Confortorio -
Regia: | Paolo Benvenuti |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Decentrata Rosta Nuova, visionabile solo in sede |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Diritti umani - Pena di morte |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da una ricerca storica di Simona For |
Sceneggiatura: | Paolo Benvenuti, Giuseppe Cordoni, Gianni Lazzaro, Simona For |
Fotografia: | Aldo Dimarcantonio |
Musiche: | |
Montaggio: | Mario Benvenuti |
Scenografia: | Paolo Barbi |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Emanuele Carucci Viterbi, Adriano Jurissevich, Gianni Lazzaro, Dario Marconcini, Franco Pistoni, Emidio Simini |
Produzione: | Andrea de Gioia per la Arsenali Medicei - Raitre |
Distribuzione: | Lab80 |
Origine: | Italia |
Anno: | 1992 |
Durata:
| 85'
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Trama:
| Storia vera di due ragazzi ebrei, condannati a morte per furto nella Roma pontificia del '700, che lottano per non accettare l'imposizione di una conversione all'ultimo minuto.
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Critica 1: | Nel 1736 a Roma, sotto il pontificato di Clemente XII, due giovani popolani, rei confessi di furto con scasso, sono condannati all'impiccagione. Poiché sono giudei, si mette in moto la "macchina della Pietà": esperti della predicazione e della catechesi cercano di ottenere la loro conversione per salvargli l'anima, ma i due poveri cristi, analfabeti e ladri, trovano dentro di sé il significato di un'identità religiosa e culturale dimenticata e muoiono "ebrei ostinati come vissero". Secondo film di P. Benvenuti (1946), è un dramma di forte suggestione claustrofobica e di ammirevole compattezza drammaturgica, sostenuta da una fotografia ispirata alla pittura fiamminga e caravaggesca. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Inquadrare comporta una scelta. L'immagine ne è il frutto. Paolo Benvenuti ha grande cura delle immagini. Immagini che non pretendono un valore estetico autonomo. Egli mira piuttosto a integrarne l'espressività in un insieme di cui sono la manifestazione privilegiata. Da questo presupposto si può già inferire la cura posta al lavoro e conduce alla loro formazione. Lavoro le cui modalità rivelano una soluzione di continuità che, da un'applicazione strettamente tecnica, attraverso l'atto delle riprese, ci fa risalire all'idea stessa di progetto filmico.
Si potrebbe dire, allora, che ciò che appare e che conduce alla percezione di una incontestabile "cura delle immagini" è, in realtà, una forma di rispetto nei confronti di ciò che richiede sì capacità e conoscenze tecniche, ma prima di tutto una consapevolezza precisa del proprio ruolo, del valore di scelte proprie, dell'eventualità che possano senz'altro essere sbagliate, ma personali, non imposte, e dunque autorialmente e artisticamente giuste.
Parlando di "rispetto", insomma, si intende quell'atteggiamento così raro e cosi ineluttabilmente legato al rigore espressivo, rivelatore di una forma mentale che estende questo atteggiamento non solo a tutto ciò che è espresso, ma anche a tutto ciò che è interiorizzato, non finalizzato a una qualsiasi forma di esteriorizzazione. Il modo di vivere, il modo di pensare, essendo intimamente legato a modalità di fare un cinema autonomo, indipendente, che si traduce nell'assumersi i rischi di un cinema fatto per pochi, per un pubblico scelto, che si vuole scegliere. Un cinema che non abbia la presunzione né la debolezza di volere piacere a tutti (per godere della possibilità tecnica di essere visto da tutti) ma l'onestà di selezionare il pubblico.
Poi, si sa, le leggi del mercato vogliono imporre la propria parola sulla singola voce che si leva al di sopra di una diffusa omogeneità al cui interno cogliere esempi, spacciati, a seconda dei casi, come film d'essai, di cassetta o altro. Al mercato (per chi ci crede) spetta l'ultima parola. Ad esso è dovuto l'incarico di etichettare il film, di renderlo (di dichiararlo, tramite il filtro censorio della distribuzione) visibile o invisibile, di provocare la selezione del pubblico (grazie alla utilità delle categorie e di circuiti standardizzati). Opere come questa, a ben vedere, sanno anche mettere in evidenza la meschinità di tutto ciò.
La selezione perseguita da Benvenuti, va precisato, non possiede nulla di aristocratico. Rispettare il proprio lavoro e tutto ciò che lo permette, vuole dire non solo cercare di ottenere il meglio, ma anche rispettare se stessi. Le idee possono sorgere in qualsiasi momento, ma l'idea diventa progetto di lavoro, impegno di lavoro, quando è fecondata dal dubbio, da una crisi che muove la ricerca. Fare film è un modo, per Benvenuti, di verificare questa crisi in cui vicende umane altrui toccano la propria sensibilità le proprie certezze, la propria cultura, in cui un'altra Storia si avvicina alla nostra.
In più dimostra di avere un minuzioso controllo sul film, che impedisce l'inverso, cioè il travaso di proprie vicende all'interno del film.
L'attenzione che egli ha nei confronti della composizione figurativa delle singole inquadrature non è che l'altra faccia di quello studio dedicato all'argomento di cui si parla nel film. Tuttavia ciò non può farei passare sotto silenzio una qualità registica propriamente cinematografica che sa fare integrare l'immagine in un flusso temporale che ogni film ha il dovere di rivelare.
L'approfondimento tematico e storico si riversa nello studio di una appropriata resa narrativa e figurativa. Si impone il presupposto di fornire il documento storico (dotato di una propria unità interna e di una puntigliosa sequenzialità dei fatti) di una misura drammaturgica e una trasfigurazione cinematografica in cui la sequenza delle immagini e la loro elaborazione, effettuata tenendo presenti le caratteristiche pittoriche peculiari di quel periodo storico (il Settecento) a Roma, perseguano la resa di una precisa scansione temporale e il senso di un precipitare degli eventi, contrastato da un rallentamento dovuto al prendere forma di una coscienza dei personaggi al di là di ogni previsione.
