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Zatoichi - Zatoichi

Regia:Takeshi Kitano
Vietato:No
Video:General
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto da un racconto di Kan Shimozawa
Sceneggiatura:Takeshi Kitano
Fotografia:Katsumi Yanagishima
Musiche:Keiichi Suzuki
Montaggio:Takeshi Kitano, Yoshinori Oota
Scenografia:Norihiro Isoda
Costumi:Yohji Yamamoto
Effetti:
Interpreti:Takeshi Kitano (Zatoichi), Tadanobu Asano (Hattori), Michiyo Oguso (Zia Oume), Yui Natsukawa (moglie di Hattori), Guadalcanal Taka (Shinkichi), Daigoro Tachibana (Osei, la geisha), Yuko Daike (Okinu, la geisha), Ittoku Kishibe (Ginzo), Saburo Ishikura (Ogi)
Produzione:Bandai Visual - Tokyo Fm – Dentsu - Tv Asahi - Saito Entertainment - Office Kitano
Distribuzione:Mikado
Origine:Giappone
Anno:2003
Durata:

116’

Trama:

Zatoichi è un vagabondo cieco, che si guadagna da vivere col gioco d'azzardo e con i massaggi. Ma Zatoichi è anche un maestro della spada, capace di colpi imprevisti e stoccate di infinita precisione. Giunto in una città governata da spietati clan, Zatoichi dovrà confrontarsi con due misteriose geishe che vendicano la morte dei propri genitori.

Critica 1:Due film di samurai circolano in contemporanea per i nostri schermi. L'uno, americano - Kill Bill di Tarantino - è un omaggio al cinema giapponese; l'altro, nipponico, è un tributo a quello americano. Magari suona un po' assurdo, eppure i risultati sono straordinari in entrambi i casi. Con Zatoichi (gran premio per la regia a Venezia), Kitano richiama in servizio un eroe mitico del cinema del Sol Levante anni 60, interpretato da uno stesso attore (Shintaro Katsu) in un centinaio tra film e telefilm. Lui stesso il personaggio del titolo, giocatore professionista e massaggiatore cieco ma capace di fare in mille pezzi i sette samurai con cinque colpi di spada. La traccia narrativa ricalca, a grandi linee, quella di Joijmbo di Akira Kurosawa, ripresa da Sergio Leone in Per un pugno di dollari - un impassibile giustiziere libera un villaggio dalla tirannia di due bande rivali - sommandovi la "second story" di una coppia di (presunte)geishe, animate da propositi di vendetta. Takeshi s'ispira largamente a Clint Eastwood nel prototipo dello spaghetti western: non è un crociato, ma un individualista scettico che, alla fine, prende la parte delle vittime. Vi aggiunge, di proprio, una dimensione tragicomica inedita non tanto per il genere (il film di spada giapponese include componenti burlesche), quanto per il suo protagonista e spolvera su tutto un senso di leggerezza che fa di Zatoichi un film di raro divertimento, ad onta dei pezzi d'anatomia affettati e delle arterie che spruzzano getti di sangue come fossero geyser. Basti dire che dal repertorio del cinema di samurai, riletto con la libertà più disinvolta, fanno spesso capolino la situazione surreale, la gag, la farsa (il "sumo" che corre intorno alla casa lanciando grida) alla Monty Python. A tratti s'affaccia alla memoria l'insuperato John Ford (di cui c'è almeno una citazione diretta: la ricostruzione della casa della vedova), per come il film amalgama l'epica con il comico, la cura formale col gusto della narrazione. Quanto a "Beat" Kitano, nella parte del Massaggiatore sembra un John Wayne più stoico e molto più ironico, dando forma a un cavaliere errante - sorriso enigmatico, capelli tinti di biondo, sciabola rosso sangue - che entra di prepotenza nel pantheon degli strani eroi del cinema postmoderno. Non bastasse, il regista chiude su un epilogo in forma di musical, una gioiosa danza macabra che fa(letteralmente) resuscitare i morti. I più rigorosi lo accusano di cedimenti al gusto occidentale: ma, a suo tempo, non si disse lo stesso di Kurosawa?
Autore critica:Roberto Nepoti
Fonte criticala Repubblica
Data critica:

16/11/2003

Critica 2:Come un massacro senza fine o la prima pagina di un quotidiano, Zatoichi di Takeshi Kitano, balletto di sangue, consiste in una serie di scontri letali: gente sventrata, decapitata o tagliata in due, macelli in cui il protagonista ammazza da solo anche sette avversari, fontane di sangue, mulinare velocissimo di spade, mucchi di cadaveri. Ogni tanto, gli intermezzi comici prediletti dal cinema popolare giapponese. La pioggia forte, continua. L'apparizione di due bellissime geishe vendicatrici. Un'immagine alla Jean Cocteau: il cieco con occhi spalancati dipinti sulle palpebre chiuse. Takeshi Kitano, narratore della criminalità giapponese contemporanea in film malinconici molto belli, a quasi sessant'anni realizza il suo primo film in costume, la storia ottocentesca di un massaggiatore cieco, platinato, gran giocatore d'azzardo e giramondo, gran maestro di lama con la sua arma onnipotente occultata in un bastone di bambù laccato di rosso. Zatoichi, arrivato in una piccola città di montagna terrorizzata dalle prepotenze di una banda di estorsori in lotta con una banda rivale, sconfigge le carogne e autorizza ogni sospetto sulla cecità: se le palpebre serrate, la testa china, fossero un trucco per moltiplicare la propria pericolosità? Il Personaggio è uno degli eroi più famosi del dramma storico giapponese; almeno sino al 1989, le sue imprese e avventure hanno popolato in Giappone il cinema e la televisione. Kitano lo ha mutato dandogli l'invincibilità, i capelli biondissimi, l'arma rosso sangue, l'indifferenza verso le vittime ma la spietatezza verso i carnefici. Ha usato la computer graphica non tanto per accelerare il ritmo o per moltiplicare la straordinarietà degli scontri, quanto per mostrare in dettaglio i tagli delle ferite, le mutilazioni, le piaghe, gli arti amputati. La maestria di Kitano è grande, il bellissimo Zatoichi esprime la mescolanza dei generi, il disordine glamour e il dinamismo crudele che nel mondo sono alla base della cultura del Duemila.
Autore critica:Lietta Tornabuoni
Fonte critica:La Stampa
Data critica:

15/11/2003

Critica 3:
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