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Gostanza da Libbiano -

Regia:Paolo Benvenuti
Vietato:No
Video:S. Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La condizione femminile, Le diversità
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Stefano Bacci, Paolo Benvenuti, Mario Cereghino
Sceneggiatura:Paolo Benvenuti, Stefano Bacci, Mario Cereghino
Fotografia:Aldo Di Marcantonio
Musiche:
Montaggio:César Meneghetti
Scenografia:Paolo Barbi, Paola Peraro, Paolo Fischer
Costumi:Marta Scarlatti
Effetti:
Interpreti:Lucia Poli (Gostanza da Libbiano), Renzo Cerrato (Padre Costacciaro), Lele Biagi (Notaio Viviani),
Teresa Soldaini (Dianora), Valentino Davanzati (Monsignor Roffia), Paolo Spaziani (Padre Porcacchi), Nadia Capocchini (Monna Lisabetta)
Produzione:Giovanni Carratori per Arsenali Medicei Srl
Distribuzione:Lab80
Origine:Italia
Anno:2000
Durata:

92'

Trama:

San Miniato al Tedesco, Granducato di Toscana, novembre 1594. Gostanza da Libbiano, contadina di sessanta anni che da sempre esercita il mestiere di levatrice e di filatrice, mette in allarme le autorità ecclesiastiche locali per certe voci che parlano della sua capacità di "misurare i panni ai malati per conoscerne i mali". In seguito ad alcune denunce anonime, e per ordine del vescovo di Lucca, la donna viene arrestata con l'accusa di stregoneria. A due vicari, mons. Tommaso Roffia e p. Mario Porcacchi, è affidato il compito di dare il via agli interrogatori. Le domande sono insistenti e circostanziate: ogni volta che Gostanza si proclama innocente, le accuse sono ripetute con maggiore insistenza e violenza. Di fronte al disegno di farle confessare le più nefande pratiche diaboliche, Gostanza cambia atteggiamento: comincia ad inventare storie che dice di avere vissuto, persone che afferma di avere incontrato, il tutto in un succedersi di impressionanti fantasie. Così Gostanza ha parlato con il Demonio, ha viaggiato nella città del Diavolo, ha conosciuto pratiche animalesche, vampirismi, malie. Quando la condanna a morte appare inevitabile, arriva da Firenze p. Dionigi Costacciaro, l'inquisitore che vuole ascoltare di persona quegli inquietanti racconti. Quindi viene emessa la sentenza. Gostanza è condannata a restare per un limitato numero di anni in esilio fuori dal perimetro della città.

Critica 1:Gostanza da Libbiano' è un tentativo coraggioso di 'non cinema' con inquadrature opprimenti, grate alle finestre che dilatano ancora di più solitudini e follie di personaggi incatenati ed incancreniti da ruoli istituzionali che non permettono di vedere e pensare oltre; lunghi monologhi in interni, girati con pochi stacchi, che condensano l'eterno conflitto tra società e fede, presente e futuro, misoginia ed ordine e le coniugano alle superstizioni degli stolti ed alle fantasie popolari che arricchivano di mostri ogni dettaglio. Benvenuti, poco convincente quando recita con troppa convinzione il ruolo dell'artista boicottato ed osteggiato dalla Chiesa, annota con misura sul taccuino le contraddizioni e le aberrazioni che indicavano nelle donne e negli ebrei identità culturali da isolare, analizzare e normalizzare con sospetto.
Autore critica:Domenico Barone
Fonte criticaVivilcinema
Data critica:

7-8/ 2000

Critica 2:Volete fare una deviazione dalle parti del cinema allo stato puro, pensato inquadratura per inquadratura, messo in scena con la consapevolezza e il gusto per la bellezza e la passione? Gostanza da Libbiano, quarto lungometraggio di Paolo Benvenuti, Gran Premio Speciale della Giuria di Locarno, è quel che ci vuole. Ultimo atto di una trilogia sul potere con Il bacio di Giuda e Confrontorio, il film si rifà ai documenti di un processo ad una strega, tenutosi a San Miniato, vicino a Pisa nel 1594. Il potere ecclesiastico ha il volto di due inquisitori all’antica che vorrebbero mandare la donna sul rogo e amen, e di un terzo inquisitore sottile e moderno, padre Costacciaro, che sei anno dopo processerà Giordano Bruno e che vuole invece negare alla donna ogni identità, soprattutto quella, pericolosa, di strega, indice di femminilità eversiva, sessualmente provocatoria. Una battaglia tra libertà e paura, cento inquadrature lavorate una per una, un film altro dal cinema consueto, una donna strega che confessa e ti tramortisce, un viaggio nella stregoneria che è una discesa dentro se stessi. Lucia Poli straordinaria. E un Benvenuti che non sfigura nel confronto con un grande, il Dreyer di Dies Irae, del cinema stregonesco, con o senza rogo.
Autore critica:Bruno Fornara
Fonte critica:Film TV
Data critica:

