parte, cerca di spingerla giù dalla piattaforma. Nella colluttazione è però l’uomo ad avere la peggio. Ai funerale di zio Charlie, la cui segreta identità non verrà pubblicamente rivelata, segue il matrimonio della nipote col detective innamorato di lei.
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Critica 1: | L’ombra del dubbio è una sorta di giallo familiare ambientato in una cittadina di provincia: la sonnolenta Santa Rosa in California. La piccola città è scandagliata nei suoi ciclici bioritmi e la sua vita scorre con estrema credibilità (del resto alcuni ruoli di una certa importanza furono assegnati a suoi veri abitanti). Com’è pressoché inevitabile, la noia vi regna sovrana e la giovane Charlie (vedi la scena della sua presentazione) non può che aspirare a un mondo dove non ci si limiti a lavorare, mangiare e dormire. Al suo sguardo ancora privo di una vera e propria identità, lo zio Charlie, uomo d’affari che vive a New York, scapolo, elegante e pieno di fascino, non può che apparire come oggetto di un desiderio ancora assai confuso. Zio e nipote si configurano come una sorta di potenziale doppio l’uno dell’altra a partire dallo stesso nome per arrivare alla duplice presentazione che li mostra entrambi stesi su un letto a pensare. È come se la nipote vivesse ancora in una fase precedente a quella dello specchio. È come se nel suo percorso di crescita e formazione di un’identità dovesse innanzitutto trovare la forza di staccarsi dall’immagine dell’adulto per stabilire la propria autonomia. Il film è proprio la storia di questo processo che dovrà passare dal desiderio fisico – non è assente neanche l’ombra dell’incesto – all’ammirazione, al sospetto, alla repulsione, al rifiuto. Un rifiuto radicale che porterà all’espulsione dell’oggetto amato, addirittura alla sua (per quanto involontaria) uccisione. Non a caso, a proposito di questo film, da lui il suo più amato, Hitchcock amava sempre citare la celeberrima frase di Oscar Wilde: «Si uccide ciò che si ama». Solo così Charlie riuscirà a liberarsi della propria adolescenza e, finalmente, a vivere un'altra storia d’amore, questa volta concreta (a cui tuttavia Hitchcock riserva davvero poco spazio). Una storia così possibile da sfociare in un rapido matrimonio che segue immediatamente la scena delle esequie dello zio (difficile immaginare un maggior contrasto ma anche un’altrettanto evidente consequenzialità fra i due fatti).
In una celebre analisi del film, Truffaut nota quanto il tema del doppio che lega i due protagonisti si riverberi su tutta l’opera attraverso una serie di cadenze narrative basate sulla cifra due: tra esse le due visite dei due poliziotti ai Newton, i due tentativi d’assassinio in casa, le due scene nella stazioncina ferroviaria, l’esistenza di due indiziati, uno a Ovest e l’altro a Est, e, ovviamente, i due nomi identici di entrambi i protagonisti. Per non dire poi dell’ampio uso di ombre che a loro volta raddoppiano gli stessi personaggi sottolineandone la duplicità: si pensi in particolare a quella straordinaria inquadratura in cui lo zio realizza di dover uccidere la nipote, si volta dall’alto e vede la ragazza ferma, davanti alla porta, con un enorme ombra che si staglia dinnanzi ai suoi piedi. |
Autore critica: | Dario Tomasi |
Fonte critica | Aiace Torino |
Data critica:
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Critica 2: | Realizzato quasi interamente nella sonnolenta cittadina di Santa Rosa, in California, dove è ambientata la storia, L'ombra del dubbio costruisce il suo lineare itinerario sul tema dell'«identità» (l'ombra) e su quello del «doppio» (il dubbio). Se il pubblico è ben presto al corrente di ciò che i personaggi non sanno, il regista gioca sul climax della simulazione: le ombre dello zio Charlie riflettono, evidentemente, profili diversi secondo la prospettiva di ciascun osservatore e l'interesse morboso che prova per lui la nipote è ambiguamente chiaroscurato tra il desiderio fisico, l'ammirazione, il sospetto e la repulsione da paura. Il realismo della ricostruzione (una piccola città scandagliata nei suoi ciclici bioritmi) è tanto più riuscito, quanto più il Male riesce ad occultarvisi: lo dimostra l'ironica sequenza in cui dei paesani discutono su come commettere un delitto mentre al loro tavolo siede, a loro insaputa, un vero assassino. L'analisi non concerne un enigma indecifrabile, ma l'indecifrabilità delle azioni umane, sospese - a dispetto del libero arbitrio - sul caos emotivo-esistenziale, così nelle lande esotiche o romanzesche come tra le pareti di tranquille mura domestiche. Rendendo praticamente impossibile qualsiasi identificazione (morale, scientifica, sociale, criminale), il film suggerisce poi il suo leitmotiv più incalzante: la duplicità quasi «a rima baciata» della costruzione.