Questa caratteristica è ciò che lega Confortorio al precedente Il bacio di Giuda. Si tratta di un percorso in cui elementi storici, una volta vissuti dai personaggi, ne stimolano i meccanismi psicologici fino a che il personaggio, nella propria individuaIità, reagisce accettando il proprio ruolo a causa di una eccessiva lungimiranza (Giuda) o di uno scarto rispetto a ciò che gli viene imposto.
Si hanno due movimenti (intesi in senso musicale) diversi e simultanei. Uno è dovuto a una temporalità se non rigida certamente definibile, che corre velocemente verso la propria fine. L'altro al tentativo umano di rallentare, attraverso uno sforzo intellettuale, il sopraggiungere di questa fine da cui la propria vita si scopre strettamente dipendente.
Il rapporto tra testo filmico e documento storico è dunque mediato dall'invenzione tutta drammaturgica della psicologia dei personaggi di una consapevolezza (intellettuale o meno) che si va formando sotto i nostri occhi.
Si percepisce immediatamente la presenza di un inusuale senso dell'immagine attraverso cui le forme vengono come scolpite nel brillante rapporto tra luce e oscurità. In realtà si potrebbe dire più giustamente tra colore e nero. Colori che obbediscono a una omogeneità, che sembrano non avere bisogno di alcuna fonte luminosa per manifestarsi.
Composizione di forme e di tonalità. Densità e saturazione di oscurità e di figure essenziali: questa è la visualizzazione del mondo che racconta questa Storia.
Benvenuti compie artigianalmente il suo percorso per ottenere luci e colori non standardizzati. Il suo procedimento di lavoro va ben oltre a disposizione profilmica delle fonti luminose e dei metodi di sfruttamento ad esse connesse. Egli cerca anche di trarre vantaggio da tutto ciò che possono offrirgli le caratteristiche proprie di un determinato tipo di pellicola. Egli presta un'attenzione certosina al particolari, sia sul set, sia fuori dal set, in ciò che precede e in ciò che segue le riprese. In tutto questo si può riconoscere la pignoleria di chi è veramente, senza compromessi, innamorato del cinema come forma d'arte, e forse, piu ancora, come necessità.
Si tratta di una disposizione d'animo che produce il dovere di cercare una propria strada, la consapevolezza di proprie scelte e di motivazioni vagliate accuratamente, rapportando intenti espressivi al testo che è servito come base per la realizzazione di Confortorio.
Vedendo Confortorio si è consapevoli di una originale qualità dell'immagine. Non una qualità standardizzata, e dunque definita e imposta, non accettata supinamente, ma cercata, perseguita, modellata attorno alla propria idea. Un'immagine nuova, e perciò fragile e potente, che rivela un'energia e una vitalità che proprio mentre vediamo il film sta ancora fermentando, come una roccia vulcanica la cui forma, prima di fissarsi definitivamente possa ancora sgretolarsi o deformarsi, anche se nulla potrà renderlo possibile, anche se nulla potrà alterare la studiata composizione visiva di Benvenuti.
Penso che sia la percezione di siffatta genuinità che contribuisce a rendere Confortorio un film vivo, che traduce in immagini il peso della Storia, che cala sui personaggi e li trasforma gradualmente poco prima della loro morte. Un peso di cui Benvenuti ha saputo farsi carico. In questo senso ha accettato (nella sola maniera possibile, cioè provocandolo) il lavoro demiurgico dell'autore che crea il film in primo luogo in se stesso. Perché fare cinema vuole anche dire stabilire un rapporto diretto tra colui che pensa e realizza il film con ciò di cui parla, con gli argomenti che affronta, annullando (o stravolgendo) le mediazioni dovute all'infiltrarsi di modelli precotti, preordinati, dunque di ciò che è già stato pensato per immagini.
L'uso della carrellata è spesso un abuso, secondo Benvenuti. Raramente ha ragion d'essere. Più comunemente è l'espediente di uno sguardo che non sa dove andare. Non uno sguardo acefalo, senza coscienza, ma senza occhio.
Lungi dall'invalidare una pratica, laddove questa è interiormente partecipata, la critica di cui Benvenuti si fa portatore è, a questo proposito, rivolta alla facilità, alla noncuranza, con la quale così spesso la mdp viene usata, privandola del rapporto con una precisa spazialità.
In sostanza è mancanza di scelta, di punto di vista, mancanza di coraggio, abdicazione espressiva, assenza di poetica. Questa è la critica che, nei film di Benvenuti, diventa pratica filmica. E lo diventa attraverso la scelta precisa di inquadrature, la delimitazione consapevole dei piani e le relazioni interne. (...)
Sia Il bacio di Giuda sia Confortorio non sorgono dal nulla, da un terreno vergine. L'attività registica di Benvenuti è ricca di corto e mediometraggi che continua tutt'ora a realizzare. Ma è senz'altro fuori discussione che l'impegno di un lungometraggio e la maggiore facilità, nonostante tutto, di proporlo al pubblico rappresenta una esperienza più compIessa e capace anche di trainare la curiosità anche sulla produzione meno conosciuta di un autore.
Dopo avere visto Il bacio di Giuda, dopo Confortorio, sorge il desiderio di conoscere più a fondo Benvenuti. Ecco allora che i corti sono un patrimonio, e rappresentano una potenzialità espressiva, che solo questo modo di fare cinema può rendere ricco. |
Autore critica: | Fabio Matteuzzi |
Fonte critica: | Cineforum n.322 |
Data critica:
| 3/1993
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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