27/5/2001

Critica 3:"E andammo via con il vento in lontani paesi... alla casa del diavolo". Così, nel 1594, Monna Gostanza da Libbiano (una grande Lucia Poli) dice ai suoi accusatori, agli occhiuti difensori della fede che la tormentano per cavarle fuori la "verità". Impegno tanto forte, questo dei santi inquisitori, che lo si deve intendere alla lettera. Gliela cavan fuori dalle membra, appunto, quella verità. Le legano le mani dietro la schiena, a un capo d'una fune che scende dal soffitto, e la tiran su, lasciandola a penzolare. Poi, quando la "strega" si dichiara vinta, la calano sul pavimento, dove il boia con un colpo secco le riaggiusta le articolazioni delle spalle. Di quel suo gesto atroce a noi, in platea, giunge il crepitio, breve e secco come l'urlo di Gostanza. Tuttavia, non è questa la violenza più terribile raccontata in Gostanza da Libbiano (Italia, 2000, 90'). Ben più impietosa è quella che alla sua anima fanno gli "amorevoli" persecutori: prima il Reverendo Messer Tommaso Roffia (Valentino Davanzati) e l'inquisitore vicario Padre Mario Porcacchi da Castiglione (Paolo Spaziani ), poi anche Padre Dionigi da Costacciaro, inquisitore generale (Renzo Cerrato). A loro con penna d'oca e calmaio e senza un fremito d'orrore, presta i suoi servigi ser Vincenzo Viviani, notaio fiorentino (Lele Biagi). Alla sua solerzia puntigliosa e glaciale si deve se ora Paolo Benvenuti può affidare i dialoghi del suo film a un "copione" ufficiale, esso stesso puntiglioso e glaciale, percorso da espressioni ormai desuete, che anche per questo hanno una sonorità inquietante. In un bianco e nero intenso, Gostanza e i suoi carnefici si fronteggiano per quasi tutto il film. Nonostante la sua solitudine inerme, nonostante l'abbandono cui è condannata dal suo ruolo di donna e di strega, lei sta loro "di fronte", appunto, reggendone lo sguardo e la prepotenza. Il dolore fisico vince più d'una volta la sua coscienza, ma sempre le riesce di capovolgere la sconfitta in un attacco, in un'affermazione impossibile di dignità e autonomia. Ogni sua frase, ogni oggetto della sua vita, ogni sua azione e affetto, tutto agli occhi degli inquisitori vale come prova del suo crimine, della sua complicità con il Nemico. Non c'è scampo per la vecchia levatrice, per la guaritrice che allevia con erbe e oli le sofferenze dei contadini. Per quanto dica - che sia veritiera o che menta -, sempre i persecutori ne traggono conferme di colpevolezza. Questa è la violenza più radicale: quest'impossibilità di prender davvero la parola, di esser parte nel giudizio, e non solo pretesto processuale, vittima designata. Gostanza è povera ed è donna: in lei si sommano due marginalità, due potenziali mostruosità. Inoltre è levatrice. Dunque, sia sul limite della vita, alla soglia dell'essere, in un luogo ambiguo e di confine, colmo di possibilità d'angoscia, di prodigio e di spavento. Insomma, è una di quegli infelici che in ogni tempo e in ogni luogo, seppur in modi diversi, sono esposti alla violenza e all'odio. La loro persecuzione e il loro dolore sono rimedi antichi, arcaiche vie di fuga dalle paure diffuse, dalle ansie individuali e sociali, dalle insicurezze dei potenti, e più in genere dallo spaesamento e dalla fatica del dubbio. Che cosa può fare, la vittima inerme, fisicamente e moralmente nuda, abbandonata ai suoi aguzzini? La regia di Benvenuti e la grandezza d'attrice di Lucia Poli trovano qui risposte emozionanti. Una prima volta, con le ossa doloranti, Gostanza guarda dritta negli occhi del Reverendo Roffia e del Padre Porcacchi. Il suo sguardo non è d'una povera vecchia vinta, ma d'una donna in rivolta. Sono una strega, afferma con orgoglio, ho fatto "malie" mortali, e voi stessi ne subirete danno. Il ruolo che le è imposto si capovolge da negativo in attivo: la vittima, la marginale, la strega si ribella, si "solleva" in quanto vittima, marginale, strega. Poi, dopo altra solitudine e sconfinato terrore, richieste di pietà e tentativi di resa, di nuovo non le resta che quel capovolgimento. Con occhi colmi di un'ultima, estrema felicità, Gostanza racconta e vive il suo rapporto con il Nemico. Non c'è altro modo, per lei, di fingersi e anzi d'essere "via nel vento". Il suo ruolo di donna e di strega non è più la sua prigione: almeno nell'attimo in cui i suoi occhi risplendono, è la sua libertà. La manderanno assolta, i persecutori (ma per sempre sarà spiata, controllata). Se non lo facessero, se non proclamassero ce Gostonza mente, dovrebbero riconoscere la verità profonda della sua felicità e libertà. Ben altra, infatti è la verità del loro Nemico di quello che si son costruiti a immagine e somiglianza.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Sole 24 Ore
Data critica:

11/3/2001

Libro da cui e' stato tratto il film
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