François Truffaut, in uno «storico» saggio pubblicato sui «Cahiers du Cinéma» dell'ottobre'54, individuava quattordici cadenze narrative del film bilanciate sulla cifra 2: ma basterà ricordare l'identica presentazione dei protagonisti (Charlie-zio, Charlie-nipote), le due visite dei due poliziotti in casa Newton, i due tentativi d'assassinio, le due scene (prologo ed epilogo) ambientate nella stazioncina ferroviaria e l'esistenza di due indiziati, uno a Ovest e l'altro ad Est, per riconoscere a Hitchcock una superiore capacità di combinazione narrativa. Se la sua messa in pagina è decisamente monolitica (la vita di Santa Rosa scorre con estrema credibilità, molti ruoli importanti furono assegnati a veri cittadini «presi dalla strada»), la story in senso stretto tende piuttosto ad essere pluralistica, una serie ininterrotta di tunnel drammatici, scorrimenti tematici, corrispondenze logiche e ponti levatoi intuitivi. Si è detto che in Hitchcock le scene d'omicidio sono girate come se fossero scene d'amore e le scene d'amore come se fossero scene d'omicidio: ebbene, nella chiesa di Santa Rosa si celebrano - a distanza di pochi fotogrammi - le esequie di zio Charlie e le nozze tra la nipote Charlie ed il detective Jack Graham. Quanto al dubbio, è chiaro che la specularità ossessiva di tutte le situazioni non fa che orientarlo verso un'accezione scettica e sistematica (impossibilità di una conoscenza oggettiva) piuttosto che verso la proposizione cartesiana (sospensione volontaria del giudizio al fine di ricercare la verità).
Certamente importante fu l'influsso di Thornton Wilder (la cui commedia fondamentale si chiama, appunto, Piccola città) che collaborò per un congruo periodo alla sceneggiatura, installato nel famoso studiolo del regista all'Universal. Wilder scrisse le ultime pagine in treno, mentre andava ad arruolarsi volontario nel reparto di guerra psicologica dell'esercito, ed il lavoro a quattro mani con Hitchcock rimase un'esperienza insolita nel complesso della sua attività. Il suo blend omologante fantasie e verità oggettiva, stranezze e normalità quotidiana, emerge nei passaggi descrittivi del film; ma anche nelle sottili sensibilità angosciose che testimoniano di una proiezione extratemporale allegorica: il microcosmo della comunità californiana allude ovviamente ad una «visione del mondo» vagamente spiritualistica. Per la stessa ragione, la colpevolezza di zio Charlie finisce col sembrare relativa allo spettatore intrigato dal vortice investigativo: «morale aperta» e «morale chiusa» del racconto poliziesco si scontrano così in una prospettiva di tonalità particolarmente incerta.
Altra caratteristica entusiasmante de L'ombra del dubbio è una qualità rarefatta del dialogo, intrecciato sapientemente fra mezzitoni, frasi interrotte, interiezioni e sovrapposizioni colloquiali. L'originalità di Hitchcock alterna le «osservazioni» del narratore e dei protagonisti, le visioni oggettive e soggettive s'incrociano come nella rotazione tipica di un Orson Welles (e di un Flaubert), ricorrendo ad artifizi stilistici meditati e consapevoli: uno spostarsi dello sguardo di zio Charlie, l'alternanza dell'effetto di lontananza e di distacco (l'illimitato visto dal circoscritto), le inquadrature «orientate» o delimitate da finestre e davanzali.
in un'ideale antologia dei brani indimenticabili figurano senz'altro la scena della festa (in cui si balla al suono del «valzer della vedova allegra»), quella della nipote Charlie intenta a cercare in biblioteca l'articolo ritagliato dallo zio (il volto scosso della ragazza-stacco-la colonna del giornale intitolata «Dov'è l'assassino della vedova allegra»-incipit del valzer) ed il terribile flash dello zio che - salendo al secondo piano della casa - prima passa davanti alla nipote, e poi si volta all'improvviso accorgendosi che lei lo sta osservando dal fondo delle scale. È l'equivalente di un terremoto emotivo, di una scena madre, di uno shock plateale, se si pensa che entrambi i personaggi occultavano le proprie carte sotto il velo della spensieratezza e della disinvoltura: eppure il filo della menzogna si recide in questo fulmineo istante di segreto terrore. Il fascino dell'ellissi ha ispirato a numerosi studiosi l'idea del definitivo scambio perverso: lo sguardo innocente (e desiderante) della donna brucia quello colpevole (e desiderato) dell'uomo, lo danna, lo attrae nell'inedita e «rovesciata» traiettoria della vittima. Per la predestinata, ci sarà il matrimonio-happy end, mentre per l'eroe negativo è in agguato una morte paradossalmente liberatrice (nessuno conoscerà la sua infamia).
I due Charlie sono finalmente un tutt'uno, la difficile poesia del discorso indiretto rinuncia al sottinteso, la macchina da presa assedia e circonda le cadenze finali. La contraddizione fra tranquillità della vita in provincia e sofferenza intima dei protagonisti esplode in maniera patologica: e qui, davvero, per Hitchcock si pareggiano morte atroce sui binari e connubio nuziale. Jack Graham sposa una superstite, una «vedova»... Basterebbe un «c'era una volta» per ricominciare il girotondo della precarietà e del rischio.
La suspense ha bisogno, ad un tempo, di attori concretissimi e di fantasmi: un viaggio nell'universo hitchcockiano costa caro ai monodimensionali, perché li espone a spiazzamenti continui tra iperrealismo ed onirismi sfrenati. L'ombra del dubbio è anche il film di Joseph Cotten e Teresa Wright, che appaiono ai rispettivi vertici espressivi: del primo resta impresso il «côté» freddo e cinico, un guizzo di ironia aristocratica nelle pupille che inquina il viso fine e le movenze distinte; della seconda, il virgineo erotismo, una centrifuga spericolatezza sensuale che pure si comprime nelle fattezze di esemplare aplomb puritano. Cotten e la Wright s'inscrivono nella superba galleria di Sir Alfred, come «divi» ma soprattutto come idee di esteticità cinematografica: i due Charlie che s'inseguono nei corridoi profumati alla torta di mele restano due insostituibili Arcangeli dell'epos americano. |
Autore critica: | Natalino Bruzzone, Valerio Caprara |
Fonte critica: | I film di Alfred Hitchcock, Gremese Editore |
Data critica:
| 1982
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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